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Danny Boyle a Roma: 28 anni dopo, tra zombie, Brexit e Teletubbies

Rome (Italy), June,11 2025 - Danny Boyle attends the “28 Years Later” photocall in Rome at Hotel Eden Terrace on June 11, 2025, in Rome

Danny Boyle: Il regista britannico torna nella Città Eterna e racconta con ironia la genesi del nuovo capitolo della saga cult, tra apocalissi e sarcasmo. Al cinema dal 18 Giugno con Eagle Pictures.

Roma, 11 Giugno 2025. Immaginate la scena: io, Danny Boyle, atterro a Roma ventitré anni dopo aver scatenato il virus della rabbia nel Regno Unito e nel cinema mondiale. Mi accolgono come se fossi una rockstar sopravvissuta a tre apocalisse, due Brexit e con dirigenti Sony al seguito.

E no, non parlo di una serata a Trastevere dopo troppi Negroni, ma della presentazione stampa di 28 Anni Dopo—quel sequel che nessuno pensava sarebbe arrivato, tranne forse qualche fanatico chiuso in cantina con la VHS di 28 giorni dopo e la maglietta dei Teletubbies.

“Buongiorno a tutti,” ho esordito, con il mio miglior accento britannico e il sorriso di chi sa che il suo italiano è peggio del mio francese dopo una pinta. “Scusate, non parlo italiano, ma sono felice di essere qui.” E mentre mi presentavano con tutti i titoli possibili, da regista a sopravvissuto all’apocalisse delle domande stampa, mi sono chiesto: ma che ci faccio qui, dopo tutto questo tempo?

La risposta è semplice: non riuscivo più a camminare per Londra senza che qualcuno mi chiedesse quando sarebbe uscito il seguito. “Danny, quando arriva 28 anni dopo? Danny, gli zombie sanno ancora correre? Danny, la Brexit è colpa tua?” E così, tra una sessione di Q&A e l’altra, io e Alex Garland abbiamo deciso che era ora di tornare. Ma mica con una storiella da poco: volevamo qualcosa di più grande, più largo, più… Brexit e Teletubbies. Sì, avete capito bene, i Teletubbies. Perché il vero orrore, oggi, non sono gli zombie, ma un paese che si risveglia e scopre di essere governato da pupazzi colorati.

L’horror? Un esercizio di terapia collettiva

“Perché la gente ama ancora l’horror?” Beh, forse perché il mondo è sempre più incomprensibile. Ai tempi del primo film mi dicevano che le donne non sarebbero mai andate a vedere un horror. Oggi? Sono loro che fanno più casino nei focus group americani, discutendo se chiamarlo davvero horror o, chessò, commedia romantica post-apocalittica. Forse perché, diciamolo, chi meglio delle donne conosce la paura e la sofferenza? L’horror è diventato il modo più elegante per esorcizzare le nostre paure, disgusti e fascinazioni. È pure più economico di uno psicologo.

Il protagonista: Alfie Williams, Harry Potter e la Brexit

Il giovanissimo Alfie Williams è il cuore del film: un ragazzino cresciuto in una tribù post-apocalittica che sogna un futuro diverso, mentre la comunità intorno a lui sembra uscita direttamente dagli anni ’50 (sì, la Brexit è anche questo). I maschi cacciano, le femmine restano a casa. Ma il nostro Alfie, invece di seguire le orme del padre, decide di rischiare, di andare oltre. E qui, lasciatemi dire, i bambini di oggi recitano meglio dei miei attori di Millions. Sarà colpa di Harry Potter, ma il livello si è alzato: ora sognano tutti di essere i nuovi Daniel Radcliffe, ma con più sangue e meno bacchette.

Covid, rabbia e la nuova apocalisse

E poi, come non parlare del Covid? Quando abbiamo girato il primo film, le strade deserte di Londra sembravano fantascienza. Poi è arrivata la pandemia e tutti a dire: “Ehi, ma questo l’aveva già fatto Boyle!” La vera differenza, però, è che dopo 28 anni non puoi più vivere con la paura: impari a rischiare, a cacciare, a sopravvivere. E anche il virus—che mica è scemo—si evolve, si organizza, crea i suoi alfa e i suoi lenti. Una lezione di adattamento che neanche Darwin.

La rabbia: da virus a default emotivo

Il virus della rabbia, oggi, sembra essere diventato lo stato d’animo standard dell’umanità. Passiamo da zero a cento in un secondo, soprattutto al volante. E la colpa? Ovviamente della tecnologia, che ci illude di essere tutti protagonisti, salvo poi ricordarci che finiamo tutti nello stesso posto, ricchi o poveri, belli o brutti. Un pensiero umile, quasi speranzoso, che abbiamo voluto lasciare anche nel film, come quel memoriale improvvisato davanti al Parlamento di Londra: un muro di bigliettini rosa per ricordare chi non c’è più e chi ancora resiste.

Ottimismo, curiosità e resistenza

“Sono ottimista?”. Certo che lo sono! Faccio film cupi, ma la mia infezione non è la rabbia: è la curiosità. L’unica vera cura contro la noia, anche se—ve lo dico da regista—non esiste cura per la curiosità. E forse è proprio questo che serve oggi: meno apatia, più domande, più voglia di capire. E, perché no, un po’ di sano sarcasmo britannico.

Conclusione: un arrivederci in salsa zombie

E così, tra una domanda e l’altra, tra una battuta sulla Brexit e una sui Teletubbies, saluto Roma e i suoi giornalisti-zombie. Ma tranquilli: il secondo film è già girato, il terzo arriverà appena qualcuno scannerizza il QR code e ci manda due lire. Nel frattempo, se volete saperne di più su di me, sugli zombie o su come la Brexit abbia influenzato l’horror, fatevi un giro su internet. E ricordate: la vera apocalisse non sono gli infetti, ma chi crede che dopo 28 anni le cose non possano ancora peggiorare.

Cheers,
Danny Boyle (in fuga da Roma e dagli zombie, ma sempre con stile british)

28 Anni Dopo al cinema dal 18 Giugno con Eagle Pictures.

About Davide Belardo

Editor director, ideatore e creatore del progetto Darumaview.it da più di 20 anni vive il cinema come una malattia incurabile, videogiocatore incallito ed ex redattore della rivista cartacea Evolution Magazine, ascolta la musica del diavolo ma non beve sangue di vergine.

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