La stanza accanto – Recensione del film Leone d’oro a Venezia 81 di Pedro Almodóvar con Julianne Moore e Tilda Swinton.
Dall’81.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, recensiamo La stanza accanto, vincitore del Leone d’oro, a nostro avviso purtroppo immeritatamente, il cui titolo originale, come sappiamo, per il mercato globale, è The Room Next Door.
Film della durata di centosette minuti, presentato in laguna il dì 2 settembre scorso che sui nostri schermi uscirà invece tre mesi dopo, per l’esattezza il 5 dicembre prossimo. Lungamente applaudito alla sua anteprima, osannato e subissato di lodi dall’intellighenzia critica, troppo generosa e indulgente, a nostro avviso, non è la miglior opera del suo grande e indiscusso regista Pedro Almodóvar (Dolor y gloria), tantomeno il capolavoro che molti credono sia o che s’aspettavano, sebbene ammettiamo e premettiamo che trattasi di opus importante con molti momenti toccanti e al solito ineccepibilmente girato magistralmente.
Sceneggiato dallo stesso Almodóvar che liberamente adattò il racconto originario della scrittrice Sigrid Nunez, da noi edito col titolo Attraverso la vita (What Are You Going Through) con aggiunte ovviamente colorate e melodrammatiche dei suoi personali tocchi lirici in linea col proprio inimitabile stile cineastico oramai consolidato e facilmente riconoscibile.
Ne La stanza accanto, parimenti al libro, si narra dell’amicizia dapprima interrotta a causa d’un litigio e d’alcune incomprensioni e futili battibecchi, poi ricominciata per le ragioni che sottostante v’esporremo, fra la scrittrice di successo Ingrid (una radiosa Julianne Moore, Next, debitrice nel look ad Ingrid Bergman, e ciò vien ampiamente palesato) e la reporter inviata di guerra Martha (Tilda Swinton), quest’ultima ammalatasi di cancro. È proprio la malattia tumorale di Martha a indurre Ingrid, appresane tristemente la notizia, ad andar a trovarla in ospedale, riconciliandosene e standole vicino lungo il breve arco temporale del suo calvario fisico e psichico.
Le due donne, col trascorrere dei giorni, fra confidenze intime scambiate affettuosamente, attimi di dolorosa e al contempo sdrammatizzante e perfino ironica evocazione dei loro amori trascorsi ed esperite vicende, più o meno esistenzialmente dure e traumatiche (Martha, perse il marito), vissute, nell’alternarsi malinconico di profonde riflessioni e ricordi sepolti e poi riemersi dalla coscienza, si terranno reciprocamente compagnia sin all’arrivo ineluttabile della morte fatale per Martha sopraggiunta e probabilmente addirittura praticatasi con un’illegale eutanasia? Sì, è una domanda per non svelarvi il finale, ovviamente.
Scopriremo, inoltre, che tutte e due instaurarono, seppur fugacemente, una relazione amorosa e fortemente sentimentale con Damian (John Turturro, Il nome della rosa), uomo eccentrico, egoista, non poco problematico e disilluso. Or qui ci fermiamo a raccontarvene la trama per non sciuparvene nuovamente la visione.
Cosa funziona ne La stanza accanto
Musicato carezzevolmente da Alberto Iglesias e fotografato divinamente, forse persino sin troppo elegantemente ai limiti dello stucchevole più manierato, da Eduard Grau (A Single Man), La stanza accanto, citazionistico a iosa e con espliciti richiami ad Alfred Hitchcock e al John Huston di The Dead – Gente di Dublino, a sua volta ricavato da James Joyce, innumerevoli volte “chiamato in causa”, è recitato consuetamente in maniera egregia dalle sue due splendide attrici protagoniste, sebbene, osserviamo altresì che la loro recitazione a tratti ci sia apparsa artefatta e paradossalmente, terribilmente consapevole dei loro rispettivi talenti giganteschi.
Infatti, sia Moore che Swinton soventemente ostentano vanitosa smania di sembrare superbe a tutti i costi, compiacendosi d’essere spesso inquadrate da Almodóvar con interminabili, estenuanti eppur adoranti primi piani insistiti e risaltanti sia i loro ipnotici sguardi che ogni lor minima espressione facciale.
Pedro Almodóvar immerge il suo film in soavi atmosfere languide come se fossimo stati catapultati in un dipinto di Edward Hopper e, nell’ultima mezz’ora, par optare, in modo intrigante, verso una virata detection da thriller d’alta scuola. Compare anche l’ottimo Alessandro Nivola, peraltro co-protagonista qui a Venezia di The Brutalist con Adrien Brody, nei panni d’un bigotto commissario sospettoso.
Perché non guardare La stanza accanto
La stanza accanto è impeccabile a livello formale, financo esageratamente estetizzante e la regia è sinuosamente poetica e delicata ma, assurdamente, in tale vaporosa, femminile storia d’amicizia confidenziale di gioie perdute e rimembrate, di dolori giammai anestetizzati e ancora emotivamente cicatriziali, a mancare è forse davvero l’anima e un sentito pathos viscerale.
Malgrado alcuni frangenti obiettivamente toccanti, La stanza accanto non colpisce veramente al cuore e rimane un algido esercizio di stile solamente “bello da vedere” ma stranamente vuoto, avviluppato e rattrappito com’è dalla sua calligrafica, maniacale ricerca sofisticata di perfezionismo qui stantio. Non prende mai il volo e non s’innalza affatto a capolavoro, restando imbrigliato e soffocato nella sua freddezza intangibile.
Al cinema da giovedì 5 dicembre con Warner Bros. Italia.
Regia: Pedro Almodovar Con: Julianne Moore , Tilda Swinton , John Turturro , Alessandro Nivola, Melina Matthews , Vicky Luengo , Juan Diego Botto , Raúl Arévalo Anno: 2024 Durata: 107 min. Paese: Spagna Distribuzione: Warner Bros Italia