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Zero Day – Tellurico attacco informatico al sistema americano – Recensione

Zero Day: Recensione della miniserie tv con Robert De Niro disponibile su Netflix, esattamente dallo scorso 20 febbraio.

Zero Day consta di 6 puntate, della durata cadauna circa di un’ora netta, bellamente assortite e allestite con raffinata eleganza fine. Vi terranno col fiato sospeso e in altissima tensione dal primo all’ultimo minuto senza sosta alcuna.

Zero Day è un thriller molto peculiare, di matrice complottistico-politica o, se preferite, come direbbero gli americani (il tutto verte, peraltro, sullo stile di vita degli Stati Uniti), un conspiracy thriller non antologico, sobriamente, eppur senza particolari sussulti, diretto dalla regista Lesli Linka Glatter (Mad Men, Ray Donovan) e creato dal trio Eric NewmanNoah Oppenheim & Michael Schmidt, questi ultimi anche sceneggiatori con l’apporto, in alcuni episodi, di altri collaboratori, fra i quali Dee Johnson.

Prodotta e interpretata da Robert De Niro (The Irishman, Colpevole d’omicidio), Zero Day è una TV mini series, per dirla nuovamente in americano, visionaria, perfino, osiamo dire, “millenaristica”, innestata sul tema, oggi più che mai in voga, della serpeggiante paranoia che sempre più crescentemente aleggia nel nostro mondo, dominato, se non dal tanto discusso eppur razionalmente inesistente, cosiddetto Deep State sottopelle strisciante, certamente però da forze oscure al di fuori del nostro controllo e allarmato da lievitanti paure arcane, chissà se immotivate, in quanto scientemente basate su misteri inspiegabili e terrificanti tuttora insoluti e tenutici nascosti, invero più concreti di ciò che possiamo immaginar e perfino sospettare.

Zero Day è un dramma televisivo le cui riprese, terminate lo scorso anno e poi lungamente interrottesi a causa dello sciopero attoriale, dovevano, secondo i piani originari, giustappunto concludersi assai prima delle statunitensi elezioni presidenziali avvenute nello scorso novembre.

Zero Day, infatti, è entertainment fortemente schierato, con ogni probabilità, appositamente concepito come manifesto ideologico e, per imponderabili ragioni appena spiegatevi, riguardanti lo strike writers, uscito soltanto, globalmente, nel dì suddetto a distanza esatta d’un mese dall’ufficiale, secondo insediamento del neo rieletto Donald Trump a capo degli USA. Trump, tanto odiato da De Niro, attore principale ivi in primissima linea e ribadiamo fra i maggiori sostenitori non soltanto della controparte democratica, bensì tra i maggiori fautori e finanziatori di tal progetto eclettico e sicuramente coraggioso, oltre che desueto, sebbene demodé.

De Niro che paventò il pericolo del ritorno di Trump alla Casa Bianca, definendolo, in continuazione e in innumerevoli eventi ed occasioni, un tirannico e totalitaristico leader pericoloso per gli equilibri interi, il quale, attraverso la sua TriBeca Productions in associazione con Netflix, assoldò un eterogeneo cast d’interpreti anti-repubblicani. Definito già genericamente e superficialmente come un mero show di natura woke da molti detrattori (chissà se estimatori, in cuor loro, del tycoon Trump) assai miopi e perennemente banali in tali definizioni modaiole, tristi e limitative, Zero Day, malgrado il suo impianto a tratti troppo ricalcante una sorta di documentario fake stilizzato, valutato nel suo complesso, rimarchiamo, avvince e risulta potente, lanciando per di pù messaggi non poco inquietanti ma, ahinoi, realistici.

Trama, per evitarvi spoiler e per non esservi minuziosi, semplicemente trascrittavi testualmente da quell’ufficiale: Un ex presidente degli Stati Uniti torna in azione per trovare la fonte di un mortale attacco informatico e finisce per scoprire una vasta rete di bugie e complotti…

Ebbene, l’ex presidente in questione si chiama George Mullen ed è incarnato da un coriaceo, sol a tratti però ispirato, De Niro, affiancato per l’occasione da un nutrito, come sopra dettovi, parterre d’attori dei più variegati e rinomati fra i quali spiccano Angela Bassett (The Score) nel ruolo della presidentessa in carica Evelyn Mitchell, alter ego in gonnella e di pura finzione d’un Barack Obama ancor alla Casa Bianca, mista a una giammai fu Kamala Harris, Jesse Plemons (Il potere del cane) come Roger Carlson, ex consulente fidato di Mullen, chissà se or ancor fedele suo alleato e prezioso consigliere irreprensibile, l’avvenente e qui arcigna Connie Britton nei panni di Valerie Whitesell, braccio destro di Mullen, Dan Stevens in quelli dell’hater n. 1 di Mullen, alias Evan Green, Matthew Modine (Stranger Things) as Richard Dreyer, la stupenda Lizzy Caplan e la veterana, sempre bravissima Joan Allen (Nixon – Gli intrighi del potere), rispettivamente nei panni della figlia e moglie di Mullen, McKinley Belcher III (We Own This City – Potere e corruzione) e, fra gli altri, senza star pleonasticamente a menzionarveli tutti, Bill Camp (Joker, Nemico pubblico, Lo strangolatore di Boston) come fraudolento capo della CIA, e Gaby Hoffman (Eric).

Cosa funziona in Zero Day

Compatto, con un tecnico compartimento ineccepibile, sorretto da un De Niro indubbiamente attempato eppur sempre intattamente valente e più che mai, in ogni senso, “agguerrito” e volitivo come non vedevamo sinceramente da anni, illuminato dalle presenze d’una Britton ipnotica e d’una Caplan soave e incantevole, diretto con mano ferma da Glatter, provetta regista “televisiva” per antonomasia che ivi non smentisce le sue capacità di messinscena adeguata alla narrazione da tetra vicenda “cospiratoria” e, in alcuni attimi, al cardiopalma mostrataci, pur, chiariamoci, al solito non compiendo nulla di trascendentale o stilisticamente personale e/o  originale, Zero Day è palesemente uno show solidamente funzionale che, dietro le mentite spoglie d’un dramedy per la tv,  “fictional” e all’apparenza di mero intrattenimento inoffensivo, di certo poco docilmente non cela i suoi furiosi e intransigenti intenti accusatori e politicamente scagliati contro Trump & company, nient’affatto moderandosi con la sua aperta requisitoria violentemente anti-pacifica sin ad esplodere furente nel 6° episodio terminale, incendiario, lapidario e visionario, claustrofobico, superbamente mortifero e spettralmente notturno. Stupendo e accecante.

Perché non guardare Zero Day

Minimal a livello figurativo e con molte riprese inventive degne di nota, perfino vagamente futuristiche, Zero Day, malgrado le firme autorevoli dei suoi sceneggiatori, è paradossalmente carente per quanto concerne i dialoghi, poco ficcanti e raramente sorprendenti, ed è una serie totalmente priva di nerbo nella sua struttura portante in cui risulta assente la forza motrice del vero, rabbrividente “movente” terroristico che innesca l’entrata in azione della commissione d’inchiesta.

Come se a mancare fosse un elemento, umano e non, “incarnante” il Male (inizialmente, troppo invisibile) a farne da motore propulsore. De Niro, pur ancor rilucente in alcune scene, appare, per lunga parte della serie, decisamente incartapecorito, stanco e statico, a stento convincente nelle sue robotiche movenze in cui monoliticamente deambula e con molta fatica prova a sostenere il ritmo “action” impresso laddove la regista lo rende protagonista di scene movimentate nelle quali, giocoforza, per esigenze di copione, dovrebbe egregiamente cavarsela e invece, totalmente ingrigito, a malapena  riesce a districarsene, goffamente spuntandola con difficoltà.

Anche se ciò viene giustificato dal fatto che il suo character forse fu contagiato dalla misteriosa, neurologica arma segreta, denominata Proteus. Il suo personaggio, inoltre, dovrebbe starci simpatico e instillarci empatia affinché possiamo tifarne le prodi gesta stoiche da combattivo difensore delle inalienabili, umani libertà, invece si rivela spesso scialbo e non psicologicamente ben delineato e/o caratterizzato. De Niro, rimarchiamo e ci duole infinitamente dirlo, è incapace d’infonderne statura recitativa e rilevanza scenica.

Tranne nell’episodio finale in cui, stupendoci, con un improvviso cambio di rotta interpretativo, magnetico rifulge estatico, impressionante giganteggia, specie nel suo acceso e grintoso monologo dinanzi al Congresso, in cui finalmente sfodera la sua eternale classe da applausi a scena aperta.

La migliore del gruppo attoriale è, evidenziamo nuovamente, senz’ombra di dubbio la pimpante e bellamente smorfiosa, fotogenica Caplan che dona freschezza, anche espressiva, a tal serie, qua e là smorta, che, per non apparirvi contradditori, ci teniamo a chiarir che nella sua interezza ci è garbata abbastanza ed è visivamente assai ammaliante, eppur, di contraltare, presto smarrisce il suo eversivo potenziale ed è ripiena di cedimenti soporiferi e tediose digressioni alquanto sconcertanti, dunque non centra il suo bersaglio accusatorio e rimane sterilmente superficiale.

Forse ci sarà, dati gli ottimi riscontri di pubblico, un sequel già in preparazione e dunque ne attendiamo ogni possibile, maggiormente approfondito sviluppo.

Disponibile su Netflix dal 20 febbraio 2025.

Regia: Lesli Linka Glatter Con: Robert De Niro, Jesse Plemons, Lizzy Caplan, Angela Bassett, Connie Britton, Joan Allen, Matthew Modine, Mozhan Marnò, McKinley Belcher III, Cuyle Carvin, Dan Stevens, Bill Camp, Jay Klaitz, Mike McGowan, Gaby Hoffmann, Clark Gregg, Ryan Spahn, Ignacio Diaz-Silverio, Fredric Lehne, Mark Ivanir, Walker Hare, Will Vought, Jorge Luna, Stass Klassen, Glenn Speers, Chip Carriere, Geoffrey Cantor, Johnath Davis, Eric Parkinson, Julian De Niro, Kevin Thoms, Teren Carter, Marinko Radakovic, Lyman Chen, Tia Dionne Hodge, Ethan Herschenfeld, Joseph Adams, Craig Geraghty, Dino Castelli, David Carl, Sarah Elizabeth Dell Anno: 2025 Durata: 6 episodi Paese: USA Distribuzione: Netflix

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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