Sugar – Recensione della serie tv con Colin Farrell
Oggi finalmente recensiamo, dopo averla visionata e completata interamente, ammirandola nel lungo e contorto suo fascinoso e avviluppante snodarsi e snocciolatoci intreccio morbido e carezzevolmente noir, la bella e intrigante miniserie Sugar, i cui primissimi due episodi iniziali, assieme poi a tutti gli altri, questi ultimi distribuiti regolarmente a scadenze settimanali, son stati emessi in streaming su Apple TV+ in data 5 aprile.
Sugar, nella sua totalità, consta di otto puntate della durata cadauna di circa quarantacinque minuti, sebbene il minutaggio di ciascun segmento oscilli e alcuni episodi superino di poco la mezz’ora. Sugar è una serie diretta da Fernando Meirelles (I due papi, City of God) assieme ad Adam Arkin e creata dal fantasioso Mark Protosevich (Io sono leggenda). Protosevich ne è produttore esecutivo assieme al suo interprete principale, ovvero Colin Farrell, uno dei maggiori fautori e sostenitori di tal progetto, per l’appunto, da lui stesso finanziato. La trama, pertinentemente riassuntaci concisamente da IMDb, sottostante fedelmente trascrittavi, è la seguente:
L’investigatore privato John Sugar esamina la misteriosa scomparsa di Olivia Siegel, nipote di un leggendario produttore di Hollywood.
La ragazza sparita nel nulla, forse morta o forse no, si chiama Olivia, interpretata da Sydney Chandler, mentre John Sugar è incarnato, come dettovi, da un Colin Farrell (Gli spiriti dell’isola) in forma smagliante che, nei panni giustappunto del private eye suddetto, divorato da interiori demoni più dedalici d’una città degli angeli angosciosa ma al contempo abbacinante con le sue luci al neon fluorescenti, svetta e riluce di carismatica, attoriale brillantezza. Muovendosi, spericolato eppur al contempo scafato e sempre elegante con aplomb da uomo navigato, a passo felpato, in senso tout–court, in tal tentacolare e tentatrice, seducente eppur perversa, serpentesca Los Angeles che cela molti insospettabili, neri scheletri nell’armadio veramente orripilanti.
John Sugar, coi suoi modi impeccabili da distinto gentleman, però pervaso da eterni dubbi esistenziali figli della sua inquieta e innata anima tormentata, solitariamente ci accompagna in un enigmatico, suggestivo viaggio nelle tenebre chiaroscurali d’un rebus investigativo da perdervi il sonno e ogni proverbiale calma. John Sugar manterrà il suo invidiabile self–control e riuscirà a risolvere il difficile caso, districandosi fra ingannatori, doppiogiochisti, uomini e donne truffaldini e assai volpini?
Il produttore hollywoodiano, di nome Jonathan Siegel, sopra menzionatovi, ha le fattezze del veterano e venerando, al solito bravissimo, James Cromwell, già eccellente, circa tre decadi or sono, nel magnifico L.A. Confidential. E non è un caso che qui, sebbene in un ruolo dissimile dall’opus di Curtis Hanson appena citatovi, in modo citazionistico, perdonateci per il gioco di parole, compaia a mo’ di prosecuzione meta-cinematografica della sua carriera filmografica. Sugar, inoltre, è una serie tv il cui protagonista, oltre ad essere ovviamente un detective specializzato nel rintraccio di persone misteriosamente scomparse, è un incallito cinefilo positivamente inguaribile, particolarmente amante delle pellicole in B/N della Golden Age della Grande Mecca.
Inoltre, dopo l’incipit sfolgorante, in quel di Tokyo, John entra in possesso, consegnatagli dalla sua amica fidata, Kirby/Ruby, della stessa pistola utilizzata da Glenn Ford ne Il grande caldo.
Basterebbe ciò per farvene capire l’assunto, lo sviluppo e il character study enucleato e contenutovi. Sugar, infatti, bilanciando e miscelando, con arguzia, sottile gusto e pregiata sofisticatezza, i toni dramedy a quelli più svagati e romantici a loro volta shakerati a dinamiche e violente scene action, si muove puramente e suadentemente nell’affascinante territorio del mero e assai intelligente vivere e scintillante vivificarsi di perpetui riferimenti alla splendente settima arte appartenente specialmente agli anni d’oro del divismo ove a farla da padrone erano le sinuose, irresistibili dark ladies e gli uomini duri, peraltro sovente personificanti investigatori privati… à la Humphrey Bogart o ad analoghi Marlowe, (personaggio, come sappiamo, reso celebre da Bogie stesso ne Il grande sonno) del passato e del presente.
Cosa funziona in Sugar
Il cast è perfetto e, oltre ad un Farrell, ribadiamo, lui stesso qui divo assoluto, e d’un consuetamente preciso Cromwell, si avvale di presenze incisive ed eterogenee, fra cui spiccano Amy Ryan (La guerra dei mondi) nei panni della fittizia, quasi sempre ubriaca e disillusa, ex rockstar Melanie, d’una attraente e simpatica Kirby (da non confondere con Vanessa Kirby) che incarna, specifichiamo ancora, Ruby, la miglior confidente e amica di John, di Nate Corddry as David Siegel, cioè il nipote del tycoon Jonathan, di Dennis Boutsikaris nei panni del padre di David e figlio a sua volta di Jonathan, di Anna Gunn/Margit e di Alex Hernandez/Kenny, assieme a tanti altri attori che non staremo quivi puntigliosamente ad elencarvi.
Cosicché, a partire dai mirabolanti ed estrosi titoli di testa stilizzati, episodio dopo episodio, veniamo inondati in maniera caleidoscopica da un tourbillon visionario e catapultati all’interno d’un allucinante e variopinto game arabesco di frames voluttuosi e visivamente avvolgenti, oltre che, rimarchiamo nuovamente, a forti tinte hard–boiled congiunte istrionicamente alla cinefilia impregnata e, potremmo dire, fantasiosamente e metaforicamente, innervata di memorabilia meravigliosa.
Cosa non funziona in Sugar
Dopo un inizio strabiliante e assai coinvolgente, Sugar s’accartoccia dal secondo episodio sino al quarto, perdendo un po’ quota e annoiandoci con una narrazione meno inventiva e più accodata a una lineare canonicità prevedibile, martellandoci con un’insistita voce narrante invadente. Però poi si riprende, riacquisendo in sveltezza e dinamicità anche visiva. Sebbene, nella sua completezza e finale compiutezza, possiamo considerarla una serie tv soddisfacente e con molte idee veramente geniali, persino innovative e ficcanti.
La serie Tv è disponibile in esclusiva streaming su Apple TV+ in data 5 aprile.
Regia: Fernando Meirelles, Adam Arkin Con: Colin Farrell, Massi Furlan, Nate Corddry, Bernardo Badillo, Sydney Chandler, Txunamy Ortiz, Darwin Shaw, Don DiPetta, Scott Lawrence, Dennis Boutsikaris, Adrian Martinez, Cameron Cowperthwaite, Carlos Solórzano, Alice Amter, Amy Ryan, Kirby Howell-Baptiste, Natalie Alyn Lind, Marisa Echeverria, Kazuma Suzuki, Yoshio Maki, Avery Bagenstos, Jamil Zraikat, Eric Lange, Lauren Shaw, Alice Rietveld, Elizabeth Anweis, Cheyenne Perez, Julia Belanova, Flor de Maria Chahua, Patrick Day, Kalina Vanska, Girvan ‘Swirv’ Bramble, Hope Banks, David Saucedo, Seya Hug, Jaime Alvarez, Geoff Nathanson, John A. Lorenz, James Cromwell, Anna Gunn, Lindsay Pulsipher, Alex Hernandez Anno: 2024 Numero episodi: 8. Paese: USA Distribuzione: Apple TV+
Con il suo inconfondibile, inossidabile ed irresistibile stile, l’amico Stefano Falotico recensisce questa pregevole serie che, seppur con qualche difetto (ma chi non ne ha?) mi riporta a periodi ed atmosfere a me più congeniali,svincolandosi alquanto dal piattine odierno…Colin Farrell mi ricorda vagamente il James Gardiner ( o Garner?) di Agenzia Rockford,, ma con più incisività,ritmo ed introspezione psicologica.
Che altro aggiungere?… Stefano ha già magnificamente illustrato e descritto il tutto.
Da vedere.
See you soon