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The Brutalist – Redentiva catarsi architettonica del dolore – Recensione

The Brutalist: Recensione del film con Adrien Brody e Guy Pearce

Oggi, finalmente recensiamo il magniloquente e titanico The Brutalist, firmato Brady Corbet (Vox Lux) e candidato a dieci premi Oscar. Alcuni dei quali, nel prosieguo di tal pezzo, in modo preciso elencheremo per ogni rispettiva categoria nominata, senza però star a soffermarcene per non esser pleonasticamente archivistici.

Chissà se però tal pioggia di nomination sia davvero appieno meritata, come esplicheremo in tal nostra disamina, in quanto siam fortemente dubbiosi sul fatto che tanto idolatrarlo, soprattutto dall’intellighenzia critica d’oltreoceano, combaci col suo reale, qualitativo valor effettivo.

Presentato, in Concorso, nella giornata del 1° settembre dello scorso anno all’81.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ove vinse il Leone d’argento per la regia, The Brutalist dura “spropositatamente” duecentoquindici minuti netti e nei nostri cinema è visionabile, attualmente, nella sua integrale versione non scorciata, identica a quella da noi vista all’appena succitata kermesse lagunare in formato VistaVision.

Scritto da cima a fondo dallo stesso ambizioso Corbet in concomitanza con sua moglie Mona Fastvold (Corbet, oltre a esser candidato come miglior regista, lo è anche, ovviamente assieme alla consorte, come co-autore della sceneggiatura originale), The Brutalist è un colossal dalle altissime ambizioni faraoniche e intellettuali, però, tanto sulla carta promettenti e, ripetiamo, a nostro avviso, un po’ già eccessivamente omaggiate generosamente dalla Critica, specialmente USA, pressoché unanime ad averlo acclamato ed elevato a capolavoro istantaneo, quanto, in particolar modo nell’ultima ora circa, deludenti.

Poiché, come seguentemente v’enunceremo più dettagliatamente, dopo un incipit folgorante e un primo segmento veramente mirabile, frana rovinosamente, disperdendo, strada facendo, filmicamente parlando, il suo immane potenziale originario.

Trama, molto riassuntavi per evitarvene indesiderate sorprese:

László Tóth (un magnifico, lui sì, Adrien Brody in una delle sue prove più sentite e sarà poi chiarito perché il suo personaggio appare perennemente contrito e intimamente infelice anche laddove dovrebbe invece esultar di gioia) è un architetto ebreo sfuggito all’agonica prigionia del nazista campo di concentramento di Buchenwald e, scampatone miracolosamente, dopo un calvario e annessi travagli traumatici, sbarca a New York ove si ricongiunge col suo carissimo cugino Attila (Alessandro Nivola, Wizard of Lies, Face/Off) che immantinente gli comunica la lieta notizia inerente all’amatissima moglie Erzsébet Tóth (Felicity Jones), anche lei viva ma al momento ancor impossibilitata a potersene ricongiungere in quanto è in attesa del permesso di soggiorno per trasferirsi negli States.

Nel frattempo, László Tóth, pian piano recuperatosi psicologicamente, lontano da ogni orrore e spettro persecutorio, ritorna alla sua prediletta professione erede e al contempo fautrice, ancor promotrice, potremmo dire, del Brutalismo, cimentandosi in progettazioni d’arredamento e cura del loro design. Soprattutto crea dal nulla una biblioteca…

In virtù delle sue mai perdute, notevoli abilità spiccate, vien presto notato dal magnate-mecenate, ovviamente assai abbiente, Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce, L.A. Confidential, Memento). Col quale scaturì però dapprima un malinteso che a sua volta innescò la lor conoscenza particolare… Sotto commissione di quest’ultimo, László si dedica anima e corpo all’allestimento d’un epocale progetto rivoluzionario. Che cosa succederà?

Che cosa funziona in The Brutalist

L’eccellenza attoriale e la messinscena, talvolta pomposa eppur inizialmente temperatamente visionaria ed efficace, elevano un film che potenzialmente aveva tantissimo da offrirci ma si soffoca nel solito pedante esercizio stilistico insopportabilmente estetizzante.

Brody, dopo anni d’impasse e performance scialbe in cosiddetti film alimentari, torna a giganteggiare da par suo, dimostrandosi nuovamente attore di grido internazionale ancor meritevole, sacrosantamente, della candidatura ottenuta come miglior attore protagonista, equiparando, forse perfino superando, la sua stessa notevole prova indimenticabile ne Il pianista di Roman Polański (La nona porta) che, come molti di voi sapranno, gli valse l’Academy Award nel 2002 per cui, a tutt’oggi, detiene il record d’attore più giovane ad averlo agguantato. Chissà se il suo maggior rivale attuale nella corsa alla statuetta, ovvero Timothée Chalamet, candidato per A Complete Unknown, gli sottrarrà la possibilità della doppietta a un ventennio circa di distanza, per l’appunto, dalla dettavi storica vittoria, allo stesso tempo, eguagliandolo in quanto Chalamet ha da pochissimo compiuto ventinove anni, cioè la stessa età di Brody quando fu eletto vincitore all’epoca. Brody è il trascinatore di questa mastodontica, assai pretenziosa pellicola non poco difettosa e, ripetiamo, apparentemente così stupefacente eppur a ben vedere molto meno bella rispetto a quanto in molti vorrebbero persuaderci che tale in effetti sia.

Guy Pearce e Felicity Jones (entrambi candidati come non protagonisti) stupiscono e ammaliano con ipnotica maestria recitativa perfino insospettata. Degno di nota, eppur non “menzionato” nelle candidature, è Joe Alwyn nei panni dell’ambiguo figlio di Van Buren dal nome Harry Lee.

Perché non guardare The Brutalist

Al di là dell’incontestabile grandeur visiva, imponente indubbiamente e sovente incantevole, e del suggestivo impianto fotografico scenografico che, per scelte d’immagini proposteci e meticolosamente orchestrate da Corbet, policromi colori spesso opachi e atmosfere cineree, non poche volte può evocare Il petroliere di PTA, The Brutalist è innanzitutto carente sul piano prettamente narrativo, afflosciandosi in (in)evitabili lungaggini e digressioni del tutto superflue di matrice calligrafica.

A livello dialogico, inoltre, risulta in più parti insostenibile con scambi di battute, infatti e specie, paradossalmente nell’ultima tranche, che dovrebbe invece esser quella più incendiaria emozionalmente e propulsiva per il definitivo climax all’insegna della sconvolgente rivelazione che ribalta tutte le carte in tavola, poi diluito in una retorica d’accatto, sterili e scontati.

Progettato e architettato, è il caso più che mai di dirlo, per far incetta di premi e risuonar già nell’immediato come un capolavoro annunciato (infatti è puntualmente, studiatamente avvenuto), The Brutalist, dopo aver condensato il suo fascino nella primissima parte, s’accartoccia ai limiti dell’imbarazzante e procede tediosamente a non finire in un inanellato, sconclusionato, tirato per le lunghe, profluvio di belle immagini “plastiche” di natura asettica e prive di fervido nerbo viscerale.

Al cinema da giovedì 6 febbraio con Universal Pictures.

Regia: Brady Corbet Con: Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Joe Alwyn, Raffey Cassidy, Isaach De Bankolé, Jonathan Hyde, Emma Laird, Stacy Martin, Alessandro Nivola, Peter Polycarpou, Michael Epp, Jaymes Butler, Nick Wittman, Natalie Shinnick, Jeremy Wheeler, Matt Devere, Stephen Saracco, Peter Linka, Rudolf Molnár, Zephan Hanson Amissah, Ariane Labed, Salvatore Sansone, Levente Orbán, Benett Vilmányi, Abigél Szõke, Zsolt Páll, Anna Mészöly, Mariann Hermányi, Laurent Winkler, Hermina Fátyol, Dóra Sztarenki Anno: 2024 Durata: 215 min. Paese: Gran Bretagna Distribuzione: Universal Pictures 

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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