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A Complete Unknown – Un garbato ritratto di Bob Dylan – Recensione

A Complete Unknown: Un garbato ma scialbo ritratto convenzionale di Bob Dylan, recensione del film con Timothée Chalamet

Oggi recensiamo l’attesissimo, finalmente arrivato sui nostri schermi, A Complete Unknown (titolo originale rimasto invariato), firmato James Mangold (Cop Land, Identità, Le Mans ‘66), film biografico, biopic se preferite, su Bob Dylan, cantautore che di certo non ha bisogno d’ulteriori presentazioni pleonastiche.

A Complete Unknown, della consistente, un po’ prolissa durata di due ore e ventun minuti, a tratti avvincente e ripiena di lirici squarci romantici non malvagi, è fresco di ben otto candidature all’Oscar fra cui Miglior Film & Miglior Regia (nei dettagli e con maggior cura, più avanti, ci soffermeremo ad elencarvi le altre, descrivendovele appieno), a mio avviso, esagerate poiché intendo chiarir subito che, a dispetto dei premi già ricevuti, delle poc’anzi dettevi candidature agli Academy Awards, malgrado la critica statunitense ne sia rimasta in gran parte entusiasta, tant’è che l’attendibile fonte metacritic.com ne riporta un lusinghiero 71% di opinioni largamente favorevoli, a me ha invece alquanto scontentato.

Seppur, in tal nostra disamina, ne evidenzieremo anche i pregi ravvisati, riguardanti in particolar modo le interpretazioni degli attori principali che accentrano su di loro in modo però parossisticamente focale l’intelaiatura del corpus filmico, spesso disomogeneo e vuoto…

Per il suo opus n. 13, Mangold, autore anche della sceneggiatura (anch’essa nominata) assieme al pregevole Jay Cocks (Gangs of New York, L’età dell’innocenza), ha attinto dall’inedito libro, inedito in Italia, intitolato Dylan Goes Electric! di Elijah Wald (da non confondere, ovviamente, col quasi omonimo attore Elijah Wood), ricavando una trasposizione decisamente romanzata, molto elegante e romantica, va ammesso, eppur sciapita e superficiale, ché sventra di netto molti episodi rilevanti dell’excursus musicale ed esistenziale di Dylan, concentrandosi quasi esclusivamente, in modo fantasioso, dolciastro ma discutibile e totalmente parziale, su quel che concernette le sue disavventure professionali e sentimentali, a loro volta legate a doppio filo alla sua anima ribelle da iconoclasta generazionale, perennemente tormentato e sovente tanto emotivamente vulnerabile e volubile quanto spregiudicato, volitivo ed eversivo in virtù della sua coriacea personalità difficilmente scalfibile, intrinsecamente inarrendevole e innatamente ambiziosa.

Trama, sintetizzatavi davvero in modo estremamente conciso, speriamo preciso, per non sciuparvene le sorprese, invero poche…

Incipit: veniamo catapultati immantinente nella rutilante New York del 1961 ove approda il giovanotto di belle speranze, vagabondo viandante e sognatore con abiti trasandati e cappellaccio da menestrello giullare, nel look paragonabile a un dinoccolato marinaio appena sbarcato nella Big Apple, Robert Zimmerman, alias Bob Dylan (Timothée Chalamet, Dune 2, Bones and All).

Il quale, spaesato eppur nel suo cuore illuminato di poetica svagatezza da cantore-incantato cantante speranzoso, al calar del tramonto, nel vivido e scintillante, tenero, melanconico e soave crepuscolo sopraggiunto, va a trovare in ospedale psichiatrico l’ex singer folk Woody Guthrie (Scoot McNairy, True Detective 3, Aftermath) che, come sappiamo, decedette a soli cinquantacinque primavere a causa dell’inesorabile progredire fatale della malattia di Huntington.

Dylan gli dedica e suona una canzone scrittagli appositamente che viene ascoltata, in loco, da Pete Seeger (Edward Norton). Il quale, impressionatone, lo invita a casa sua, divenendo da allora in poi suo inseparabile mentore, promoter e “adottandolo” artisticamente.

Cosicché, Dylan comincia a esibirsi in alcuni locali dell’hinterland newyorkese, innamorandosi, contraccambiato seppur, potremmo dire, con “tempistiche” dissimili, di due donne molto differenti per abitudini e stili di vita, ovverosia la timida studentessa universitaria Sylvie Russo (Elle Fanning, la quale torna a lavorare con Chalamet, ed esserne sua fiamma nella finzione, dopo Un giorno di pioggia a New York) e l’eccentrica, assai avvenente Joan Baez (Monica Barbaro, Fubar).

Fra amori “ballerini” e intensamente vissuti d’alti e bassi, tra incontri e concerti dei più disparati, composizioni di pezzi magistrali, fra i quali naturalmente Like a Rolling Stone e Blowin’ in the Wind, arriviamo, di salto cronologico celere eppur pregno d’avvenimenti considerevoli, nel 1965, quando Dylan, al culmine della sua spasmodica prolificità, è arrivato interamente al successo in quanto, in tal arco temporale, all’apparenza fuggevole eppur prioritario per la sua crescita non sol umana, accrebbe notevolmente la sua famosità (per utilizzare un termine desueto espressamente e letteralmente così detto nel nostrano doppiaggio) e la sua star ascese inarrestabilmente nell’empireo dei divi del rock più storico e stoico.

Dylan è divenuto, quindi, in brevissimo tempo, un’icona leggendaria e un simbolo di libertaria trasgressività idealista, forse bellamente utopista. Ma il viaggio è probabilmente sol appena iniziato, mentre il film è di punto in bianco sorprendentemente, bruscamente finito senza trasmetterci molti brividi e sussulti rilevanti.

Cosa funziona in A Complete Unknown

Dopo una prima ora orchestrata deliziosamente, emozionalmente densa e narrativamente coesa, con punte perfino struggenti, A Complete Unknown, pian piano, smarrisce consistenza e si dilunga eccessivamente in digressioni soporifere, tediandoci oltremodo in un finale interminabile e ridondante, abbastanza risibile e precipitevolissimevolmente abborracciato alla bell’è meglio in un incedere mortalmente noioso di siparietti e scenette quasi pantomimiche e stucchevoli.

Chalamet, che suona graziosamente davvero la chitarra e canta, con discreto piglio, di persona tutte le canzoni presenti, possiede allure e magnetismo da vendere ma è sinceramente troppo gracile e fisicamente troppo distante, nei tratti somatici, da Dylan. Il quale, sebbene sia stato sempre magro, aveva molta più presenza scenica sul palco.

Norton e Fanning se la cavano egregiamente ma è Monica Barbaro a svettare e a “rubarsi” la pellicola, divorandola con la sua venustà impressionante. Infatti, oltre a un’immancabile sequenza in cui, stupenda, sfodera al solito il suo statuario corpo in slip attillati, divinamente rifulge ipnotica e mostra un talento attoriale decisamente insospettabile. Catalizzando il nostro sguardo su di lei a ogni inquadratura in cui, vertiginosamente bella da impazzire, irresistibilmente attraente, polverizza chiunque le capiti a tiro nel magnetizzarci a ripetizione.

Perché non guardare A Complete Unknown

In conclusione: visivamente sgargiante, concedeteci la “licenza poetico-metaforica” come il vero Dylan dei tempi d’oro (pregiabile fotografia dell’habitué di Mangold, Phedon Papamichael), A Complete Unknown, al di là delle buone performance recitative, ha davvero poco da offrirci, rivelandosi fiacco e incolore…

Incapace di donarci e trasfonder in noi l’essenza del Dylan uomo e artista, restando fermo in un bozzettistico, agiografico ritrattino sciocco e abbastanza puerile che, da un regista maturo e sensibile come Mangold, non ci saremmo aspettati. Come detto all’inizio, A Complete Unknown ha ottenuto 8 nomination agli Oscar.

Oltre alle tre dapprima citatevi, son doverosamente, interamente dunque da menzionare le rimanenti cinque, cioè quella di Chalamet, Norton e Barbaro, giustappunto, rispettivamente come miglior attore protagonista e non protagonisti, e quelle per il suono e i costumi.

Curiosità: largo spazio vien concesso qui a Johnny Cash, incarnato da Hoyd Holbrook. Come sapete, Mangold già diresse precedentemente un altro biopic musicale incentrato su Cash che fu personificato da Joaquin Phoenix (Joker – Folie à Deux). Il quale, per tale ruolo, ebbe la nomination all’Oscar parimenti a Chalamet. Phoenix perse, Chalamet invece ce la farà? Lo sapremo il prossimo 2 marzo.

Il film è al cinema dal 23 Gennaio con Disney.

Regia: James Mangold Con: Timothée Chalamet, Edward Norton, Elle Fanning, Monica Barbaro, Boyd Holbrook , PJ Byrne, Scoot McNairy, Will Harrison, Joe Tippett, Dan Fogler, Charlie Tahan, Laura Kariuki, David Alan Basche, Eli Brown, Eric Berryman, Eriko Hatsune, Peter Gray Lewis, Peter Gerety, David Wenzel, James Austin Johnson, Joshua Henry, Norbert Leo Butz, Craig Geraghty, Andrew Kober, Molly Jobe, Andy Grotelueschen, Cilda Shaur, Clark Carmichael, Michael Chernus, Dave Maulbeck, Lorin Doctor, Kayli Carter, Junior Cius Anno: 2024 Durata: 141 min. Paese: Stati Uniti Distribuzione: Walt Disney 

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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