Ebbene, è finalmente uscito anche qui da noi in Italia il nuovo film di Clint Eastwood, ovvero Richard Jewell.
Ora, prima di parlarvi del film, opportunamente dobbiamo soffermarci per un attimo su ciò che è stato ed è diventato l’excursus filmografico di Eastwood negli ultimi anni.
Un cineasta straordinario giunto alla soglia della fatidica, veneranda e prodigiosa età di novant’anni (li compirà il prossimo 31 Maggio) che, dopo aver meritatissimamente cementato il suo status di regista intoccabile, coronando la sua indiscutibile grandezza con vari, sacrosanti Oscar, è come se ora sentisse, dentro di sé, l’ineludibile necessità (peraltro per sue stesse dichiarazioni rilasciate in recenti interviste) di esplorare il nero annidato fra le ombre nascoste inquietantemente all’interno d’un sistema americano all’apparenza burocraticamente irreprensibile e invece tremendamente fallace.
Un regista che, con le sue requisitorie e indagini beffardamente, politicamente scorrette, dunque irresistibilmente lapidarie e inappellabilmente dure nel suo inconfondibile stile sarcasticamente drammatico e amaro, pare che con l’incombere oramai inesorabile della sua vecchiaia non desideri più autocelebrare la magnificenza delle sue stesse malinconiche elegie, spesso da cavalleggero eroe solitario e da impietoso, feroce, sibillino revenant portentoso e carismatico in cerca di giustizia atroce, bensì parallelamente, in linea con la sua età e con la sopraggiunta, ovvia sua subentrata acquiescenza, pacatamente e nitidamente voglia investigare, con implacabilità severa da fine cantore di storie per l’appunto ingiuste e non del tutto chiare, sui retroscena concernenti vite di uomini comuni che, per via d’enigmatiche circostanze inizialmente fortuite, anzi addirittura fortunosamente oracolistiche, potremmo dire, assurdamente si trovarono poi invischiati in impensabili, sconvolgenti guai giudiziari.
Dei “colpevoli d’innocenza” (ir)ragionevolmente incriminati o comunque vigilati, anzi, prendendo in prestito una celeberrima espressione dello statunitense gergo giuridico, al di là di ogni ragionevole dubbio, trasformatisi in sorvegliati speciali a causa dell’artificiosa macchinosità del sistema.
Dunque, dopo il doloroso Fino a prova contraria, dopo lo scandaloso equivoco da lui, con superba, lucida maestria, cristallinamente narratoci della povera Christine Collins/Angelina Jolie di Changeling e dopo il catartico, emozionante Sully con Tom Hanks, Clint Eastwood arriva ora a Richard Jewell.
Un altro biopic su un uomo prima elevato a eroe nazionale, acclamato come miracoloso salvatore, dunque repentinamente sprofondato in un angoscioso incubo a occhi aperti.
Sì, questa è la storia di Richard Jewell.
Un timido ragazzone trentenne (Paul Walter Hauser) che vive con la madre (Kathy Bates) e che adempie diligentissimamente al suo lavoro, cioè quello della guardia di sicurezza.
Richard si trovò a prestare servizio durante le olimpiadi di Atlanta. Al che, rinvenne un pacco sospetto all’interno d’un parco adiacente. Avvisò istantaneamente le altre forze dell’ordine. Le quali immediatamente congiunsero le forze per sgombrare la zona. Non riuscirono a evitare che la bomba contenuta all’interno del pacco esplodesse e alcune persone, purtroppo, infatti morirono. Ma, grazie al tempestivo intervento di Richard, la maggior parte della gente presente in zona si salvò. Richard fu dunque, come detto, osannato come eroe. Di lì a pochissimo, però, l’FBI cominciò incredibilmente a sospettare, potremmo dire, dell’umana insospettabilità proprio di Richard.
Pensando che fosse stato lui stesso a piazzare la bomba e poi a informare le altre guardie di evacuare la zona al fine, per l’appunto, di volersi spacciare come prode e lodevolissimo cittadino meritevole d’una carrieristica promozione.
E da qui veniamo immersi in una lenta, scioccante, allucinante discesa all’inferno vissuta in prima persona da Richard che, attanagliato e soffocato dallo sciacallaggio dei mass media e guardato a vista e interrogato dall’FBI, dovette strenuamente battagliare assieme al suo avvocato Watson Bryant (Sam Rockwell) per riuscire a scagionarsi ed essere prosciolto da ogni indagine.
Perché guardare Richard Jewell
Richard Jewell è un robusto, commovente psicodramma della durata di due ore e undici minuti, tratto da un articolo verità della giornalista Marie Brenner e sceneggiato da Billy Ray (Captain Phillips), messo finemente in scena da Eastwood col suo oramai impeccabile stile rigorosamente classico e senza fronzoli. Come, d’altronde, da sempre c’ha abituato.
Non brilla per originalità e particolari invenzioni registiche, alterna lunghe riprese con macchina a mano ad altre fluidamente e morbidamente avvolgenti, lievi e carezzevoli ma riesce, con semplicità e schietta forza morale, a trasmetterci tutto il senso di claustrofobica e asfissiante esperienza agghiacciante vissuta da Richard.
Richard Jewell non è un capolavoro ma è un bel film importante.
Tutti gli attori, compresi Jon Hamm e Olivia Wilde, sono inappuntabili. Con menzione particolare per una strepitosa Kathy Bates candidata come miglior attrice non protagonista agli imminenti, prossimi Oscar.
Perché non guardare Richard Jewell
Ma, se non amate le storie tristi e forse troppo classiche, un po’ romanzate e a lieto fine, non guardatelo.
Anche se, sinceramente, perderselo sarebbe un delitto, un vostro madornale e mastodontico errore giudiziario, anzi, pregiudiziale. Eh eh.
Richard Jewell è al cinema dal 16 Gennaio con Warner Bros.