Recensione della terza stagione di Yellowstone, serie tv western moderna con protagonista un inossidabile Kevin Costner, con breve commento di quanto visto in precedenza
Yellowstone è una serie TV che noi Italiani abbiamo dovuto sudare, come se la frontiera fosse anche più vecchia del diciannovesimo secolo, dato che le nostre prime visioni sono state tutt’altro che in contemporanea con gli Stati Uniti. Venti mesi per avere la prima stagione, nove per la seconda, sei per la terza.
A rigor di logica, quando oltreoceano rilasceranno la quarta stagione, basterà una media di 90 giorni? Speriamo di sì, perché dopo un finale come quello di “The World Is Purple” chi riuscirà ad aspettare tanto?
Ma andiamo con ordine, non solo commentando nel dettaglio la terza stagione, ma anche con un apposito riassunto delle prime due, perciò da questo momento ogni parola può essere spoiler, quindi se non siete in regola e non volete anticipazioni, meglio rimandare la lettura a dopo la visione.
Dopo la “trilogia western moderna” con “Sicario“, “Hell or High Water” e “I segreti di Wind River“, Taylor Sheridan torna a parlare della nuova frontiera Americana con una serie tv che definire coraggiosa con tutto quello che sta subendo l’arte dello spettacolo dal 2016 in poi è un eufemismo.
Certo, uno dei temi principali della serie, ossia la violenza e le ingiustizie nei confronti dei nativi americani, è qualcosa che la Hollywood liberal e progressista non può non apprezzare, ma il pacchetto completo di Yellowstone prevede anche molto di più.
Indiani d’America vittime, ma anche carnefici. Del resto, come ci ricorda Tex Willer, per le tribù indiane il furto è una virtù se non effettuato nei confronti della tua comunità, così tutta questa storia nasce per via di una sottrazione di bestiame del ranch Dutton da parte della confinante riserva indiana di Broken Rock.
Il ranch appartiene a John Dutton (Kevin Costner), un cowboy un po’ Mazzarò, deciso non solo a possedere più terra possibile nel Montana, ma a non cedere un minimo alla modernità, che vorrebbe su quei campi da pascolo alberghi di lusso e piste da sci.
A difendere il ranch non ci sono solo i cowboy, ma anche il secondogenito Jamie (Wes Bentley), l’avvocato della famiglia, abilissimo ad impedire gli espropri governativi. Il resto della famiglia è composto da Lee (Dave Annable), il figlio maggiore un po’ una delusione per il padre, la terzogenita Beth (Kelly Reilly), una donna d’affari decisamente combattiva ed irascibile, e il minore Kayce (Luke Grimes), che sembra ormai disinteressato all’eredità di famiglia, tant’è che dopo aver prestato servizio militare ha sposato la bella nativa americana Monica (Kelsey Chow).
Opposti, ma non veramente diversi (anche se ci metteranno un po’ a scoprirlo…) ci sono quindi gli indiani di Broken Rock.
Il loro nuovo presidente tribale Thomas Rainwater (Gil Birmingham) ha un piano ben preciso: riconquistare la terra perduta dal suo popolo. Non con le armi, ma con i soldi dei bianchi: le entrate di nuovi casinò faranno sì che possa essere piano piano ricomprata. E infine c’è la modernizzazione, ossia Dan Jenkins (Danny Huston), che alla bellezza quasi incontaminata della natura preferisce l’urbanizzazione. Apparentemente un nemico sia per Dutton che per Rainwater, ma nel corso degli eventi finiranno anche per allearsi, perché il peggio deve ancora venire…
Difficile non amare questa serie fin dalla prima puntata, proprio per queste similitudini sia con il grande cinema che con la televisione. La composizione della famiglia Dutton ricorda troppo quella de Il padrino di Francis Ford Coppola. Il padre di famiglia vecchio ma temuto, il maggiore che non rispecchia i veri desideri del padre, che vedrebbe bene il minore come erede, che invece dopo la guerra è desideroso di una nuova vita con la sua meravigliosa moglie, e quello intermedio avvocato. Poi c’è anche una figlia femmina, anche se in questo caso le somiglianze tra Beth e Connie Corleone sono davvero minime.
E per come viene impostata la storia, e per la mancanza di esclusione di colpi, l’altro rimando obbligato è quello al Trono di Spade. Da che parte stai stavolta, indiani o cowboy? La serie non prende una direzione univoca, al contrario del cinema pre-1950 (la svolta si ebbe con “L’amante indiana“) dove gli indiani erano solo carnefici da uccidere, e quello successivo, dove venivano raffigurati come vittime da empatizzare sempre e comunque.
Il finale della prima puntata raffigura al meglio l’impronta di Yellowstone: un nativo spara a Lee per riprendere il bestiame da lui stesso rubato, e Kayce interviene in difesa del fratello, uccidendo senza problemi quell’uomo nonostante sia indiano ma anche… suo cognato.
Per farla breve, gli indiani rubano e si fanno giustizia da soli, e qualcuno ci avrà sicuramente visto una propaganda razzista in tutto questo, mentre i cowboy?
Uccidono sia avversari che i propri simili quando diventano scomodi, marchiano a fuoco esseri umani, minacciano chi sconfina nei loro territori, e pestano con gli interessi coloro che hanno osato toccare gli uomini del proprio ranch. E in più non sono certo vegani, e neanche animalisti, visto che non solo commerciano animali da macello, ma praticano ancor oggi sport come quelli del rodeo che non sono certo apprezzati da cavalli e bovini. Le donne cowboy, poi, sanno essere davvero cattive perfino con i loro figli, così come l’amore è spesso e volentieri opportunistico. Non solo per i soldi, ma anche se vuoi ancora montare a cavallo…
Eppure… non sono gli antagonisti della storia. Davvero coraggioso, come dicevamo, in una Hollywood, e non solo, in cui la definizione di bianco e nero è ormai ben delineata, quindi questi cowboy in una produzione Disney non verrebbero neanche raffigurati come cattivi, perché per loro solo inserire comportamenti sbagliati in un girato equivale per forza a condizionare male le nuove generazioni.
Viva dunque serie tv come Yellowstone, che fino ad oggi non si sono fatte tutti questi problemi: il mondo non si cambia con una serie tv in cui si sta semplicemente recitando, così come mostrare la società come un Paradiso dell’Eden senza crimini e discriminazioni. Certo, le polemiche assurde non sono mancate, come quella su Kelsey Chow, di origini cinesi e non indiane, ma speriamo che la serie continui a rispondere alla John Dutton: giù le mani da Yellowstone!
Tornando alla nostra storia, cowboy, indiani e settore terziario si sono combattuti, ma nella seconda stagione si sono decisamente alleati, ricreando una piccola Jalta al Ranch Dutton.
John, Rainwater e Jenkins hanno trovato un nemico comune, i fratelli Beck (Neal McDonough e Terry Serpico) e l’unico modo per fermarli è letteralmente farli fuori.
Una guerra che inizialmente stavano perdendo (Jenkins viene assassinato) ma l’unione degli ultimi rimasti porta alla fine dei due cowboy nazisti, e alla liberazione del figlio di Kayce, Tate (Brecken Merrill). Da quel momento cambieranno molte cose, Monica vedrà le sue certezze ideologiche vacillare, ma i problemi non sono certo finiti.
Morto un Jenkins, se ne fa un altro… Roarke Morris (Josh Holloway) si è appropriato delle sue terre, ed è deciso a costruire un aeroporto nel mezzo del ranch Dutton, e stavolta sembra che l’esproprio sia inevitabile.
Ma John non vuole vendere, neanche un metro, nonostante l’offerta sia più che vantaggiosa, e salverebbe il ranch da tutti i suoi problemi economici. Perché lo ha promesso a suo padre, ma anche perché la natura dello Yellowstone non sarebbe più la stessa con aerei e sciatori, e per via di questo Rainwater diventa sempre più suo alleato.
Una battaglia durissima che ha anche nemici interni: Jamie non si è mai sentito parte della famiglia, per via del padre che non ha mai davvero creduto in lui, e per il vero odio della sorella nei suoi confronti. Per due stagioni è caduto più volte, rialzandosi sempre più debole e traumatizzato, finché non ha capito tutto: lui non è veramente un Dutton, è stato adottato. I motivi per cui è entrato nella famiglia di John sembrano più che validi, salvato da un padre biologico femminicida/uxoricida, ma la realtà è meno nera di quello che sembri. L’incontro con il suo vero padre cambierà per sempre Jamie, deciso a dare un taglio netto al passato per lui ormai del tutto sbagliato.
Ed ecco che per arrivare alla fine della terza stagione il Padrino torna prepotentemente di scena: Jamie è quindi il Robert Duvall/Tom Hagen di Yellowstone, avvocato ma anche adottato, e il finale è da… battesimo. In pochi secondi la famiglia Dutton subisce una serie di mirati attentati, come i nemici di Michael Corleone nel film del 1972. Chi sarà sopravvissuto? Cosa ne sarà ora del ranch?
Speriamo bene, soprattutto per John, perché se molti hanno deciso di cominciare questa serie, compreso il sottoscritto, è soprattutto per merito suo. Kevin Costner è un meraviglioso attore, forte ed inossidabile, l’ultimo vero cowboy dello schermo, piccolo o grande che sia. Sarebbe bellissimo vederlo sempre in ruoli del genere, uno come lui potrebbe fare anche oggi un mito fumettistico come Tex Willer, ma per il momento, rilasciate al più presto la quarta stagione di Yellowstone (già annunciata, così come la quinta).
In loro attesa, possiamo vedere e rivedere queste tre stagioni non solo su Sky e Now Tv, ma anche in chiaro (dal 19 marzo 2021) su Paramount Network, canale 27. Una versione italiana che non stavolta lo storico doppiatore di Kevin Costner, Michele Gammino, ma Massimo Lodolo lo aveva già doppiato in passato, e il risultato è decisamente eccellente, così come il resto del cast vocale.
Gianfranco Miranda è riuscito alla perfezione i diversi stati d’animo di Jamie, sia quello forte e combattivo che debole e traumatizzato, così come Francesca Manicone sa essere tanto dolce quanto dura quando doppia il personaggio di Beth. La voce di Gianni Giuliano sembra cucita addosso a quella del vecchio e caratteristico cowboy Lloyd Pierce (Forrie J. Smith), così come Antonio Sanna su Rainwater ricorda i grandi capi indiani dei film western di una volta. Bravissimo il giovanissimo Giovanni Cardellicchio sul piccolo Tate, così come Gianluca Cortesi su suo padre Kayce, mentre Francesco De Francesco sul grigio Rip sfodera un’interpretazione alla Aquaman.