Ebbene, oggi recensiamo uno dei film più sottovalutati, perfino bistrattati dell’immenso e indiscutibile Francis Ford Coppola (Apocalypse Now, Rusty il selvaggio, Dracula di Bram Stoker).
Ecco, molte persone bistrattano tuttora Jack, film invece forse da rivalutare e da rivedere col senno di poi, inquadrandolo nella poetica, soventemente incentrata sul tempo perduto, oramai inattingibile, e la nostalgia dell’irrecuperabilità dei momenti migliori della nostra esistenza da ringiovanire, rispolverare, meravigliosamente rievocare e rinnovare continuamente, rinascendo piacevolmente nella godibile regressione alla puerilità più giocosa e autoironica.
Ora, appurato che Jack è superficialmente ma unanimemente considerata la pellicola più brutta (da chi?) dell’indiscusso maestro Francis, torniamo subito a questo L’uomo della pioggia (The Rainmaker). Da non confondere con Rain Man di Barry Levinson, con Dustin Hoffman e Tom Cruise, il cui sottotitolo italiano è identico, per l’appunto, al titolo coppoliano da noi qui preso in questione e al quale dedicheremo la seguente recensione.
Tratto dal romanzo di John Grisham, omonimo nel titolo originale a quest’opus del regista autore di capolavori immortali come Il padrino, L’uomo della pioggia è apparentemente un legal thriller.
Invero, è molto di più. Cioè è l’ennesima, splendida metafora cinematografica, ad opera di Coppola, sulla purezza esistenziale da non corrompere né sporcamente lordare durante l’adulterabile, facilmente compromettente percorso alla vita lavorativa più “adulta”. La quale, per sua natura, è piena di ostacoli. Specialmente ricolma di conflitti d’interesse, potremmo dire, adottando in prestito un’espressione leguleia, destinati inevitabilmente a scontrarsi duramente con la nostra morale coscienziosa e la teorica ma impraticabile etica di non tradire mai i principi di umana giustezza e solidale giustizia equanime.
Trama:
Rudy Baylor (Matt Damon) è un giovane idealista neo-laureato in Giurisprudenza dotato di una sua precisa, integerrima filosofia professionale. Desideroso di far carriera onestamente, si fa assumere dal potente studio avvocatesco capeggiato dal titanico Bruiser Stone (Mickey Rourke), uno squalo forse non propriamente pulito in quanto sporco intrallazzatore d’imbrogli riprovevoli.
Pur di sbarcare il lunario, Rudy inizialmente accetta di ammorbidire la sua ferrea morale. E, per fare praticantato nel mondo reale e spietato dei cinici avvocati senza scrupoli, si affilia al mentore Cicerone di nome Deck Shifflet (Danny DeVito), scalcagnato praticante mai ammesso all’albo, però sottile conoscitore dei meccanismi e dei biechi sotterfugi del sistema giudiziario. Il quale, narrandogli i retroscena e i dietro le quinte della giurisdizione americana, lo porrà dinanzi a verità tristemente scandalose e rivelatrici della disonestà che sta alla base non solo della magistratura, bensì dell’american way of life piuttosto discutibile ché si regge sulla falsità e l’ipocrisia più affaristica e meschina, in barba ai deboli, soggiogati in forma caudina e destinati tristemente a essere dei perdenti falliti.
Secondo le testuali, argute e pertinenti parole del compianto Morando Morandini, The Rainmaker potremmo inoltre sintetizzarlo entro la descrizione fornitaci nel suo tomo dizionaristico, lasciato ora in eredità alle figlie Laura e Luisa:
«Memphis (Tennessee): un giovane avvocato, affiancato da un simpatico “paralegale”, ingaggia una difficile battaglia contro una compagnia di assicurazioni che non ha corrisposto il premio a un leucemico, morto poi per mancanza di cure. Il lungo romanzo (1995) di John Grisham è stato ampiamente potato dal regista e molti personaggi sono stati eliminati. Staccato dalla staticità del dramma giudiziario, il film ha i suoi momenti più interessanti fuori del tribunale. Opera di confezione, vanta una bella galleria di personaggi…».
Chi è l’uomo della pioggia? Cioè, qual è il significato intrinseco del titolo del film?
L’uomo della pioggia è colui che si carica di responsabilità e azioni onerose al fine d’arricchire le persone per cui è stato assoldato come semplice, anonimo lavoratore alla mercé del più furbo padrone.
The Rain People, il titolo originale di uno dei primi film di Coppola con James Caan, Robert Duvall e Shirley Night, nella traduzione italiana, da noi conosciuto come Non torno a casa stasera, ecco che viene “rifatto” in chiave aggiornata, tematicamente variata e nella trama mutuata dal regista de La conversazione.
Fotografia di John Toll (La sottile linea rossa) e musiche di Elmer Bernstein (Lontano dal paradiso) per un film bellissimo, emozionante e tesissimo per cui Coppola, abituato spesso a privilegiare film dalla grandeur intrisa di epica roboante e visionariamente magniloquente, si prodiga qui invece a illustrarci magistralmente una robusta vicenda dall’intreccio vigoroso e in perenne crescendo ritmico e filmico, inserendovi perfino straordinariamente e delicatamente una storia d’amore intimistica e commovente, col pretesto assai intelligente e soltanto apparente d’intrattenerci con quella che, a prima vista, potrebbe sembrare la solita, vista e rivista, trama processuale poco interessante e prevedibile.
Nel grandioso cast, anche il grande Jon Voight, Johnny Whitworth, Claire Danes, Dean Stockwell, Danny Glover, Virginia Madsen, Roy Scheider, Andrew Shue e Teresa Wright.
Il genio di Coppola, ladies and gentlemen.
Un regista capace sempre di rinnovarsi, di rigenerarsi inaspettatamente in modo magico e immenso.