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A House of Dynamite – Recensione del film di Kathryn Bigelow con Rebecca Ferguson e Idris Elba a Venezia 82

A House of Dynamite: Non è affatto vero che la fine della Guerra Fredda mise fine al disarmo nucleare! Perlomeno alla sua drastica riduzione, ivi il mondo sta invece collassando, a picco colando, andando in fiamme in modo irreversibile e sempre più (radio)attivo, il film non divampa però mai e si brucia in un batter d’occhio, atterrando in una landa di fantapolitica desolata e desolante

Oggi, dall’82.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, superbamente ricca ed eterogenea, recensiamo il nuovissimo opus di Kathryn Bigelow.

Ovverosia, A House of Dynamite, presentato in Concorso e rimasto, per quanto concerne i premi, all’asciutto.

A nostro avviso giustamente poiché, ribadiamo, a dispetto dell’intellighenzia specialmente statunitense che l’incensò di lodi sperticate, tant’è che già riscontra un’altissima media recensoria equivalente all’88% di pareri estremamente favorevoli su metacritic.com, a noi suscitò una mediocrissima impressione e lo reputiamo il peggior lungometraggio in assoluto di questa regista in passato sensazionale e strepitosamente innovativa. Sottostante, ve n’accenneremo celermente il perché, dunque nel prosieguo della nostra disamina meglio argomenteremo e vi spiegheremo in merito.

L’indagatoria e avveniristica Bigelow, in tal circostanza poco lucida e confusionaria, in questo suo angosciante ritratto radiografico, allarmante, “attuale” eppur al contempo forse così esagerato da sfiorar il parodico involontario, nella sua eccessività puntigliosamente seria ma sovente faceta, rischiò di rasentar la scempiaggine più ilare e deflagrante di sciocchezze a tutt’andare.

Un film che doveva essere, secondo le aspettative, una bomba, secondo gli opinionisti d’oltreoceano che infatti assurdamente rimasero concordi rispetto ai suoi pronostici. Per noi ribadiamo, al contrario, visti i risultati, perdonateci per il voluto gioco di parole, risultò un potenziale, metaforico missile a lunga gittata che possedeva negli originari intenti una forza d’urto dinamitarda ma spiacevolmente e in modo molto deludente ebbe soltanto un innocuo impatto negativo, non inteso ovviamente nel linguaggio militare…

Ma procediamo con estrema calma nell’esporvi il nostro pensiero su A House of Dynamite, partendone innanzitutto dalla trama in modo conciso riassuntavi per evitarvene detonanti sorprese imbarazzanti:

Della durata, non particolarmente lunga ma tediosa, di un’ora e cinquantadue minuti per nulla esplosivi, dal ritmo scarsamente scoppiettante, A House of Dynamite è scritto da Noah Oppenheim (Zero Day), peraltro produttore principale assieme alla stessa Bigelow. Eccovene, a grandi linee (non aeree, neppur missilistiche, eh eh), la trama sintetizzatavi brevemente:

Gli agenti d’una militaresca base situata a Fort Greely, attraverso i loro radar, tardivamente e con penosa prontezza di riflessi, rivelano che un missile orbitale, da una zona non ben definita dell’oceano Pacifico, fu lanciato in direzione di Chicago e fra venti minuti netti se ne schianterà con esiti disastrosamente apoteotici, massacrando la città in un baleno per via dei nefasti effetti radioattivi. Al che, seguiamo in tre distinti atti, mediante punti di vista differenti, l’escalation degli eventi che forse precipiteranno alla pari del missile prossimo ad abbattere la suddetta capitale dell’Illinois. I tre atti, intrecciati alle comunicazioni con gli addetti del centro operativo sopra nominato, son incentrati sulla capitanessa Olivia Walker (Rebecca Ferguson, Dune), sul generale Anthony Brady (Tracy Letts) e su nientepopodimeno che il presidente degli Stati Uniti (innominato), naturalmente fittizio, incarnato da Idris Elba. Come andrà a finire?

Cosa funziona in A House of Dynamite

Dopo un incipit concitato ed elegantemente azzeccato in puro, impeccabile stile bigelowiano d’alta scuola cineastica, A House of Dynamite pian piano si squaglia e perde sempre più quota in termini di credibilità, assumendo involontariamente i contorni d’una parodia grottesca de Il dottor stranamore mal mischiata alla natura informe d’un “conspiracy thriller” inerme e poco cataclismatico a livello emozionalmente figurato. La pregevole fotografia firmata Barry Ackroyd unita alla bella performance della bellissima Ferguson, al solito ipnotica, salvano parzialmente il film dall’esser totalmente disastroso.

Perché non guardare in A House of Dynamite

A House of Dynamite, al di là di qualche tocco di classe di Bigelow (e ci mancherebbe altro, è pur sempre una geniale regista premio Oscar), in fin dei conti, oltre che scioccamente ambizioso, tocca soventemente e gravemente vette, no, picchi di balordaggine imperdonabile. In quanto grandemente noioso, evidenziamo nuovamente, a causa d’una regia disattenta e d’uno script superficiale con tantissime battute che vanno a vuoto, ed è il caso di dirlo, non centrano assolutamente il bersaglio.

Elba risulta pantomimico e sprecato in modo infimo, stessa cosa dicasi e vale per Jason Clarke (Oppenheimer, First Man), Gabriel Basso (Giurato numero due) e tutta una compagine attoriale malamente assortita, per niente ispirata. Forse solamente costretta a interpretare ruoli bidimensionali e di spessore mancanti.

Il film è disponibile in esclusiva Netflix dal 24 ottobre.

Regia: Kathryn Bigelow Con: Idris Elba, Rebecca Ferguson, Gabriel Basso, Jared Harris, Tracy Letts Anno: 2025 Durata: 112 min. Paese: USA Distribuzione: Netflix

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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