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L’esorcismo – Ultimo atto – Recensione del film con un Russell Crowe indiavolato

L’esorcismo – Ultimo atto – Recensione del film con un Russell Crowe indiavolato

Oggi recensiamo il film L’esorcismo, “sottotitolato” per la versione e distribuzione italiana, avvenuta lo scorso 30 maggio tramite la Eagle Pictures, Ultimo atto, il cui titolo originale è il letterale, identico dunque, The Exorcism, ovviamente da non confondere con l’epocale, insuperato e immarcescibile “capostipite” di tante pellicole epigone, ovverosia il capolavoro inarrivabile e “seminale” del compianto William Friedkin, ça va sans dire, L’esorcista. Che, peraltro, assieme a Il presagio viene ampiamente e dichiaratamente quivi citato.

L’esorcismo, opus di un’ora e mezza circa, scritto e diretto dal giovane Joshua John Miller insieme ad M.A. Fortin (non annoverato però come co-director nei crediti), avente per protagonista lo stacanovista Russell Crowe (American Gangster), a sua volta da non confondere con L’esorcista del papa di cui interprete fu nientepopodimeno che lo stesso Crowe nei panni d’un padre Amorth assai sui generis e molto romanzato, oltre che molto più in carne in confronto al reale Gabriele Amorth che fu. Siamo ovviamente scherzosi e profondamente ironici a riguardo.

L’esorcismo, girato nel 2019 e anteriormente dunque rispetto al lungometraggio appena citatovi, vale a dire, ribadiamo, The Pope’s Exorcist, giustappunto vien solamente or diffuso nelle sale e recuperato a posteriori, in virtù del successo ottenuto dall’opera realizzata, appena menzionatavi, di Julius Avery, peraltro tanto dai critici bistrattata, ridicola in maniera involontaria eppur parimenti e stranamente apprezzata dal pubblico in modo largamente inaspettato.

Invero, per dovere di giustezza, diciamo, fedele… alla realtà cronachistica, L’esorcismo – Ultimo atto esce solamente ora sul grande schermo, non solo da noi, bensì pressoché mondialmente quasi in contemporanea (negli Stati Uniti, la prossima settimana), anche a causa del fatto che fu finanziato dalla decaduta Miramax di proprietà dell’ex tycoon Harvey Weinstein, come sappiamo, in seguito al suo scabroso scandalo sessuale, caduto in disgrazia. Specificatovi e premesso pertinentemente ciò, procediamone con la disamina recensoria. Accennandovene soltanto sinteticamente la trama e delineandola a grandi linee per non rovinarvene la visione con ingiustificati spoiler non necessari:

Un attore di mezz’età, Anthony Miller (Crowe), già sull’orlo del collasso psichico, in quanto eternamente combattuto dai suoi interiori demoni giammai veramente vinti, appartenenti a un tetro passato molto scuro, aggravatosi in seguito alla morte della moglie avvenuta per Cancro, pare aver cancellato i problemi mentali e da conseguente alcolizzato cronico che l’afflissero, cosicché è sul punto di riprendersi in toto quando viene scritturato per interpretare un film, neanche a farlo apposta, dell’orrore. Inoltre, sta rimettendo in sesto il conflittuale rapporto ostico con la sua figlia teenager, Lee (Ryan Simpkins), espulsa da scuola a causa dei suoi comportamenti indisciplinati.

Durante le riprese del film che lo vede protagonista, sotto la direzione del fiducioso eppur irascibile e via via sempre più insoddisfatto Peter (Adam Goldberg), nel quale incarna un esorcista, rimpiazzando inoltre un attore deceduto in circostanze non poco sospette, cominciano ad inanellarsi una serie d’ignoti ed imperscrutabili accadimenti non poco inquietanti e soprattutto razionalmente inspiegabili per cui Anthony vien inghiottito, giocoforza, nuovamente in un’agghiacciante, vorticosa spirale spettrale e tenebrosa ai confini della realtà, sfiorando la pazzia più infernale.

Qual è il gelido mistero che tormenta Anthony e forse una creatura demoniaca l’ha veramente posseduto, divorandone mostruosamente l’anima, martoriandolo a fuoco lento sin a bruciargli il cuore e rubandogli la residua forza vitale? Lo spirito satanico d’una presenza terribilmente ancestrale sta aleggiando sinuosamente nefando in quel del set del film oppure è semplicemente mera suggestione tanto paurosa quanto irrealistica? Quindi, irrompe un vero esorcista, Padre Conor (David Hyde Pierce).

Cosa funziona ne L’esorcismo – Ultimo atto

Morbidamente fotografato con elegante stile da Simon Duggan (La battaglia di Hacksaw Ridge, Killer Elite, Furiosa: A Mad Max Saga), capace cromaticamente di donarci pertinenti e cupe atmosfere rarefatte, perfettamente allineate al clima torpido della nera e macabra vicenda illustrataci, diretto perfino in maniera non malvagia, sorretto dalla rocciosa presenza corposa d’un Russell Crowe efficace (a cui, per l’ennesima volta egregiamente, il doppiatore Luca Ward dona pugnace possanza vocale per l’edizione nostrana), L’esorcismo – Ultimo atto non è disdicevole e addirittura si lascia vedere abbastanza volentieri.  

Riuscendo infatti a terrorizzarci in alcune scene raccapriccianti e, in effetti, spaventevoli che naturalmente non vi riveleremo. Che però arrivano forse tardivamente dopo un’estenuante prima ora soporifera, sterile e priva d’ogni pathos emozionale e dagli inesistenti brividi.

Perché non guardare L’esorcismo – Ultimo atto

Nel suo insieme, volutamente di “serie b”, kitsch e demodé, da pellicola pacchiana, per dirla all’americana, garbage, funziona discretamente ma è un lungometraggio grossolano oltremisura, narrativamente pasticciato, scioccamente strampalato ed enfatico in modo esagerato. Non sa mai quale esatta strada imboccare, oscillando fra il dramedy esistenziale, poco convincente e veramente scarso in termini di profondità psicologica (vedasi, per esempio, il mal sviluppato e generazionale rapporto padre-figlia, banalmente stereotipato), e L’esorcismo è, come si diceva una volta, un film di paura, in verità, come sopra dettovi, dalla carburazione a scoppio ritardato e sostanzialmente troppo grottesco per risultare appassionante. Alla fin fine, tralasciando l’interessante idea del suo originale script e curioso incipit peculiare, mischiante finzione, meta-cinema e dietro le quinte citazionista, L’esorcismo si rivela fallimentare, sebbene valga la pena dargliene un’occhiata.

Avrete certamente notato che il regista fa di cognome Miller alla pari del mitico Jason Miller del succitato, friedkiniano L’esorcista così come il character di Crowe. Quindi, è chiarissimo e ineludibile l’evidente omaggio emblematico allo scomparso eppur giammai dimenticato, leggendario Jason/Padre Damien Karras da parte dell’autore de L’ultimo esorcismo. Il quale, però, non è imparentato con Jason Miller e la sua omonimia è perciò completamente casuale.

Nel cast, insospettabilmente eterogeneo, breve comparsata di Samantha Mathis (American Psycho), Chloe Bailey che interpreta Blake Holloway, la ragazza lesbica e di colore della quale s’innamora, ricambiata, Lee, soprattutto incarnante l’indemoniata, potremmo dire, del girato film nel film, e piccolo ma centrale ruolo per Sam Worthington (Avatar) nei panni di Joe, strenuo e irriducibile ammiratore del collega attore Miller/Crowe.

Ora, concedeteci una personalissima osservazione e qualche “divagazione”. Impazzano ultimamente i film sugli esorcismi e negli scorsi mesi, infatti, assistemmo al contestato, non apocrifo, assai criticato, L’esorcista – Il credente di David Gordon Green, riesumante, potremmo dire, la veterana e strepitosa Ellen Burstyn, la giammai scordata Chris MacNeil, ovviamente, del succitato The Exorcist, mentre poco più d’una decade or sono, uscì Il rito di Mikael Håfström con Anthony Hopkins e Rutger Hauer. Solo per citare alcuni casi di possessione? No, di “resurrezione” di tal genere horror apparentemente “decrepito”, anzi quasi deperito, invece più che mai ravvivato e riavviatosi, al contempo opinabilmente resuscitato. Uno strano, imperscrutabile fenomeno, metaforicamente parlando, di matrice luciferina con l’ombra del Maligno serpeggiante nella settima arte, financo più beceramente commerciale, a base di reboot e affini eufemisticamente bislacchi, basato su rituali esorcistici e similari macabrità di sorta, sta invadendo il cinema non solo americano, forse incapace, permetteteci di giocar con le parole, d’esorcizzare la sua diabolica e angosciante mancanza d’idee incolmabile? Forse sì. Ciò ci appare come il colmo dei colmi e risulta sia deprimente che raggelante. Siamo al culmine della cinematografica vuotezza più sconsolante e, figurativamente parlando, mefistofelica? Un mistero probabilmente arcano o da arcangeli come Gabriele & San Michele.

Al cinema dal 30 Maggio con Eagle Pictures.

Regia: Joshua John Miller Con: Russell Crowe, Ryan Simpkins, Chloe Bailey, David Hyde Pierce Anno: 2024 Durata: 93 min. Paese: Stati Uniti Distribuzione: Eagle Pictures

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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Un commento

  1. Davvero un film pacchiano… bravissimo Stefano!

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