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Racconti di Cinema – Disastro a Hollywood di Barry Levinson con Robert De Niro

Ebbene, oggi per i nostri Racconti di Cinema vogliamo parlarvi di Disastro a Hollywood.

Una pellicola, ahinoi, pressoché misconosciuta al grande pubblico. Passata, ai tempi della sua uscita nelle sale cinematografiche, quasi del tutto inosservata. Tranne naturalmente dai cosiddetti addetti ai lavori per cui questa pellicola del regista premio Oscar Barry Levinson, per ragioni prettamente legate al loro lavoro di critici, dunque di persone in qualche modo costrette a prendere visione d’ogni pellicola distribuita, ha rappresentato comunque un appuntamento immancabile. Film della durata di un’ora e quarantaquattro minuti, Disastro a Hollywood in originale s’intitola What Just Happened ed è infatti tratto, per meglio dire largamente ispirato, all’omonima novella semi-autobiografica di memorie del suo produttore, Art Linson. Ovvero What Just Happened? Storie amare dal fronte di Hollywood, un ritratto caustico dei rocamboleschi, talvolta mirabolanti ma più spesso grotteschi avvenimenti rutilanti accaduti al suo autore Art Linson durante un arco temporale durato cinque anni suoi convulsi. Una cronistoria piuttosto minuziosa dei suoi retroscena personali d’altisonante e stimatissimo producer mischiati a ricordi intimi e personali, intrecciati alle sue tragicomiche vicissitudini private e alle sue vicende professionali secondo la sua personalissima ottica sferzante. Un libro graffiante, pieno di aneddoti assai divertenti, di battute al vetriolo nel quale Linson narra, con piglio ferocemente corrosivo, i “backstage” esistenziali della grande mecca del Cinema. Insomma, ci svela il dietro le quinte della vita d’un produttore di successo con tutti i suoi inevitabili, piccoli grandi drammi quotidiani fatti di gratificazioni, imbrogli, inganni e, appunto, anche ridicoli, imbarazzanti, privati insuccessi.

Un libro, come detto, portato sullo schermo in veste produttiva dallo stesso Linson, writer difatti dello script di Disastro a Hollywood, il quale però, per questa sua auto-trasposizione eccentrica e un po’ balzana, non s’è limitato semplicemente a riprodurre in forma di sceneggiatura cinematografica il suo libro, bensì ha voluto in qualche maniera reinventarlo. Cioè, attingendo al suo stesso libro, l’ha rimaneggiato quasi totalmente, filtrandolo in una storia dagli echi bukowskiani e reinventando di sana pianta il personaggio-protagonista incarnato in questa pellicola da Robert De Niro, affibbiandogli il nome fittizio di Ben. Che altri non è, per l’appunto, che lo stesso Art Linson sotto mentite spoglie, anzi, mimicamente emulato da De Niro che ne imita le movenze e ne riproduce i proverbiali, inconfondibili tic.

De Niro e Linson infatti sono grandi amici da una vita e son stati soventemente collaboratori anche al Cinema.

Basti scorrere le loro rispettive filmografie per accorgersi che hanno lavorato più volte assieme in un proficuo sodalizio artistico che annovera The Untouchables – Gli intoccabili di Brian De Palma, Non siamo angeli di Neil Jordan, Voglia di ricominciare di Michael Caton-Jones, Heat – La sfida di Michael Mann, Paradiso perduto di Alfonso Cuarón e l’ancora inspiegabilmente inedito, qui da noi in Italia, The Comedian di Taylor Hackford.

Oltre, ovviamente, al film da noi qui preso in esame.

La trama di Disastro a Hollywood è piuttosto semplice nel suo lineare andamento narrativo ma allo stesso tempo, nel frenetico accavallarsi e sovrapporsi delle sue micro-storie a mo’ di matriosca, anche abbastanza ingarbugliata e stratificata.

Ben (De Niro) è un produttore di risma, altamente considerato nel suo ambiente. Sebbene, da parecchio, non imbrocchi più un film dai forti incassi e il suo prestigio ne stia pesantemente risentendo.

Inoltre, lo screening test del suo nuovo film, Fiercely (interpretato nientepopodimeno che da Sean Penn in carne e ossa, il quale personifica proprio sé stesso in un ruolo assai dissacrante del suo mito attoriale e molto buffamente autoironico), è andato malissimo. Le critiche sono state impietose, anzi decisamente offensive perfino nei confronti dell’artefice d’un film così tanto vilipeso, reputato ignobile e repellente. Vale a dire proprio Ben.

Che dunque, a questo punto, per non andare incontro all’ennesimo fallimento clamoroso, così come avvenuto con le sue recenti produzioni flop, per ovviare a questa situazione compromettente, per non mettere in rischio la sua carriera, è obbligato a tagliare il finale di Fiercely.

Discutendone con l’irremovibile, severissima direttrice dello studio Lou Tarnow (Catherine Keener) ma soprattutto cercando di convincere il regista di Fiercely, lo stravagante e ambizioso Jeremy Burnell (Michael Wincott), a eliminare dal montaggio definitivo una brutale scena alla fine del film, in quanto giudicata oltraggiosa da molti arrabbiatissimi, polemici animalisti.

In questa scena infatti, Jeremy aveva filmato non solo la morte di Sean Penn ma anche del suo cane. Trucidato e macellato da numerosi, micidiali colpi di pallottola.

Nel frattempo, Ben tenta pure di gestire il suo sentimentale rapporto burrascoso con la sua ex moglie Kelly (Robin Wright Penn). Ben è ancora innamorato di lei ma Kelly ha chiesto la pratica di divorzio e non vuole sentire ragione alcuna in merito a una possibile, secondo lei inattuabile, riconciliazione in extremis.

Come se non bastasse, con le sue bizze, la sua irascibilità e le sue turbolente intemperanze, ci si mette addirittura Bruce Willis in persona. Ché era stato scritturato da Ben per un suo film, il quale gli aveva chiesto di farsi crescere la barba e mettere su peso per il character che avrebbe dovuto impersonare ma che, all’ultimo momento, ha cambiato idea. Puntualmente, per esigenze commerciali.

Un oggetto strano, come si suol dire, questo Disastro a Hollywood. Terza collaborazione, in ordine cronologico, fra Barry Levinson e De Niro dopo Sleepers e Sesso & potere. Collaborazione poi proseguita rinomatamente col tv movie della HBO, Wizard of Lies.

Diciamo che, forse, Disastro a Hollywood rappresenta il “loro” film meno riuscito.

Disastro a Hollywood, a conti fatti s’è rivelata una satira piuttosto blanda e assai irrisolta arrivata un po’ fuori tempo massimo, una pellicola giunta in sala notevolmente in ritardo e già vista per poter suscitare davvero scalpore o intrigarci veramente, considerando peraltro il fatto che il ben più superiore e similare I protagonisti di Robert Altman è uscito nel 1992.

Nonostante il cast impressionante che annovera oltre a De Niro e ai già succitati Sean Penn, Bruce Willis, Robin Wright (qui accreditata come Penn, in quanto all’epoca non s’era ancora separata da Sean), Michael Wincott e Catherine Keener, anche il grande John Turturo, Stanley Tucci e una giovanissima, quasi irriconoscibile Kristen Stewart pre-Twilight e prima di diventare la bellissima e carismatica attrice che conosciamo oggi noi tutti, Disastro a Hollywood rimane un film incompiuto e con poco mordente, privo cioè di pugnace, corposo e rabbioso pathos pungente, un film, diciamo inoffensivo e piuttosto dimenticabile ma al contempo non del tutto disprezzabile.

Poiché, anche se Art Linson come sceneggiatore non vale il suo amico David Mamet, qua e là azzecca e scatena in noi, coi suoi innocui ma comunque cinici dialoghi brillanti, più d’un momento di pura ilarità, smontando dall’interno, da perfetto conoscitore dei meccanismi interni della diabolica macchina hollywoodiana e del suo strambo, allucinato sottobosco di loschi figuri corruttibili e furbissimi, la sin troppo idealizzata e mitizzata, edulcorata fabbrica dei sogni.

Come dire e ribadire… non è tutt’oro quel che luccica.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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