Home / RECENSIONI / Horror / Frankenstein – Recensione del film di Guillermo del Toro con Oscar Isaac e Jacob Elordi a Venezia 82 e ora su Netflix

Frankenstein – Recensione del film di Guillermo del Toro con Oscar Isaac e Jacob Elordi a Venezia 82 e ora su Netflix

Frankenstein: Se è vero il detto… non tutte le ciambelle riescono col buco, è altrettanto, perlomeno a nostro avviso, sincero rivelarvi che non tutte le creature… filmiche di del Toro son gustose, stavolta infatti il nostro amato regista “monstre” partorì e generò un film deforme, amorfo e certamente assai più brutto di Jacob Elordi senza trucco

Dall’82.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, mai così alta qualitativamente parlando, e cogliamo l’occasione per porger i doverosi complimenti ad Alberto Barbera e ai suoi fidati selezionatori per il supremo lavoro svolto, disamineremo nelle righe a seguire, l’attesissimo, strombazzato, ahinoi e per noi, invece assai deludente, pastrocchiato e grossolano, osiamo dire, metaforicamente ed emozionalmente anemico, “esangue” e sterile Frankenstein firmato Guillermo del Toro (Pinocchio).

Autore anche della sceneggiatura, tratta naturalmente dal celeberrimo, omonimo romanzo capolavoro di Mary Shelley, da cui del Toro, per tale suo adattamento parecchio infedele e trasposizione molto personale, essendo ricolma non sol di licenze cosiddette poetiche, bensì di veri e propri cambiamenti nella trama e aggiunta di personaggi totalmente assenti invece nell’originaria novella, attinse per l’appunto in gran parte, snaturandone però colpevolmente l’essenza primordiale e personalizzando troppo, a visione solipsistica della sua poetica cineastica, la materia dalla Shelley fantasiosamente partorita e trattata nella sua opera capitale dell’horror, non sol letterario, moderno.

Avendo ovviamente ispirato una miriade di “rifacimenti” e, per dirla all’americana, adaptation delle più disparate. Frankenstein ha una durata se non mostruosa, perlomeno abbastanza esagerata e sovente soporifera, corrispondente per l’esattezza a due ore e ventinove minuti interminabili e, nel diramarsi dei suoi disomogenei tre atti, stilisticamente e per ritmo infusovi, molto scollati fra loro e sbilanciati, mal concertati da un del Toro che, per quanto da tempo immemorabile sognasse di realizzare questo suo opus oggi venuto alla luce, assurdamente ci è sembrato veramente poco ispirato e in scarsissima forma registica.

Frankenstein è un colossal dal budget imponente e stratosferico, magniloquente visivamente ma tanto ambizioso e “volenteroso”, come si suol dire, nei suoi iniziali e nobili intenti, quanto fallace e risibile nei suoi risultati finali assolutamente, negativamente grotteschi.

La vicenda, ambientata nel diciassettesimo secolo, segue a grandi linee quella del romanzo di Shelley, con tanto di incipit immancabile fra i polari ghiacci artici e il capitano Anderson (Lars Mikkelsen) che accoglie nella sua nave, intrappolata in mare, il disgraziato, menomato Victor Frankenstein (Oscar Isaac, Il collezionista di carte). Presto, sul luogo sopraggiungerà inferocita e sanguinaria la creatura (Jacob Elordi, Oh, Canada) orripilante e dalla forza sovrumanamente bestiale concepita da Victor. Mostro che compirà una terrificante carneficina spaventosa.

Victor, nel frattempo, ad Anderson racconterà minuziosamente l’origine della triste sua storia alla base del “magnifico” abominio da lui, Prometeo ante litteram, (pro)creato. Inutile vi stiamo quivi pedantemente a narrarvi noi stessi la trama del film nei suoi dettagli, nei suoi mutamenti e nel suo arzigogolato sviluppo confuso, disorganico e pasticciato.

Peccheremmo di presunzione alla pari del “folle” Frankenstein che osò sfidare le divine e lapidarie leggi della natura, tanto forse ingiusta quanto sanamente, eticamente immodificabile e “immortale” nel suo esser sia romanticamente che glacialmente tale da che mondo è mondo e sarebbe perciò immondo, per megalomane delirio d’onnipotenza (ir)razionale, volerla confutare o immoralmente, per quanto scientificamente, ribaltare, sovvertire e in modo aberrante adulterare.

Ecco, del Toro invece volle ricreare e rigenerare l’opera magna di Shelley, plasmandola a suo dilettevole sollazzo e svilì, così incoscientemente facendo, il suo stesso Frankenstein “figliato” e da lui pazzamente girato, per di più trasgredendo a una fondamentale regola basilare e aurea giammai da dimenticare.

Ovverosia, concediamogli l’invenzione, bislacca ma tutto sommato innocua, del personaggio “forgiato” ex novo, di nome Henrich Harlander, incarnato da uno scialbo Christoph Waltz (Django Unchained, Bastardi senza gloria) ma per quale diavoleria del cervello il sig. del Toro stravolse completamente quello di Elizabeth (una diafana e anonima Mia Goth) e ne cambiò i risvolti sentimentali nei riguardi di Victor?

Non si può incontrovertibilmente e non si deve in maniera inderogabile mai cambiar i connotati d’una storia non solo dell’orrore, bensì d’amore, rivoluzionarne la base portante e uno degli elementi cardine d’un classico intoccabile.

Nel romanzo, il capitano della nave si chiama Walton e qui Anderson, ci può stare, passi pure l’introduzione del ciarlatanesco Harlander, ma Elizabeth fu da sempre innamorata di Victor e qui non lo è.

Eh no! È invece creaturalmente infatuata e sensualmente attratta dalla “bestia”, divenendo una sorta di Elisa Esposito, alias Sally Hawkins, de La forma dell’acqua. Stavolta, anziché agognare l’uomo anfibio, vuole in cuor suo, sebbene inconfessabilmente, Elordi en travesti, no, poco vestito, nelle parti intime bendato ma in vesti “stropicciate” e pelli assemblate, ricucite d’altri uomini defunti e assieme resuscitati, con tanto d’organi impiantati e rivitalizzati, raccattati qua e là e ricomposti alla bell’e meglio per un carnale mosaico che di avvenente ha forse sol il faccino con tanto però d’occhio rosso con led alla Terminator. Certamente, Elizabeth è donna di buon gusto. Siamo naturalmente ironici per sdrammatizzare quest’oscenità nata da del Toro…

Frankenstein è una storia metafisica e ivi diviene corporalmente, perversamente amorale e “pornograficamente”, per nulla da intender in senso letterale, molto materiale…

Cosa funziona in Frankenstein

Siam stati forse troppo cattivi, impietosamente cinici e spietatamente duri nei confronti della creature, per dirla in lingua inglese come Shelley, nei confronti della pellicola di del Toro? Forse sì forse no.

Chiariamoci però chiaramente e perdonate il nostro gioco di parole un po’ cacofonico e ridondante, sicuramente meno abborracciato di tal caotico e irrisolto Frankenstein malvagiamente, in senso figurato, allestito. Frankenstein, a livello figurativo, è eccelso, strepitoso, ha alcuni momenti sublimi e liricamente apoteotici, nella parte centrale par decollare grazie a un paio di trovate piacevolmente, nient’affatto disgustose, volutamente e bellamente forzate attraverso scene splatter meravigliosamente truculente e coraggiose.

Scenograficamente è maestoso e sia gli special effects che il make up sono prodigiosi. La tenerezza degli sguardi, nitidi, indubbiamente cristallini e “carini” di Mia Goth ed Elordi è incantevole, Isaac, seppur solamente nella prima parte, è molto in parte… poi però si trasforma in una sorta di Kenneth Branagh dei poveri, con tanto di torso nudo, magro e scultoreo vanitosamente esibito, del suo Frankenstein con De Niro, all’epoca tanto sottovalutato, invece rispetto a questo di gran lunga superiore e maggiormente intriso di viscerale pathos ammaliante. La presenza di Waltz è “invisibile”, prima di scomparire si vede eccome ma non si fa sentire e non la cogliamo neppur per un attimo infinitesimale.

A emergerne vittorioso è insospettabilmente Elordi. Che, paradossalmente, pur truccatissimo e quasi irriconoscibile, sfodera un’interpretazione lodevole e molto raffinata. Le belle musiche del polanskiano Alexandre Desplat, per quanto avvolgenti, somigliano paurosamente a quelle di Danny Elfman, habitué a sua volta di di Tim Burton.

Perché non guardare Frankenstein

Quasi tutto, purtroppo! Che obbrobrio. Abbiamo appena sopra citato Burton, da sempre ossessionato da Frankenstein e autore infatti di Frankenweenie che del mito frankensteniano è una rivisitazione sui generis.

Del Toro, ivi, lo imita platealmente e ne sortisce un emulativo guazzabuglio e un ripugnante potpourri prolisso, indigesto salvato sol a tratti e a sprazzi da qualche magnificente trovata visionaria finalmente degna della sua nomea.

Il è uscito in cinema selezionati il 22 Ottobre ed è disponibile in esclusiva su Netflix dal 7 novembre.

Regia: Guillermo del Toro Cast: Oscar Isaac, Jacob Elordi, Mia Goth, Christoph Waltz Anno: 2025 Durata: 149 min Paese: Stati Uniti Distribuzione: Netflix

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

Guarda anche

smashing-machine-recensione-film

The Smashing Machine – Recensione del film con Dwayne Johnson ed Emily Blunt – Venezia 82

The Smashing Machine: Anche se sei una montagnosa muscolosa o una roccia la vita ti …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.