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The Smashing Machine – Recensione del film con Dwayne Johnson ed Emily Blunt – Venezia 82

The Smashing Machine: Anche se sei una montagnosa muscolosa o una roccia la vita ti schiaccia.

La vita con le sue inevitabili impervietà e marmoree durezze inestinguibili, non soltanto del lottatore maggiormente ed apparentemente en pleine forme, ti scalfisce il cuore, lo lacera indelebilmente, assesta incancellabili colpi la tua anima ferenti ed è quanto mai arduo dunque sostenerla di strenua resilienza, l’esistenza è infatti una sfida continua e bisogna perennemente indurirsi, rafforzandosi a getto continuo senza mai gettar la spugna, altresì dunque, per emotive, ineludibili fragilità sopravvenute, ci s’indebolisce, smarriti, con gli anabolizzanti, combattendo poi con la potente forza muscolare o sol di volontà, nel rigenerarsi, riviver e ritemprarsi mediante la passione salvifica d’una donna magnifica e d’un inseparabile amico inarrendevole per trionfare uniti appassionatamente o soltanto riamarsi più risorgenti graniticamente…

Ebbene, spero abbiate apprezzato la nostra “prefazione” introduttiva e perdonateci per il tono confidenziale ma “amicale” adottato, dalla mai così vasta e ricca di film pregevoli dalla sopraffina qualità, 82.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nelle righe a venire, disamineremo, con ponderata oculatezza ed obiettività scevre da qualsivoglia altrui condizionamento critico, l’interessante, bella ma incerta, nuova opera filmica del talentuoso e prolifico Benny Safdie (insignito alla kermesse col premio alla Miglior Regia), già sorprendente interprete, in veste sia esclusivamente attoriale che “dualmente” registica, in quel caso assieme al fratello Josh, del notevole Good Time con Robert Pattinson, e unico director di Diamanti grezzi con Adam Sandler (Jay Kelly).

Oramai sempre più spericolatamente e in modo stoico “avventuratosi” e specializzato nella settima arte più multiforme, sfaccettata e da factotum sperimentatore totale. Infatti, Safdie è anche montatore della sua pellicola qui da noi presa in questione.

A suffragio dell’appena espressa nostra considerazione, asseriamo che ivi è financo screenwriter della sceneggiatura originale dell’opus da lui stesso filmato.

Ovverosia The Smashing Machine, film dell’appassionante, seppur ritmicamente altalenante e un po’ sfilacciata, disomogenea durata corposa, giammai però tediosa ma a nostro avviso, nella vicenda illustrataci, ribadiamo, sbilanciata, di due ore secche, interpretata da un Dwayne Johnson, alias The Rock e viceversa, al solito corpulento e “autobiografico” in modo traslato attraverso l’immedesimazione in un personaggio, Mark Kerr, dissimile ovviamente da lui e con una personale, professionale carriera differente alle spalle ma in modo similarmente, anzi, pressoché egualmente “speculare”, meta-cinematograficamente “simbiotico”, in quanto quest’ultimo poc’anzi citatovi, parimenti a Johnson,  ex lottatore di matrice  “wrestler” molto amato, più propriamente combattente d’arti marziali miste, divenne in un brevissimo lampo temporale un gran beniamino delle folle, mandate in visibilio durante le sue esibizioni applaudite e coraggiose, in maniera internazionalmente acclamata e a livello remunerativo ben (ap)pagato.

Johnson, inedito e al suo primo, vero e proprio reale ruolo drammatico in toto, è qui affiancato da unEmily Blunt (Edge of Tomorrow) dalla bellezza mai così apoteotica e magnetica, irresistibilmente fotogenica e inenarrabilmente sexy in forma smisurata. Ma procediamo con calma, innanzitutto descrivendovi di The Smashing Machine la sua “muscolare”, in senso naturalmente lato, trama lineare. Sottostante espostavi concisamente, senz’enunciarvi, ci mancherebbe, particolari rivelatori e senza quindi incorrer in spoiler impropri e alla vostra “vergine” visione:

Fin dapprincipio e dalla primissime immagini, nel suo mastodontico incipit roboante, visualizzate come una pellicola leggermente graffiata riversata a mo’ di una videocassetta VHS degli anni ottanta, come fosse grezzo materiale d’archivio proveniente da un’epoca non così lontana ma che par già dimenticata, assistiamo alle imprese del titanico, storico e stoico, gigante Mark Kerr (Johnson). Che, sin dal suo esordio sul ring dei lottatori più selvaggi e senz’alcun sprezzo del pericolo fisico, disintegrò i suoi avversari, annientandoli uno dopo l’altro in un batter d’occhio e in virtù della sua superiore possanza fisica imbattibile.

Tutto stupendo e troppo bello per essere vero, come si suol dire, compreso il suo romantico, assai fedele matrimonio con la superba e incantevole Dawn Staples (Blunt, The Fall Guy). Sin al fatidico, micidiale giorno, anzi, per l’esattezza serata per lui funesta, in cui a sorpresa fu messo K.O. da Ihor Vovčančyn (Oleksandr Usyk).

Da tal triste momento in poi, Kerr cominciò a perdere colpi e incontri a tamburo battente, specialmente a tutto spiano la sua autostima decrebbe in modo esponenziale. Cosicché, Kerr diventò sempre più preda di steroidi e sostanze artificiali, di “drugs” e alcolici. Per di più, si sgretolò il suo fidato legame sentimentale con Staples.

La quale, a sua volta, sentendosi trascurata e non più amorevolmente protetta dal suo grande, grosso uomo, come da lei testualmente definito, anch’ella cade sempre più preda dei vizi dannosi alla salute psicofisica. Ma il passato “remoto” è passato e bisogna dimenticarlo, bensì è necessario pensar al presente…

Per fortuna, Kerr ha un grande amico a fornirgli sostegno morale, virile solidarietà comprensiva negli esistenziali frangenti più duramente, cupamente madornali. Nientepopodimeno che il suo personal trainer e lui stesso fighter della disciplina UFC, Mark Coleman (Ryan Bader).

Coleman non abbandonerà mai e poi mai Kerr ed entrambi stanno aspettando la rivincita contro lo “schiacciasassi” Ihor nell’importante torneo annuale, denominato Pride, in quel del Giappone… Chi vincerà e Kerr rimarrà vinto da Ihor o da un altro sfidante agguerrito, si lascerà sopraffare dalle sue giammai sconfitte paure e dai suoi demoni interiori più imponenti e inestirpabili?

Cosa funziona in The Smashing Machine

The Smashing Machine parte in quinta con ritmo ben sostenuto, anche in senso attoriale, grazie a un Johnson calatosi adeguatamente e grintosamente nel personaggio su misura cucitogli, che sorregge il film con carisma e se ne porta addosso il suo peso completo.

Blunt, a ogni sua incandescente apparizione, strabilia per venustà sesquipedale e magnetizza vita, anzi, “film” natural durante il nostro ammirato sguardo estasiato dalla sua avvenenza accecante. Però, a livello recitativo, ahinoi, sovente tentenna e la sua caricata performance gronda d’ingiustificato over acting smodato che andava da Safdie contenuto e nettamente smorzato.

La fotografia, volutamente “sporca” con colori accesamente infuocati, a cura di Maceo Bishop, è pregevole e la regia di Safdie certamente degna di nota. Sebbene, al contempo, altamente difettosa e poco amalgamata in densità armonica. Come meglio chiariremo seguentemente.

Perché non guardare The Smashing Machine

The Smashing Machine è un gradevole ma innocuo biopic molto romanzato, sostanzialmente agiografico ed edulcorato, malgrado le sue molte sequenze, soprattutto nella parte centrale, pregne di palpabile tensione infusavi, la sentita recitazione di Johnson, ripetiamo, è lodevole ma, per correttezza e onestà, precisiamo, nulla di particolarmente trascendentale.

Un film ad alto tasso di drammaticità dai contorni inquietanti ove ci vien delineata la tragedia sfiorata da Kerr e compagna solamente però a scopo furbescamente retorico.

A dispetto delle tante emozioni che riesce a trasmetterci (e ne riconosciamo tal merito), complessivamente e stranamente si rivela fiacco e privo di vero mordente che lasci un segno memorabile. Poiché rimane freddamente in superficie, lambisce molti temi e ambienti, non sol sportivi, umanamente e assolutamente importanti senza mai però potentemente esplorarli ed entrarvi vivamente dentro con deflagrante sincera partecipazione che si discosti dalla semplice e “pompata”, solita storia, trita e ritrita, francamente molto banale e priva di guizzi originali, d’ascesa, caduta e redenzione come da dolciastra tradizione hollywoodiana, a tavolino studiata e ruffiana.

Peccato, un’occasione semi-mancata.

Il film è al cinema dal 19 novembre con I Wonder Pictures.

Regia: Benny Safdie Con: Dwayne Johnson, Emily Blunt Anno: 2025
Durata: 123 min. Paese: Stati Uniti Distribuzione (Italia): I Wonder Pictures

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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