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Black Rabbit – Recensione della miniserie tv con Jude Law e Jason Bateman

Black Rabbit: Due amici-nemici strettissimamente consanguinei, vale a dire Caino & Abele ante litteram, folleggiano, imperversano, impazzano in quel della rutilante New York e quasi impazziscono in tal scalmanata lotta e rivalità non solamente fratricida all’insegna di personali, vicendevoli schermaglie per un’acida e caleidoscopica deflagrazione di colpi bassi assestati a sé stessi e di s-cena nel ristorante di lor esclusiva proprietà preziosa e privata

Oggi recensiamo la bella, sebbene forse non eccelsa, godibile miniserie intitolata Black Rabbit, distribuita globalmente su Netflix lo scorso 18 settembre, da noi presto recuperata e giustappunto nelle prossime righe disaminata, sostanzialmente piaciutaci abbastanza. Ma procediamo senz’alcuna fretta con doverosa calma…

Black Rabbit consta di ben otto episodi corposi della durata cadauno di un’ora ed è stata ideata dal duo composito e composto da Zach Baylin & Kate Susman. Che hanno bravamente allestito un saporito script concepito per una vicenda, ivi elegantemente filmataci, contorta, dal concept, come si suol dire, intelligentemente raffinato, sebbene sovente sovraccarico, presentandoci un potpourri “televisivo” dallo spettacolo assicurato se avrete la pazienza di salirne a bordo e gustarne ogni pietanza… Non però da degustar nel caotico VIP lounge od hotspot, se preferite, omonimo… Eccone la trama da noi grandemente sintetizzatavi per non rivelarvi alcuna sorpresa in cui v’imbatterete, sussultandone e restando col fiato sospeso a ogni suo strepitoso “cliffhanger”:

Nella Big Apple, ne succederanno delle belle in un caravanserraglio caotico di “matrice” familiare a gestione, in ogni senso, antagonisticamente fraterna…

Nel suo veloce, tumultuoso e frenetico incipit assistiamo, nell’episodio chiamato pertinentemente Il ciclone (The Cyclone) già un po’ storditi dallo scorrer sincopato d’immagini sparateci a raffica nella nostra abbagliata retina visiva, all’indaffarato e ambizioso, piacente e gagà Jake Friedken (un Jude Law in grande spolvero e indossante spesso spolverini sfavillanti, Il mago del Cremlino, The Order) fervidamente alle prese con gli ultimi preparativi riguardanti l’inaugurazione del suo lussuoso ristorante, denominato, come da titolo della serie tv, ancor evidenziamo, Black Rabbit.

Proprio nel topico mezzo del suo sentito e commosso discorso inaugurale, ecco che nel suddetto locale fan irruzione dei violentissimi, ladri mascherati in viso e armati che ne prendono in ostaggio alcuni avventori e gestori, seminando panico e terrore immediato, minacciando Friedken e chi gli sta attorno con delle rivoltelle affinché siano consegnati loro i soldoni conservati nella cassaforte.

Dunque, bruscamente la narrazione e la concitata mostrataci azione s’interrompono e, di flashback repentino, veniamo collocati temporalmente a un mese prima rispetto all’evento descritto.

Quando tutto ‘sto gran casino ebbe inizio forse per colpa dell’impoveritosi scavezzacollo fratello di Jake, ovvero Vince (Jason Bateman, Carry-On). Il quale si cacciò nei guai e, prostrato, cercò conforto e solidarietà al “capezzale” di Jake.

Ritornando nella metropoli ove quest’ultimo risiede e dove lui stesso dapprima abitò, cioè per l’appunto New York, chiedendogli ospitalità e ingenti aiuti finanziari.

Nascondendogli però la verità, cioè mentendogli in merito alle vere motivazioni che giocoforza lo costrinsero disperatamente a fuggir precipitosamente dal luogo ove si stabilì, quivi vivendovi da squattrinato semi barbone e, inevitabilmente, non avendo altre alternative salvifiche, inducendolo penosamente a farsi aiutare per non crollar del tutto miseramente…

Vince è oramai ridotto in povertà pressoché totale, è caduto in disgrazia per aver sperperato malamente ogni suo guadagno, accumulò inoltre degli esosi e assai gravosi debiti con dei pericolosi aguzzini e manigoldi strozzini malviventi, forse è addirittura ricercato dalla polizia per ciò che commise prima di darsi alla fuga e far sì che s’avvicinasse al ricco suo brother Jake.

Davvero riconciliandosene o inguaiando, per colpa della sua dissennatezza, lo stesso Jake, trascinandolo assieme a lui nell’abisso della morale perdizione più irrisolvibile e tremenda?

Entrambi capitoleranno, verranno inghiottiti dall’imponderabile fatuità nefasta oppur riusciranno, fra disgrazie, disavventure varie delle più disparate, miracolosamente a scamparla, uscendone trionfatori e illesi?

Dovranno per di più vedersela coi lor personali demoni e col feroce ricettatore/ricattatore boss Joe Mancuso (un gelido Troy Kotsur). Nel dipanarsi degli avvenimenti, talvolta perfino grotteschi e altamente drammatici, nell’escalation irreversibile di vicende sconvenevoli e non poco azzardate, i due fratelli litigheranno furibondamente, altresì si spalleggeranno a vicenda, si reggeranno il gioco e vivranno intensamente notti e dì infuocati, inesorabilmente improntati al rischio tanto imprudente quanto eccitante.

Cosa funziona in Black Rabbit

Discordiamo da buona parte dell’intellighenzia critica mondiale che non riservò molte parole d’elogio per Black Rabbit. A noi, ribadiamo, ha francamente intrattenuto e divertito a tamburo battente. Stupendoci in più di un’occasione vivamente.

Per merito d’una accorta direzione (i primi due episodi son peraltro diretti dallo stesso Bateman) registica che privilegia atmosfere decadentistiche dal forte impatto figurativo ed emozionale, ché sa addentrarsi con ottimo gusto in spaccati periferici inquadrati con pregiata sensibilità estetica.

Law & Bateman son affiatati e gareggiano in bravura, eccellendo per tutto l’arco temporale di questo pregevole prodotto “seriale”. Se Law qua e là, ahinoi, eccede in gigionismi leggermente eccessivi, è Bateman a vincer la sfida attoriale poiché padroneggia il suo dolente personaggio disastrato con calibrato istrionismo carismatico.

A emergere e stagliarsi nella nostra memoria è anche il muto, glaciale character cesellato da Kotsur. Ineccepibile Amaka Okafor, la chef Roxie, avvenente Odessa Young, la problematica figlia di Jake/Law, magnifica come al solito Dagmara Domińczyk (We Own This City – Potere e corruzione), ex moglie dello stesso Jake. Più defilate invece le prove assolutamente secondarie, per quanto importanti, di Cleopatra Coleman nei panni di Estelle e di Abbey Lee in quelli di Anna. Irrilevante, al contrario, la performance di Sope Dirisu. Simpatico ma mal utilizzato Robin de Jesús (Tick, Tick… Boom!).

Perché non guardare Black Rabbit

Black Rabbit effettivamente dura troppo, otto episodi di 1h ciascuno rischiano di risultar a lungo andare tediosi e i momenti soporiferi infatti si sprecano… Black Rabbit, dopo un inizio maliardo, travolgente e piacevolmente, volutamente confusionario (il che alimenta curiosità straordinaria), smarrisce il suo centro direzionale, sovente s’ingolfa senza proporci snodi particolarmente interessanti, più e più volte accartocciandosi in scene se non identiche, perlomeno simili a sé stesse in un inanellarsi di consequenziali situazioni e percorsi filmici inflazionati e prevedibili.

Ciononostante, Black Rabbit spicca per coraggiosa originalità. Sebbene sia una serie derivativa di altre analoghe, a dispetto delle sue lentezze e prolissità imperdonabili, avvince, inchioda allo schermo, possiede ed emana fascino magnetico ed è permeata da un sapor retrò adorabile sofficemente amalgamato alla lodevole e ricercata rinomanza della sua messinscena di classe.

Annotazione conclusiva: Bateman, dimagrito, conciato con tale look dai capelli scarmigliati e ondosi, con la barba ispida e l’espressione da cane bastonato però sempre pronto a risvegliar la belva indomita che, dormiente, giace silente nel suo animo rabbioso e combattivo, ci ha ricordato Michael J. Fox, versione licantropo, di Voglia di vincere.

Disponibile su Netflix dal 18 settembre.

Regia: Jason Bateman Cast: Jude Law, Jason Bateman, Cleopatra Coleman, Amaka Okafor, Dagmara Domińczyk Anno: 2025 Stagioni/Episodi: 1 stagione – 6 episodi Paese: Stati Uniti Distribuzione: Netflix

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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