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After Life – Recensione della serie tv con uno strepitoso Ricky Gervais

After Life: Recensione della serie tv di Netflix con uno strepitoso Ricky Gervais

Oggi abbiamo pensato di recensire finalmente una bella, corposa e molto fascinosa serie tv d’un paio di anni fa, distribuita su Netflix, scritta, diretta, interpretata e prodotta dall’istrionico e provocatorio, oramai arcinoto e controverso Ricky Gervais (Armageddon), ovverosia After Life.

After Life consta di tre stagioni i cui rispettivi, sei episodi durano circa mezz’ora cadauno. Il primo episodio, in assoluto, è stato trasmesso nell’8 marzo del 2019, mentre l’ultimo e definitivo in data 13 gennaio di tre anni dopo, cioè nel 2022. Trama:

La vicenda verte su un curioso personaggio di nome Tony (Ricky Gervais), giornalista di un piccolo magazine locale, caduto in profonda, irreversibile depressione acuta dopo la morte, causata da un impietoso e inguaribile cancro, della sua ex moglie Lisa (Kerry Godliman).

Preoccupati per il suo grave stato di salute mentale, coloro che lavorano con lui e le persone che quotidianamente incrocia lungo il suo percorso esistenziale tentano di salvarlo dall’incombente suo malessere crescente. In primis, il suo caporedattore e cognato, Matt (Tom Basden), e il suo amico e collega Lenny (Tony Way).

Intanto, suo padre (David Bradley) soffre di Alzheimer in stato avanzato e risiede in una casa di cura ove sta pazientemente ricevendo assistenza medica da un’infermiera avvenente e premurosa (Ashley Jensen) di cui Tony è rimasto folgorato e quindi n’è, segretamente, invaghito.

Costei, assieme a tutti gli altri, riuscirà a salvarlo e di Tony, a sua volta, s’innamorerà? Ne succederanno delle belle in un alternarsi degli umori di Tony, altalenanti, e nell’incedere sinuoso, perfettamente ritmato e incalzante di esilaranti, strambe e grottesche situazioni strampalate e sovente perfino inverosimili e paradossali.

Cosa funziona in After Life

Sorretto dalla verve incontenibile d’uno scatenato e al contempo straordinariamente intenso, pimpante e, nelle molte scene drammatiche, altresì misurato Gervais eccezionale, affiancato da una altrettanto affiatata squadra attoriale composta e composita di “caratteristi” ad hoc, in cui spiccano, fra i tanti, le presenze, solo per citarne alcune, di Diane Morgan nei panni di Kath, di Ethan Lawrence/James, Mandeep Dhillon/Sandy, Jo Hartley/June, David Earl/Brian, Joe Wilkinson nel ruolo del postino Pat, Paul Kaye in quello dello psichiatra farfallone, Roisin Conaty as la sensibile e tenera prostituta Roxy, di Penelope Wilton come la vedova Anne, divenuta consigliera di vita per lo spaesato Tony. Insomma, come si suol dire, chi più ne ha più ne metta.

After Life, specialmente nelle prime due stagioni, rifulge di vita propria e assai eccelle lodabilmente, toccando financo alte vette d’alta poesia struggente, forse abbassandosi sol leggermente di livello nella tranche conclusiva, risultante infatti, però solamente a tratti, quindi comunque appieno promuovibile e molto godibile, giocoforza ripetitiva, meno efficace e sferzante, omogenea rispetto, giustappunto, alle precedenti stagioni, evidentemente più sentite, ruspanti e allo stesso tempo vivaci, eclettiche e impregnate, ancor evidenziamo, d’una atmosfera sia graffiante e bellamente sarcastica, fortemente comica, che leggiadramente melanconica e soavemente melodrammatica.

Perché non guardare in After Life

After Life, pur rivelandosi, nella sua totale interezza, una serie tv imperdibile, talvolta, scade in alcune cadute di gusto vistose e imperdonabili, smarrendosi in numerosi sketch, se non del tutto inutili, perlomeno non necessari e perciò dispersivi, soprattutto pian piano, inevitabilmente, essendo una serie impostata, pur con alcune new entries, variazioni tematiche e narrative, pressoché sugli stessi eventi e personaggi che similmente e ciclicamente ritornano a scadenze regolari, perde quota notevolmente, peccando inoltre di qualche buonismo retorico un po’ fasullo, per di più, ahinoi, non propriamente in linea col realistico, tipico cinismo sano à la Gervais, conclamata icona, oramai, del pungente politically scorrect, in fin dei conti, null’affatto irritante se lo si accetta e prende per il verso giusto sin dapprincipio senza pregiudizio alcuno, bensì spesso sincero e, vivaddio, addirittura letizioso nel suo essere così adorabilmente vero e giocoso, beffardamente goliardico e fervidamente, fortunatamente né ipocrita né consolatorio.  

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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