Il Mostro: Identikit d’una enigmatica e fascinosa miniserie tv catturata dal nostro indagatorio sguardo impietoso…
Un agghiacciante e orrido mistero macabro a tutt’oggi parzialmente insoluto e celato, insabbiato negli scheletri dell’armadio della prescrizione più orripilante. Invero, un cold case giammai risolto che perturba e non ci fa prender sonno, strisciando sinistro d’eco rabbrividente nelle nostre coscienze raggelate e quivi risvegliate di terrore non affatto sopito, bensì di nuovo evocatoci in maniera preoccupante…

Oggi recensiamo la bella e affascinante serie tv Il mostro. Presentata all’82.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica ove, per dovere d’onestà, non molto clamore suscitò e immediatamente controversie generò. Probabilmente, fu un po’ inopportuno scegliere la kermesse suddetta poiché, se propriamente non “sfigurò” a confronto di produzioni internazionali più attese che ne depistarono indubbiamente l’attenzione, certamente non appieno brillò e/o risaltò.
Ripetiamo, al suo reale valore qualitativo, la sua lagunare anteprima non ne giovò. Rivista ora, con più ponderosità e col senno di poi, è indubitabilmente da rivalutare, oltre che rivedere.
Malgrado sia incompiuta e imperfetta. A noi, a dispetto dei responsi critici non entusiasmanti, riscontrati alla sua “anticipazione”, tale avvincente produzione “nostrana” è non poco piaciuta e, nel prosieguo imminente della nostra disamina, ne dettaglieremo con scrupolo le ragioni.
Esponendovele con chiarezza ineludibile. Pur enunciando alcuni marcati difetti che, sebbene non ne intacchino sostanzialmente il risultato, ne hanno altresì scalfito qua e là la sua intera, potenziale forza espressiva. Ma procediamo con calma. Innanzitutto, Il mostro non è da confondere con l’omonima (nella versione italiana, perlomeno), probabilmente superiore, miniserie televisiva in due puntate dell’86 intitolata in originale The Deliberate Stranger, incentrata su Ted Bundy.
Ovviamente, neppure con Il mostro, versione parodica, di e con Roberto Benigni. Per quanto ciò sia ovvio, ci par però doveroso puntualizzarlo per evitar disambiguazioni di sorta. Il mostro, in questione, per il mercato globale si chiama The Monster of Florence, consta di quattro corposi episodi della durata cadauno di circa un’ora netta ed è una serie ideata da Leonardo Fasoli assieme al prolifico e sempre più sperimentale (importante annotarlo) Stefano Sollima (Adagio), quest’ultimo anche suo esclusivo regista dal primo all’ultimissimo minuto.
Trama, riassuntavi nei suoi tratti più salienti per quanto oggettivamente sia difficile sintetizzarvi de Il mostro il suo eclettico e congegnato, sfaccettato intreccio a scatole cinesi e imbastito su una labirintica struttura narrativa a incastri in formato, diciamo, matrioska. Tenteremo, semplicemente, di fornirvi della vicenda raccontataci, filmata e filtrata dalla personale e peculiare, oramai riconoscibile, poetica di Sollima, una panoramica a grandi linee, è il caso più che mai di dirlo, deduttiva e soltanto indicativa.
Anche per non sciuparvene le sussultanti sorprese in cui v’imbatterete affinché, in piena libertà non da noi condizionata, possiate guastarvene il pathos che autonomamente ne trarrete e da voi respirerete in maniera, in senso tout–court, mozzafiato:
Ebbene, attraverso espedienti cronologici e “prospettivi” à la Rashomon, veniamo catapultati e profondamente immersi all’interno infernale di tal scioccante e inquietante storia di detection allucinante. Nel suo tetro incipit, collocato temporalmente nell’infausta notte del 19 giugno dell’82, assistiamo a una giovane e svagata coppia di fidanzatini che, in quel di Baccaiano di Montespertoli, a bordo d’una utilitaria d’epoca e ai bordi d’una isolatissima stradina di campagna toscana, han appena consumato un goduto amplesso romantico.
Al che, da un uomo misterioso del quale scorgiamo sol l’ombra malefica e indistintamente adocchiamo il suo volto nascosto al buio, da noi a sprazzi captato, i due amanti vengono efferatamente trucidati a sangue freddo con dei micidiali colpi di pistola furibondi, scagliati loro a distanza assai ravvicinata. Sul luogo del barbarico delitto insanguinato, giunge presto la polizia e soprattutto Silvia Della Monica (la brava Liliana Bottone), incaricata, come sostituta procuratrice, da anni a seguir le indagini, dapprima abbandonate, riguardanti il cosiddetto mostro. La quale, inarrendevole, persuade con prove alla mano incontestabili, il suo capo a riaprir l’investigazione in merito.

Gli inquirenti interrogano il “disgraziato” e muratore, or murato vivo e derelitto, Stefano Mele (l’ottimo Marco Bullitta). Che, nell’oramai lontano 1968, s’autoaccusò dell’omicidio effettuato ai danni della sua ex moglie fedifraga Barbara Locci (Francesca Olia) e dell’amante Antonio (Claudio Vasile). Dopo tredici anni d’inflittosi e ingiusto, patito carcere, per sue stesse rivelatorie dichiarazioni pazzesche, scopriamo che lui fu solamente il complice dell’assassinio dettovi, in realtà eseguito dal convivente Francesco Vinci (Giacomo Fadda).
Precedentemente a tali osceni avvenimenti, Mele & Barbara ospitarono in casa il conterraneo, compaesano Salvatore (Valentino Mannias), fratello di Francesco. Salvatore pagò loro l’affitto ma, in cambio di tale economico vantaggio offerto, abusò di Barbara sotto gli occhi impotenti del povero Stefano. Oppure no? Che cosa esattamente avvenne in quelle giornate fatali?
Anche Stefano ha un fratello di nome Giovanni (Antonio Tintis). E qui ci fermiamo con la descrizione parziale ché, dal secondo episodio in poi, come peraltro sopra già accennatovi, cambia di volta in volta “pista” e punti di vista, concentrandosi infatti, di fatti evisceratici in ogni puntata diversificata, in modo dedalico e osiamo dire metaforicamente decumano, ricollegabili di varie tranche sui rispettivi personaggi coinvolti. Rappresentanti le pedine e i tasselli a mo’ d’umano puzzle nella composizione del mosaico complesso alla fine palesatosi a Della Monica, prossima alla svolta conclusiva.
Chissà però se avvenuta, se interamente e al di là d’ogni ragionevole dubbio, concedeteci di prender in prestito per l’occasione un’espressione tipica e cara del linguaggio giuridico penalista, svelatasi e a lei stessa davvero inconfutabilmente probatoria per inchiodar il mostro e poterlo legalmente incriminare in forma schiacciante e definitivamente lapidaria.

Cosa funziona ne Il Mostro
Sollima tenta fantasiosamente di seguire il suo istinto e di decifrare l’andamento degli oscuri delitti nerissimi sulla base dei propri “indizi” stilistici e delle sue deduzioni creative.
Perseguendo una linea a suo modo autoriale e allestendo la sua serie tv donandovi la propria impronta, non digitale, bensì da intendersi in senso lato. Ovvero sceglie le sue vittime, no, scherziamo, opziona il suo tragitto a ritroso e d’andirivieni temporali continui e imperterriti con flashback e spostamenti prospettici repentini e ripetuti a iosa, e (ri)crea, mediante tal modus operandi filmico, sia la sua versione dei (mis)fatti che la sua libera interpretazione cineastica degli eventi accaduti. Adeguandosi però, di tanto in tanto, a compromessi banali e spettacolarizzanti, tipici del format(o) televisivo odierno.
Per cui oggigiorno par assurdamente obbligatorio unire le vicende realmente cronachistiche e, tutto sommato, tranne qualche inevitabile averle romanzate per ovvie esigenze di “trasposizione” aderenti all’attendibilità, alle discutibili incursioni ed improprie “evasioni” nella ruffianeria più scontatamente melodrammatica e, giustappunto, programmatica.
La ricostruzione ambientale è impeccabile e a livello formalistico davvero ineccepibile. Sollima s’avvale infatti d’un comparto tecnico di primo piano e rilievo, la fotografia spicca per crepuscolari toni cromatici ben intonati allo squallore di molti interni ove vigeva una sottocultura rurale figlia della povertà sovente anche morale, questo va fortemente rilevato e apprezzato. Sollima dirige gli attori con garbo ma nessuno di essi, ahinoi, a eccezion fatta dei succitati Bullitta e Bottone, s’impone particolarmente.
Le prove recitative, insomma, risultano scialbe e, se non parimenti opache alle incolori notti eticamente lugubri e mortuarie in cui agì in modo orrifico e obbrobrioso tal celeberrimo serial killer sia innominato e giammai acciuffato che, paradossalmente, tristissimamente noto, perlomeno impalpabili e prive di spessore, non solamente psicologico…

Perché non guardare Il Mostro
Lapalissianamente emulativo e derivativo, sin dalle sequenze iniziali, del fincheriano Zodiac, con tanto di locandina sol mutuatane ma pressoché identica nel concept, Il mostro intriga, è permeato di feroci e tenebrose immagini degne del miglior Dario Argento che fu, si segue volentieri e possiede, tralasciando qualche momento dispersivamente superfluo e retorico, un notevole ritmo.
Ciononostante, se esteticamente funziona in maniera egregia, concettualmente non si discosta financo esteticamente da una “normale” fiction quivi espansa e migliorata superiormente in virtù della sua sofisticata messinscena ammantata di pregevolezza da più accurato prodotto d’intrattenimento destinato allo streaming mondiale. Nella sua globalità, al di là d’alcune grossolanità evitabili, si rivela una compatta serie tv spesso potente ed efficace.
Poc’anzi menzionammo Zodiac. Imperativo anche ricordarvi il sottovalutato Lo strangolatore di Boston con Keira Knightley. Film di qualche anno or sono che contiene molte analogie e una vaga specularità sia visiva che di matrice prettamente narrativa con la qui da noi trattata serie tv Il mostro. Se il nostro paragone vi stimola e alletta, sbizzarritevi a constatarne l’enunciate somiglianze.
Buona (re)visione…
Ah, stavamo per dimenticarcene. Lo spettro di Pietro Pacciani spunta. Quando, lo saprete a visione ultimata.
La serie è disponibile dal 22 Ottobre su Netflix.
Ideazione: Leonardo Fasoli, Stefano Sollima Cast: Marco Bullitta, Valentino Mannias, Francesca Olia Anno: 2025 Episodi: 4 Paese: Italia Distribuzione: Netflix
Daruma View