Untamed: Un’impervia, stoica storia investigativa tra ferocità, mortali strapiombi vertiginosi e brutali, lacustri, silvestri zone boschive d’un parco naturale ripieno di neri misteri orridi e gelide verità celate
Oggi, con estremo piacere, in quanto ci ha ampiamente soddisfatto, seppur con qualche riserva, come esplicheremo nella nostra disamina a seguire, recensiamo la sorprendente miniserie tv targata Netflix, distribuita, sulla piattaforma di streaming suddetta, assai di recente, precisamente lo scorso 17 luglio, ovvero Untamed. Titolo rimasto invariato, comme d’habitude, traducibile letteralmente in selvaggio/a.
Untamed consta di sei episodi adrenalinici a livello di storia narrataci e sviluppata con arguzia nella messinscena, sebbene dal ritmo altalenante fra il serrato e il lento esagerato, della durata cadauno circa di tre quarti d’ora, tutti ambientati nel vero Yosemite National Park e diretti, alternativamente, dal trio composito e composto da Thomas Bezucha, Nick Murphy, Neasa Hardiman.
È stata invece interamente sceneggiata dal duo e coppia, apparentata nella vita reale, formata da Elle & Mark L. Smith, anche di Untamed showrunners. Eccone, volutamente a grandi linee, per non guastarvene le molte sorprese in cui vi “imbatterete”, la trama, descrittavi, ribadiamo a scanso d’equivoci, nei suoi tratti più salienti e privi d’alcun irrilevante spoiler sicuramente a voi indesiderato:
Nel parco nazionale succitato, vastissimo e in molte sue zone addirittura inesplorato, accadde improvvisamente una fortissima tragedia, ovvero la morte accidentale, almeno a prima vista, d’una presunta, giovanissima scalatrice chiamata Jane Doe (chissà se davvero è il suo nome reale, lo scoprirete, guardando), incarnata dall’attrice Ezra Franky, il cui personaggio, ovviamente, non è da confondere e scambiare, per quasi omonimia “femminile”, col celeberrimo John Doe/Kevin Spacey di Seven.
Già tumefatta nel corpo e senza vita ancor prima di rimaner stranamente appesa al filo che la sorresse defunta su un massiccio rupestre ove fu rinvenuta in modo glaciale durante una pericolosa arrampicata di altri due avventurosi e un po’ avventati “alpinisti” salvatisi, Jane fu uccisa da qualche maniaco malintenzionato o effettivamente crepò non per mano altrui ma in maniera incidentale, pendendo poi, sospesa nel vuoto, perdonateci per il gioco di parole, da un crepaccio per pura fatalità imponderabile e quindi in modo assolutamente casuale?
La sua scioccante morte, macabra e sconvolgente, però non convinse sin dapprincipio il ranger agente speciale Kyle Turner (Eric Bana, Munich, Special Correspondents), il quale, appuratene alcune ragioni che ivi non staremo a enunciarvi e svelar, iniziò dunque a indagarne per scovar la verità che si nascose dietro una funebre scomparsa all’apparenza, ripetiamo, fortuita ed estremamente sfortunata per quanto tremenda e agghiacciante. Kyle, alle direttive del vegliardo e saggio capitano Paul Souter (Sam Neill, Il seme della follia), nella sua missione indagatoria ad alto tasso rischioso, sarà dunque presto accompagnato dalla giovanissima, inesperta ma al contempo vogliosa d’imparar meglio il suo mestiere, matricola Naya Vasquez (Lily Santiago).
Kyle, inoltre, non riesce emotivamente a gestire la separazione consensuale, coniugale dalla sua ex moglie Jill Bodwin (Rosemarie DeWitt, magnetica a ogni inquadratura, eccelsa e d’una avvenenza veramente stordente), da tempo oramai sposata a un altro uomo. Soprattutto, Kyle non riesce a dimenticare un’altra tragedia, non riguardante la dipartita di Jane Doe, bensì del figlio avuto dalla stessa Jill, morto prematuramente in modo allucinante.
In maniera persistente e traumatica, irrisolvibile e imperitura, infatti, incurabilmente ma allo stesso tempo umanamente e comprensibilmente, se ne strugge dolorosamente e ne è distrutto vita natural durante, inconsolabilmente Perciò, la propria lucidità mentale indispensabile per poter procedere risolutamente e con robusta determinatezza nella sua opera di detection chiarificatrice del nefasto accaduto successo ai danni della povera Jane, è continuamente vacillante e traballa a ogni istante.
Kyle, a dispetto di tutto e della sua incapacità d’elaborare tal terribile, personale lutto, al contrario dei suoi tormentosi pensieri in merito all’evento tristissimo avvenutogli, deve cercar disperatamente e coraggiosamente di restar sempre vigile e in ottima salute psicofisica per giungere alla risoluzione dell’oscuro caso concernente Jane Doe, specie in un ambiente ostico e potenzialmente, perennemente letale come quello dell’immenso, dedalico parco cimentoso nominatovi. Come andrà a finire? Resisterà alle sue turbolenze emozionali e sofferenti a livello non soltanto psichico, crollerà e ne verrà sfinito oppure allo scioglimento del tetro arcano da lui sondato arriverà da trionfatore ed eroe totale, sconfiggendo per di più i suoi interiori demoni atavici e cupi?

Cosa funziona Untamed
Untamed, dopo un incipit vibrante e fulmineo, in tutta franchezza, fatica parecchio a carburare e indovinare, potremmo dire, la giusta quadratura del cerchio poiché soprattutto nei primi due episodi, però, ci teniamo a puntualizzare, girati appositamente in maniera “soporifera” al fine preparatorio degli eventi a venire e ricolmi di svisceratici (f)atti per capirne ogni antefatto anche di matrice psicologica inerente a Kyle, finalmente spicca il volo e s’accende di pathos, incalzando mordacemente in un prosieguo avvincente.
Bana, parimenti, vi recita leggermente statico e “inespressivo” inizialmente e poi pian piano ascende a una modalità interpretativa ottimamente delineata e maggiormente coinvolgente. Neill, da par suo, ovverosia in virtù della sua navigata professionalità provetta, risulta impeccabilmente perfetto per il ruolo assegnatogli e, alla soglia delle sue invidiabilmente “indossate” ottanta primavere (per la precisione, di anni ne ha settantasette), appare consuetamente carismatico. Ma è DeWitt a dominare ogni scena in cui è presente, ribadiamo nuovamente, splendendo ipnotica in ogni singolo frame.
Untamed è una miniserie compatta, più granitica del pittoresco paesaggio roccioso della sua suggestiva ambientazione magnificamente, peraltro, fotografata in modo limpido e ammaliante. Seppur, come sottostante vi sottolineeremo, altresì difetta in alcuni paesaggi, eh eh, no, suoi passaggi farraginosi e tediosi.

Perché non funziona Untamed
Untamed è una serie congegnata come una macchina ad orologeria ove ogni (in)spiegabile “ingranaggio” e le incognite alla base dell’indagato mistero principale a sua volta, a mo’ di matriosca contenente altri dilemmi da smascherare, incastrati alla base della contorta vicenda dipanataci e ramificata, alla fine, trovano le chirurgiche, collimanti corrispondenze esatte.
Un lavoro certosino, memore d’una finissima scrittura alla Agatha Christie che però ci è parso a sprazzi artefatto e a tavolino furbescamente studiato. Per di più, son onestamente troppe le digressioni inutili ai fini della narrazione e alla conclusione, in ogni senso, si poteva tranquillamente approdare molto prima senza perdersi in panegirici e svolazzi superflui.
Ciononostante, tralasciando qualche “svarione”, Untamed funziona e incolla alla sua godibilissima, sussultante visione inquietante che non concede un sol attimo di tregua.
La sorprendente miniserie tv targata Netflix è disponibile sulla piattaforma dallo scorso 17 luglio.
Ideazione: Mark L. Smith, Elle Smith Cast: Eric Bana, Rosemarie DeWitt, Sam Neill, Lily Santiago, Wilson Bethel Anno: 2025 Episodi: 6 Paese: Stati Uniti Distribuzione: Netflix
Daruma View