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A Complete Unknown – Dylan Elettrico, ma il Blu-ray Suona un Po’ Acustico (Troppo!) – Recensione Blu-Ray

A Complete Unknown: Non è un mistero per nessuno: questo Blu-ray canta bene, ma il 4K è Blowin’ in the Wind.

Accordate le chitarre e preparatevi, perché il sottoscritto, che di solchi ne ha sentiti più di un aratro in un campo del Midwest, ha messo le sue grinfie sul Blu-ray di A Complete Unknown, il biopic su quel capellone di Duluth che risponde al nome di Bob Dylan

Eagle Pictures grazie alla produzione Disney/Fox, ha finalmente sganciato in questo glorioso maggio il Blu-ray di A Complete Unknown, e io, che ho visto più cambi di accordo di un metronomo impazzito, sono qui per dirvi se vale la pena fare spazio sullo scaffale o se è meglio lasciarlo a prendere polvere come un vecchio 78 giri dimenticato.

La storia la sapete, o dovreste. È il 1961, e un giovinastro del Minnesota con gli occhi pieni di sogni e la chitarra a tracolla, tale Robert Zimmerman – che il mondo imparerà a venerare come Bob Dylan (un Timothée Chalamet che si danna l’anima e ci crede, ragazzi, ci crede!) – arriva nella Grande Mela. Il suo chiodo fisso? Incontrare il totem del folk, Woody Guthrie (Scoot McNairy), ormai un’ombra di sé stesso. L’incontro avviene, e come una ballata che prende forma, attira l’attenzione del vecchio leone Pete Seeger (Edward Norton, che non stona mai). Da lì, è un crescendo: i fumosi locali del Greenwich Village, l’amore con la giovane Sylvie Russo (Elle Fanning), l’fiuto del manager Albert Grossman (Dan Fogler).

Ma il nostro Bob non è uno che si accontenta di strimpellare cover; lui vuole raccontare la sua America, quella che freme e cambia. L’incontro con la regina del folk, Joan Baez (Monica Barbaro, una rivelazione), e quella maledetta/benedetta svolta elettrica al Newport Folk Festival del ’65, con la benedizione un po’ sorniona di Johnny Cash (Boyd Holbrook), lo consacrano. Un “perfetto sconosciuto”? Non più.

Mi hanno detto: ‘Figliolo, questa è la storia di come un uomo ha cambiato la musica con una chitarra e un po’ di elettricità’. E io ho risposto: ‘Speriamo che l’edizione home video non gli stacchi la corrente sul più bello!

Il Cinefilo Brusco, con le dita ancora sulla tastiera (della chitarra, ovviamente)

🎸 Qualità Video di A Complete Unknown: Un Palco Ben Illuminato, Ma Senza i Riflettori da Concerto Rock

Come una canzone di protesta urlata in faccia al potere: questo Blu-ray di A Complete Unknown targato 20th Century Studios/Disney e distribuito da Eagle Pictures fa il suo onesto mestiere. Il trasferimento in 1080p (formato 2,40:1 Anamorfico) ha una sua dignità, come un vecchio folksinger che conosce ancora tutti gli accordi.

I dettagli ci sono, dalle venature del legno delle chitarre alle texture dei vestiti che sembrano usciti da un baule del ’61. La fotografia di Mangold, che gioca con le luci calde e le ombre dei club, è resa con una certa fedeltà.

La grana è presente, ma è quella giusta, quella che ti fa sentire l’odore di polvere e sogni. Certo, non siamo ai livelli di un concerto dei Rolling Stones in prima fila, ma è come ascoltare un buon disco in vinile: caldo e avvolgente. Le atmosfere fumose dei locali del Village sono palpabili, ogni tanto sembra quasi di sentire il tintinnio dei bicchieri. Diciamo che è un quadro “This Land Is Your Land” più che un “Like a Rolling Stone” sparato a mille watt, ma si difende.

🔊 Audio di A Complete Unknown: La Voce del Padrone (Inglese) e un Eco Nostrano

Qui, amigos, la musica cambia, almeno se si sceglie la traccia giusta. L’originale inglese in DTS-HD Master Audio 5.1 è una bellezza, come sentire la Martin D-28 di Dylan che ti vibra nelle ossa. Le performance musicali sono il cuore di A Complete Unknown, e questo mix le tratta con i guanti bianchi: le chitarre acustiche pizzicano che è un piacere, quelle elettriche graffiano al punto giusto, e la voce di Chalamet (che canta davvero, il ragazzo!) emerge chiara e potente dal fronte sonoro. I canali surround ti avvolgono discretamente, facendoti sentire il brusio del pubblico o l’eco delle strade di New York.

L’italiano? Un Dolby Digital 5.1. Fa il suo, per carità, come un onesto turnista. Ma dopo aver sentito l’originale, è come passare da un’armonica Hohner a una di plastica. I dialoghi sono chiari, ma manca quella spinta, quella “voce del tuono” che solo l’alta definizione sa darti. Diciamo che è un “Mr. Tambourine Man” suonato con un kazoo.

💿 Contenuti Extra: Un Assolo Breve, Volevamo la Jam Session Completa

E qui, il disco di A Complete Unknown inizia a suonare qualche nota stonata, come un chitarrista con un dito rotto. Abbiamo il Commento audio del regista James Mangold, e questo è sempre manna dal cielo, come trovare un inedito di Guthrie in soffitta. Mangold è uno che sa il fatto suo e ascoltarlo è una lezione di cinema.

Poi c’è un Making of. Ora, “making of” può voler dire tutto e niente. In questo caso, è un po’ come un bis richiesto a gran voce a cui l’artista risponde con una mezza strofa. Qualche intervista, qualche dietro le quinte, ma niente che ti faccia gridare al miracolo o che ti sveli i segreti più reconditi della “svolta elettrica”. Ci aspettavamo un “Hard Rain’s A-Gonna Fall” di contenuti, ci siamo ritrovati con una pioggerellina primaverile. Non è abbastanza per un film così, non lo è.

🚨 L’Affronto Finale: Dov’è Finito Quel Maledetto, Santissimo Disco 4K UHD?!

E qui, signori miei, il Cinefilo Brusco deve alzare la voce, come un predicatore folk infervorato! Nel 2024, con un film che nasce per essere una gioia per gli occhi e per le orecchie, con una fotografia così studiata e performance che meriterebbero ogni singolo pixel e ogni sfumatura sonora possibile, NON AVERE UN’EDIZIONE 4K ULTRA HD IN ITALIA È UN SACRILEGIO! È come se Pete Seeger avesse deciso di suonare “We Shall Overcome” con una chitarra giocattolo! Una pugnalata alle spalle del vero appassionato!

Pensateci: Dolby Vision/HDR che avrebbero fatto brillare ogni singola luce di scena, ogni ombra nei club del Village, ogni riflesso sulla Fender Stratocaster di Dylan! E l’audio? Un Dolby Atmos che ti avrebbe catapultato al centro del Newport Folk Festival, con i fischi e gli applausi che ti arrivano da ogni direzione! Invece no! Ci dobbiamo accontentare di un Blu-ray che, per quanto onesto, è come ascoltare “Blowin’ in the Wind” attraverso un citofono. 20th Century Studios/Disney, vi siete persi per strada il vagone migliore del treno, quello che portava il futuro! È una “Masters of War” contro i nostri portafogli e le nostre aspettative!

🎤 Conclusione: A Complete Unknown in Blu-Ray è un Disco da Avere, Ma con la Chitarra Accordata in Tono Minore

Quindi, che dire? Questo Blu-ray di A Complete Unknown è come una buona canzone folk: ha un’anima, racconta una storia importante e ti lascia qualcosa dentro. Il film di Mangold è potente, Chalamet è una forza della natura e il cast di contorno è un’orchestra perfettamente accordata. Tecnicamente, il disco fa il suo dovere, specialmente sul fronte audio originale.

Compratelo? Sì, perché il film merita di essere visto e rivisto, e perché a volte bisogna accontentarsi di “The Times They Are A-Changin'” anche quando vorresti che cambiassero di più (e meglio!). Ma tenetevi una dose di sana indignazione per quel 4K che non c’è, come un verso mancante in una poesia perfetta. È un buon disco, ma poteva essere una leggenda. E noi le leggende le pretendiamo, cribbio!

EXTRA 1: 🎶 Il Folk Americano degli Anni ’60: Quando Tre Accordi e la Verità Scuotevano il Mondo 🎶

Signori, il folk revival americano degli anni ’60 non fu solo un mucchio di capelloni con la chitarra. Fu una scossa tellurica, un pugno nello stomaco di un’America che dormiva sonni troppo tranquilli. In un’epoca di guerra fredda che ti gelava le ossa, di lotte per i diritti civili che ti facevano ribollire il sangue, la musica folk divenne la mitragliatrice di chi non aveva voce. Woody Guthrie aveva piantato i semi, Pete Seeger li aveva coltivati, e poi arrivò la tempesta: Bob DylanJoan BaezPhil Ochs, quella gente lì.

Con chitarre che sembravano uscite dal banco dei pegni e voci che a volte erano più sgarbate di una cartavetrata, raccontavano storie di minatori, di braccianti, di emarginati. Cantavano contro la guerra, contro il razzismo, contro l’ipocrisia. Le melodie erano figlie della tradizione, semplici come il pane, ma i testi… ah, i testi! Poesia pura, coltelli affilati che andavano dritti al cuore del problema. Dai campus universitari dove i cervelli friggevano, ai grandi raduni come Newport, il folk divenne la lingua di una generazione che voleva “soffiare nel vento” le risposte. Poi arrivò il rock, e Dylan stesso gli diede una bella spinta, ma l’eco di quelle canzoni, di quell’urgenza, risuona ancora oggi. Perché quando la musica ha qualcosa da dire, la senti. Eccome se la senti.

EXTRA 2: 👑 Joan Baez: La Madrina Folk che Insegnò al Pischello Come si Sta sul Palco (e Forse Pure Qualche Accordo)

Sentite qua, scribacchini e novellini del folk: quando si parla di Bob Dylan e di come quel giovanotto arruffato sia diventato… beh, Dylan, c’è un nome che dovete tatuarvi sulla corteccia cerebrale: Joan Baez. Mettiamo le cose in chiaro come un assolo di banjo in una stanza silenziosa: nei primi anni ’60, la Baez era la Madonna del Folk, la voce che faceva accapponare la pelle e vendere vagonate di dischi. Dylan? Un talentuoso sbarbatello che bazzicava il Gerde’s Folk City, uno con più ambizione che spiccioli.

Fu lei, la Regina Joan, a prenderlo sotto la sua ala protettiva – un’ala che all’epoca copriva più stadi di un bombardiere. Non solo lo trascinava sui suoi palchi, davanti a migliaia di fedeli che erano lì per lei, ma gli faceva pure cantare le sue canzoni, quelle robe tipo “Song to Woody”, che altrimenti avrebbero fatto la muffa nei suoi taccuini. E non è che il giovinastro facesse finta di niente: anni dopo, lo stesso Bobby Z. ha ammesso che da “Joaney” aveva imparato un sacco. Quel suo modo unico di far cantare la chitarra, lui ci provò a copiarlo, ma niente, era come chiedere a un contrabbasso di fare il virtuoso come un violino. E la scelta dei brani? La Baez aveva un repertorio che era avanti anni luce, un faro nella nebbia per chi, come Dylan, stava ancora cercando la sua “Highway 61”. Lei diede risalto ai suoi pezzi, portando le sue tematiche di protesta e giustizia sociale a un pubblico vastissimo, molto prima che Dylan diventasse un nome sulla bocca di tutti.

Poi, si sa come vanno queste cose nel grande circo della musica: il pupillo diventa più famoso del mentore, si monta la testa, si compra una Stratocaster e ti saluta da lontano, magari dimenticandosi di ricambiare il favore quando è il suo turno di ospitare sul palco. Ma che vi serva da lezione: ogni volta che sentite una canzone di protesta del primo Dylan, o un arpeggio che vi sembra particolarmente ispirato, ricordatevi che dietro c”è stata una Regina che, con la sua voce cristallina e la sua chitarra, ha indicato la strada. Senza di lei, forse, “Blowin’ in the Wind” sarebbe rimasta solo una corrente d’aria nel Village.

About Davide Belardo

Editor director, ideatore e creatore del progetto Darumaview.it da più di 20 anni vive il cinema come una malattia incurabile, videogiocatore incallito ed ex redattore della rivista cartacea Evolution Magazine, ascolta la musica del diavolo ma non beve sangue di vergine.

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