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Racconti di Cinema – Panic Room di David Fincher con Jodie Foster, Kristen Stewart, Forest Whitaker e Jared Leto

Ebbene, oggi per i nostri Racconti di Cinema, vi parliamo di Panic Room del grande David Fincher (Seven, The Game – Nessuna regola, Zodiac) con Jodie Foster.

In attesa della terza stagione di Mindhunter, per cui stavolta pare che Fincher dirigerà solamente un episodio, e soprattutto aspettando trepidantemente Mank (chissà se, quando sarà annunciato a breve il programma delle pellicole in concorso al prossimo Festival di Venezia, il suo direttore Alberto Barbera smentirà sé stesso, in quanto dichiarò recentissimamente che, per l’appunto, la succitata, nuova, attesissima opera del regista de L’amore bugiardo – Gone Girl, de Il curioso caso di Benjamin Button e di The Social Network, con ogni probabilità, non sarà pronta per essere presentata durante la kermesse del lido veneziano), torniamo un po’ indietro con la memoria.

Arrivando sino al 2002. Anno nel quale Panic Room uscì sui nostri grandi schermi. Pressoché in concomitanza con gli Stati Uniti (negli States, difatti, fu distribuito a fine marzo mentre da noi verso la metà di aprile).

Giungendo a tempi non sospetti quando Fincher, malgrado avesse già diretto opere estremamente pregiate e di notevole fascino quali Alien³ e Fight Club, non veniva preso seriamente in considerazione presso l’intellighenzia critica, soprattutto nostrana. In particolar modo, suscitando forti perplessità (peraltro, a fasi alterne, ancora vigenti) presso Paolo Mereghetti. Come sappiamo, critico famoso per la sua tendenza nel nutrire viscerali, spesso irrazionali antipatie verso i giovani talenti in artistica crescita esponenziale.

Mereghetti, dapprincipio, non vide infatti molto di buon occhio, in ogni senso, soprattutto di natura miope in riferimento alla sua visione leggermente, forse sarebbe meglio dire, senza vergogna, esageratamente prevenuta nei riguardi delle inoppugnabili doti registiche sì, ammettiamolo, inizialmente e possibilmente alimentatrici di toste controversie e non immediatamente comprensibili, perlomeno non per tutti i gusti, altresì già comunque incontestabili e a divenire sempre più con maggiore, inattaccabile finezza ed elegante definitezza, assolutamente rimarchevoli di Fincher. Di chi, sennò?

Già che ci troviamo, come si suol dire, avendo chiamato in causa nientepopodimeno che Mereghetti, estrapoliamo dunque la sua recensione di Panic Room dal suo celeberrimo, spesso a sua volta discutibile Dizionario dei Film. Apparsa in uno dei suoi aggiornamenti del periodo in cui Panic Room, pressappoco, fu rilasciato in Italia. Recensione rimasta però assurdamente immutata, nelle edizioni successive, di stroncatura illogica, forse “illegale” e del tutto, va detto con fiera fermezza, campata per aria.

Una sola stelletta e mezza appioppatagli con arbitraria, lapidaria e ingiusta sentenza mereghettiana:

«Mamma (Foster) e figlioletta diabetica (Stewart) sono asserragliate nel bunker supertecnologico della loro nuova casa newyorkese, mentre nottetempo scorrazzano tre ladri dalle incerte intenzioni: il buono (Whitaker), il cattivo (Yoakam) e lo scemo (Leto). Fincher di suo ci mette stucchevoli e inutili soggettive (la chiave che entra nella toppa) e un po’ di effetti digitali, ma il film è farina dello sceneggiatore e co-produttore David Koepp. Un accademico esercizio di suspense con unità di tempo e di luogo, incapace però di rinnovare il genere, e sempre più banale e prevedibile, fino a un finale ridicolo. Riprese tormentate: Nicole Kidman ha lasciato il set dopo tre settimane, sostituita dalla Foster, lo stesso ha fatto il direttore della fotografia Darius Khondji, rimpiazzato dall’operatore Conrad W. Hall, figlio del grande Conrad. Noiose musiche di Howard Shore».

Ora, per quanto concerne la difficile gestazione di Panic Room e l’incontrovertibile, acclarata verità secondo cui Nicole Kidman, dopo addirittura ben tre settimane di riprese, fu costretta ad abbandonare il set per un incidente occorsole al ginocchio, Mereghetti non mente.

Per quanto riguarda la sincerità del suo impietoso giudizio che a noi appare onestamente pietoso, anzi, penoso, chi scrive questo pezzo, ahinoi, pensa fermamente che Mereghetti, a sua volta, veramente pensi che Panic Room sia un filmetto. Quindi, per quanto possa risultarci immotivata la sua bassissima valutazione in merito, anzi, completamente irrispettosa di Fincher, perlopiù ingrata e per Fincher immeritata, Mereghetti non la scrisse e poi la ribadì con caporalesca autorevolezza a scopo solamente provocatorio. Mereghetti, davvero, credette e crede che Panic Room valga poco…

Rimaniamo increduli. Esterrefatti. Poiché Panic Room s’avvicina al capolavoro.

Miscela geniale di quasi due ore dalla suspense micidiale e infallibile qual è dall’inizio alla fine a mo’ di fiammeggiante combustibile al cardiopalma, inoltre con echi à la Brian De Palma, reminiscenti a loro volta il sottostimato Sliver di Philip Noyce con William Baldwin e Sharon Stone, che carbura alla grande fin d’incipit strepitosamente hitchcockiano con punte di grottesco citazionistico, meta-cinematografico e ricolmo di allusioni perfino sottili a Mamma, ho perso l’aereo (Home Alone) atte a stemperare giocosamente la tensione.

Quando, per esempio, Burnham/Whitaker apostrofa, in maniera ironicamente offensiva, il suo “collega” e crime partner Raoul/Dwight Yoakam, definendolo uguale a Joe Pesci.

Foster da Oscar, finale mozzafiato e una classe cineastica da far rabbrividire qualsiasi shooter contemporaneo che si crede, per l’appunto Fincher e, semmai, non ha mai visto neppure La finestra sul cortile.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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