Lightyear – La vera storia di Buzz: Secondo film alla regia per Angus MacLane, dopo “Alla ricerca di Dory”, che ci racconta come è nato il giocattolo di successo dello Space Ranger, eroe del mondo Pixar di Toy Story. Curiosità: il personaggio in originale è doppiato per la prima volta da Chris Evans, il Captain America della Marvel.
Perché nel 1995 il piccolo Andy era così contento nell’aver ricevuto come regalo un pupazzo di Buzz Lightyear, cambiando per sempre la vita dello sceriffo Woody e dei suoi amici giocattoli?
Lo Space Ranger di plastica non è soltanto un omaggio a Buzz Aldrin, ma il protagonista di un film uscito proprio in quell’anno al cinema (solo nel mondo di Toy Story, naturalmente).
Un film che nella nostra dimensione arriva soltanto oggi, nel 2022, in modo da farci vedere come è nato il personaggio per cui ogni giocattolo darebbe le sue parti mobili pur di essere come lui.
In realtà non è la prima volta che vediamo in azione Buzz Lightyear in tutta la sua potenza, non come giocattolo ma come vero Space Ranger: oltre al prologo videoludico del secondo film, i più appassionati del franchise ricorderanno il film animato in 2D “Buzz Lightyear da comando stellare: si parte!” e la serie animata derivata da quest’ultimo.
Una domanda che molti si saranno posti, alla luce di questa sinossi, è decisamente questa: Lightyear va in qualche modo a compromettere la canonicità di questo passato?
Per nulla, o quasi (non diciamo altro per evitare spoiler) perché la nostra storia comincia prima dell’incontro tra Buzz e Zurg, quando il nostro Space Ranger si trova bloccato su un pianeta ostile con la sua squadra spaziale. L’unico modo per tornare a casa è riuscire ad ottenere un nuovo fluido per la super velocità. Peccato che ad ogni tentativo l’esperimento fallisce, e per di più, se per lui che lo testa passano solo pochi minuti, i suoi amici sul pianeta invecchiano invece di almeno quattro anni. Dopo pochi tentativi cambiano dunque tante cose, finché un nuovo nemico rende ancor più difficile la sopravvivenza della base, e il loro ritorno sulla Terra. Riuscirà almeno a salvare la sua squadra?
Cosa funziona in Lightyear – La vera storia di Buzz
Abbiamo un’animazione 3D che migliora sempre di più (il dettaglio delle mani di Buzz appena uscito dalla capsula ne è una più che valida dimostrazione), tanta azione, riferimenti alla saga originale, diversi momenti comici dai tempi azzeccati. Ma sono cose che in fondo si vedono in quasi tutti i film Disney Pixar, quindi, cosa ci offre di più Lightyear rispetto al passato?
Innanzitutto, la scienza. La teoria della relatività di Einstein, già portata al cinema in passato in diverse occasioni (uno degli esempi più celebri e più datati è senza dubbio “Il pianeta delle scimmie” del 1968) è come già detto decisamente presente nella trama di questo film, creando non solo curiosità scientifica nei confronti dello spettatore ma anche tanta commozione, come già visto in “Interstellar“.
L’ambientazione di Lightyear è decisamente suggestiva, perché oltre ad inserire la tecnologia di Buzz già presente nella saga di Toy Story, o palesi rimandi a quella di Guerre Stellari, inserisce altri elementi tipici degli anni ‘90. Come il gatto robot Sox che nel suo design e nei suoi movimenti ricorda i giocattoli targati Giochi Preziosi degli anni ‘90 (il cagnolino Bobby).
Una fantascienza tra ciò che già conosciamo e ciò che potrebbe un giorno essere realizzato, in poche parole, come nella serie classica di “Star Trek“, e poi ci sono gli importanti valori formativi che il film intende giustamente trasmettere.
Non solo una squadra di umani di varie etnie che collabora senza problemi tra di loro (ma in una storia ambientata nello spazio e in un ipotetico futuro non è certo una novità) ma soprattutto una vera rappresentazione di una coppia LGBT in un film Disney dedicato alle famiglie.
Chi scrive in passato ha più volte criticato l’inserimento molto relativo di queste tematiche, che potevano essere facilmente oscurate o ridoppiate nei Paesi culturalmente arretrati, ma stavolta è davvero impossibile: vediamo una coppia di donne che si ama e bacia, che si sposa e che diventano mamme e poi nonne.
Un film che in queste condizioni probabilmente non arriverà mai in nazioni dove l’omosessualità è addirittura un reato (se non censurato o completamente modificato), ed è la cosa migliore alla fine: la Disney mette finalmente prima i valori rispetto ai maggiori incassi. Oltre a questo, Lightyear è un film in cui vi è molta importanza su altri temi come l’amicizia e il gioco di squadra, oltre a un’accurata analisi sui dilemmi interiori, sul superamento dei propri rimpianti pur di costruire un domani migliore.
Inoltre, sono presenti ben tre scene dopo i titoli di coda, che non escludono a un possibile sequel.
Un lungometraggio davvero intenso che con un doppiaggio italiano meno con l’occhio ai talent sarebbe stato ancor più bello.
Il doppiaggio di Lightyear
Anche questo film fin dal suo annuncio è stato dunque (giustamente) criticato per la scelta massiccia di talent estranei al mondo del doppiaggio professionistico. Dopo aver sentito Massimo Dapporto sul personaggio in tutte le sue apparizioni (tranne il corto “Non c’è festa senza Rex” e la serie animata sul Comando Stellare, dove era presente Stefano Mondini) il fan duro e puro sperava nel suo ritorno, soprattutto se la sua voce fosse rimasta uguale a quella sentita in Toy Story 4.
Del resto, come evidenziato nella nostra intervista avvenuta proprio in quell’occasione (guarda qui il video) Dapporto sperava sempre di doppiare di nuovo Buzz in futuro.
Se invece si voleva per forza scegliere qualcuno più fedele all’originale, dato che non c’è più manco Tim Allen, ma Chris Evans, la scelta più giusta da fare era solo una: Marco Vivio.
Sappiamo bene che il discorso marketing regna sovrano ma chi scrive non apprezza questo tipo di scelte. Marco Vivio non sarà famoso come i talent televisivi, ma non è neanche un doppiatore sconosciuto ai profani di questo mestiere: del resto, si può considerare anche lui leggenda se non Disney, almeno pop, tra Capitan America, Spider-Man di Tobey Maguire e il Clark Kent di Smallville.
E invece per la voce di Bazz è stato scelto l’attore Alberto Malanchino, che per onor di verità aveva già doppiato in passato: oltre a sé stesso, è stato anche Tonio nel delizioso La famosa invasione degli orsi in Sicilia. Ma quello era un film d’animazione decisamente diverso da questo, essendo anche molto dialettale.
A conti fatti Malanchino non ha demeritato (negli ultimi anni ho sentito molto di peggio) ma è comunque un po’ altalenante nel rendimento, senza contare il fatto che ogni volta che il suo personaggio riprende le stesse identiche battute della saga originale di Toy Story l’orecchio dell’affezionato sanguina nel non sentire la voce di Dapporto nel pronunciarle.
Insufficiente invece la prova di Esther Elisha su Alisha Hawthorne: l’unica cosa positiva è che il suo personaggio è presente solo nella prima parte del film.
Il terzo talent, o meglio secondo per quel che riguarda le sue righe, invece sorprende: sarà stato anche merito della voce robotica del personaggio, ma Ludovico Tersigni per la sua interpretazione del gatto Sox merita almeno un 7.
Anche se per pochissimi secondi, i camei vocali di Linda Raimondo e Charles Leclerc sono davvero terribili (in confronto a loro, Rovazzi sembra un professionista…) ma appunto, se alla Disney interessasse davvero della qualità e la meritocrazia a tutto campo, non avrei dovuto scrivere tutto ciò.
Di un altro pianeta invece le voci professioniste, in cui troviamo la sempreverde Graziella Polesinanti (la fantastica voce della tartaruga Camilla in Fantazoo) in un ruolo molto grande, l’anziana viaggiatrice dello spazio Darby Steel, oltre a Rossa Caputo (Izzy Hawthorne), Massimiliano Alto (Mo Morrison), Franco Mannella (Comandante Burnside), Alessandro Quarta (robot) e Fabrizio Manfredi (il tecnico).
Dapporto invece poteva comunque tornare con un ruolo alla fine importante (il suo nome è comunque citato nei titoli di coda, ma non siamo riusciti a capire in che modo), che non diciamo quale perché sarebbe uno spoiler grande quanto un asteroide, ma al tempo stesso, non possiamo certo rammaricarci per chi lo ha ottenuto: nientemeno che Michele Gammino, che ci ha regalato un’altra volta un doppiaggio… stellare!
Perché non guardare Lightyear – La vera storia di Buzz
Oltre al mancato doppiaggio di soli professionisti, vi è un minuscolo problema relativo alla canonicità, che come dicevamo più sopra, è stata quasi del tutto rispettata. Il colpo di scena principale è sicuramente una delle parti migliori del lungometraggio, ma al tempo stesso, non è del tutto coerente con una particolare scena vista in Toy Story 2.
Regia: Angus MacLane Con: Alberto Boubakar Malanchino, Ludovico Tersigni, Chris Evans, Taika Waititi, Keke Palmer, James Brolin, Efren Ramirez, Uzo Aduba, Isiah Whitlock jr., Peter Sohn, Dale Soules, Mary McDonald-Lewis Anno: 2022 Durata: 100 Paese: USA Distribuzione: Walt Disney