The Surfer: Bollente paranoia crescente nel clima hot di un’estate da leoni e folli predoni bulli.
Oggi recensiamo l’intrigante, altamente perturbante, a suo modo ipnotico e dal ritmo incalzante, The Surfer, firmato Lorcan Finnegan e sceneggiato in forma completamente originale da Thomas Martin, oltre che ovviamente interpretato dal sempre sorprendente e camaleontico, più che mai istrionico, Nicolas Cage (Face/Off, Omicidio in diretta), nuovamente sperimentatore, come impavido attore tuttofare, di pellicole alternative ad alta gradazione climatica, no, “pericolosa”, ovverosia lungometraggi che s’arrischiano in territori raramente esplorati del cinema per le masse mainstream ove il confine fra emblematica autorialità, stravagante originalità, giustappunto, e discutibili velleità artistoidi, a tratti, più che ammalianti, ridicolmente penose, è quanto mai labile.
Cosa vogliamo dire con questo? Avete certamente ben inteso a quali tipologie di opere cinematografiche ci siam appena riferiti poc’anzi.
La carriera di Nic Cage, a cui l’autore della seguente, recensoria disamina inerente a The Surfer, dedicò un saggio monografico, peraltro flamboyant parimenti equiparabile e raffrontabile all’imprevedibile recitazione unica e pindarica di Mr. Cage, chi sennò, è stata disseminata, specialmente nell’ultima decade, da una miriade incalcolabile di filmacci di bassa lega che “esautorarono”, però sol parzialmente, la sua, tutto sommato, intatta allure di star hollywoodiana, nel ‘95 per Via da Las Vegas oscarizzata, al contempo inframezzata magicamente da spiccanti prove magistrali e ineccepibili, vedasi per esempio le sue brillanti performance in Pig o Longlegs.
The Surfer, senza se e senza mai, è d’ascrivere di diritto agli opuses con Nic protagonista assoluto che assurgono immantinente allo status di peculiari cult movie e oggetti filmici non “identificati” a prescindere dal lor intrinseco valore qualitativo. The Surfer, della durata appassionante e pregna d’angoscioso pathos pulsante, di novantanove minuti netti e scanditi da una tensione crescentemente palpabile e angosciante, è stato presentato fuori concorso al Festival di Cannes dell’anno scorso e, in esclusiva, qui da noi a quello di Locarno.
Ricevendo pareri più che sufficienti, anzi in gran parte lusinghieri, soprattutto per quanto concerne l’intellighenzia critica d’oltreoceano, avendo riscontrato la media equivalente al 67% di recensioni positive sull’aggregatore metacritic.com. Da tali giudizi entusiastici discordiamo poiché, come esplicheremo prossimamente, per quanto The Surfer c’abbia fortemente elettrizzato e tenuti incollati allo schermo, non ne abbiamo ravvisato alcuna grandezza speciale, anzi, in totale franchezza, in alcuni punti ci ha deluso e lasciato non poco interdetti.
Risultandoci, per quanto rinomante nelle scelte estetico fotografiche, oltreché avvolgente e coinvolgente nell’interezza del suo minutaggio, innanzitutto troppo derivativo ed emulativo di film ben più importanti dalla tematica analoga, quali ovviamente Un mercoledì da leoni di John Milius e il suo “gemellare”, speculare e a sua volta centrifugato, reinventato da Kathryn Bigelow per la composizione del suo capolavoro degli anni novanta per antonomasia con Keanu Reeves e il compianto Patrick Swayze, ça va sans dire, Point Break… quest’ultimo, scritto, scusateci se per tal precisazione v’appariremo pleonastici ma è necessario invece specificare, dal suo allora compagno dell’epoca, James Cameron (Terminator 2)
Eccone la trama, fedelmente e testualmente trascrittavi dalla sinossi ufficiale rilasciataci:
Un uomo torna sulla spiaggia idilliaca della sua infanzia per fare surf con suo figlio. Ma il suo desiderio di cavalcare le onde viene ostacolato da un gruppo di locali il cui mantra è: se non vivi qui, non surfi qui. Umiliato e pieno di rabbia, l’uomo si ritrova coinvolto in un conflitto che cresce insieme al caldo opprimente dell’estate, spingendolo fino al limite.
Espandendovela con maggiori, personali dettagli fornitivi, l’uomo in questione è innominato ed è incarnato da uno stratosferico, eccezionale Cage in sublime overacting à la Mandy, mentre suo figlio, il cui nome parimenti non ci vien rivelato, dunque rimane misteriosamente ignoto, essendo infatti appellato soltanto come The Kid/il bambino, è impersonato da Finn Little. L’antagonista bastardo, forse persino con intenti benefici di natura catartica, a capo della gang che alloggia in riva al mare, che mette i brividi e i bastoni fra le ruote al surfista Cage, ha invece eccome un nome, cioè Scally, ed è coloritamente incarnato da Julian McMahon in versione allargata e attempata del fu giovanissimo Anthony Kiedis/Tone del succitato film bigelowiano.
Cosicché, fra nottatacce insonni, la triste, ottusa e onestamente un po’ inspiegabile testardaggine di un’inarrendevole personaggio di Cage in psichica caduta libera, paranoici deliri a mo’ di trip lisergico nella sua mente precipitata progressivamente nel caos più delirante e confusionale, un poliziotto semi-corrotto (Justin Rosniak), villani ragazzacci villain(s) e teppistici che imbrattano l’auto del nostro antieroe col deplorevole e irridente “graffito” Kook, vale a dire svitato (similmente a quanto recentemente avvenuto a danno del character di Stephen Graham in Adolescence), la stralunata (dis)avventura al cardiopalma arriva alla fine. Lieta o tragica? Spetterà a voi, spettatori, scoprirla.

Cosa funziona in The Surfer
The Surfer è visivamente caleidoscopico e pervaso da continui, insistiti pedantemente effetti ottici talvolta addirittura ridondanti, sfocature esagerate, sensazionalmente scombiccherato appositamente (quindi, la sua “entropia” figurativa, in accezione figurata, perdonate il gioco di parole, non è da considerarsi spregiativa), illuminato prodigiosamente dal mago delle luci Radek Ladczuk e in maniera molto suggestiva orchestrato musicalmente dalle pregevoli note di François Tétaz, sorretto da cima a fondo da un torreggiante Cage che, in tali atmosfere sudaticce e torride, si destreggia da impagabile “fuori di testa” magnifico e incontenibilmente “ciarlatanesco” nell’esporci, senz’alcun pudore e/o vergogna che dir si voglia e che piaccia o meno, le migliori sue impressionanti smorfie a mo’ del proprio marchio di fabbrica immancabile e impari.
Un Cage allucinato che, specialmente nelle sue espressioni per l’appunto tanto incredibili quanto buffonesche e guascone, ricorda il suo paramedico nello stupendo, scorsesiano Al di là della vita mischiato al suo personaggio esterrefatto ed esagitato di 8MM – Delitto a luci rosse. In un esatto momento, par identico al Nic di Stress da vampiro.
Guardare per credere! Un Cage che, sotto le temperature hot come l’inferno delle spiagge australiane, “ondeggia” burrascosamente d’amabile recitazione caricata, congenialmente a lui abituale, intervallata a spruzzi marini, no, a sprazzi e repentinamente asciugata in una mutevole recitazione in sordina, emergendo d’unicità sopraffina. Un Cage, insomma, oceanico…

Perché non guardare The Surfer
The Surfer attinge a piene mani, come già detto e ivi ridettovi per chiarezza, a film similari e verso la sua parte centrale diviene davvero quasi inguardabile e soporifero, indeciso se seguir la strada del thriller psicologico o quella del film grottesco con venature tragicomiche. Approdando a un finale che lascia il mare, no, l’amaro in bocca come la salsedine più acre e rivoltante.
A esser più obiettivi, è mancante totalmente di verosimiglianza e in cui The Bum, alias Nicholas Cassim, si vendica in maniera che definire poco credibile è eufemistico. Peccato perché The Surfer possedeva in nuce i crismi di un possibile capolavoro e ne abbiamo intravisto squarci oggettivamente superlativi. Dispersi in un mar di pedestre manierismo banale.
Regia: Lorcan Finnegan Con: Nicolas Cage, Julian McMahon, Miranda Tapsell Anno: 2024 Durata: 105 min. Paese: Australia Distribuzione: N.D.