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Racconti di Cinema – The Manchurian Candidate di Jonathan Demme con Denzel Washington e Meryl Streep

Siamo molto felici, sinceramente, che Netflix Italia stia riproponendo, in questi giorni, il bellissimo e assai sottovalutato, perlopiù da gran parte della cosiddetta intellighenzia nostrana, The Manchurian Candidate, firmato dal grandioso, ancora purtroppo sottostimato, compianto Jonathan Demme.

Regista pregiato dall’indiscutibile talento insuperato e personale, ahinoi, prematuramente scomparso, a settantatré anni, nel giorno del 26 Aprile di tre anni fa per un impietoso cancro all’esofago.

Autore dell’epocale e invincibilmente insuperabile capolavoro Il silenzio degli innocenti, Demme è stato uno di quei registi perennemente troppo poco citato e, ribadiamo, forsanche trascurato in più di un’occasione.

Oggi, come detto, ripeschiamo il suo The Manchurian Candidate, personale remake del magnifico Va’ e uccidi dello strepitoso John Frankenheimer (Ronin).

The Manchurian Candidate, naturalmente, alla pari del film (omonimo nel titolo originale) del poc’anzi menzionatovi autore (se preferite, filmmaker di egregio stile assai rinomato) de L’uomo di Alcatraz, (anch’egli deceduto), è liberamente tratto, con qualche inevitabile aggiustamento rispetto, diciamo, al suo capostipite, da un libro di Richard Condon. In tal caso, adattato e dunque sceneggiato dal valente Dean Georgaris (Paycheck) in concomitanza con l’abile penna dell’arguto Daniel Pyne (Ogni maledetta domenica di Oliver Stone, Uno sconosciuto alla porta di John Schlesinger, White Sands – Tracce nella sabbia di Roger Donaldson).

THE MANCHURIAN CANDIDATE, Denzel Washington, Jeffrey Wright, 2004, (c) Paramount

Sorretto dall’ennesima prova robustissima d’un trascinante, al solito impeccabile, carismatico, mastodontico e titanico Denzel Washington, eccone le trama che, a grandi linee, con le opportune variazioni e necessarie modifiche aggiornate ai tempi odierni, perlomeno dei primi anni duemila, ricalca quella del film di Frankenheimer…

Bennett Marco (Washington), maggiore della guerra del Golfo, tormentato da imperscrutabili allucinazioni forse di natura paranoica (?), è stato pluridecorato per aver salvato la vita, in modo stoico e temerario, ad alcuni suoi ex commilitoni, laggiù in Kuwait. Fra questi sopravvissuti e quasi miracolati ex reduci, v’è anche l’ambiguo sergente Raymond Prentiss Shaw (un grande, perfetto come sempre, Liev Schreiber). Quest’ultimo si sta candidando alle elezioni vice-presidenziali degli Stati Uniti. In tale missione, stavolta non bellica, bensì ambiziosamente politica, è fervidamente sostenuto, osiamo dire potentemente incoraggiato, spronato e, più che altro, influentemente istradato, grazie (dannosamente?) probabilmente a qualche sporco maneggio corruttivo, da sua madre, l’assai potente, scaltrissima e avveduta, forse soltanto laida manipolatrice (oggi diremmo ruffiana influencer) senatrice Eleanor Shaw (una Meryl Streep brava e al contempo inquietante oltre ogni immaginazione).

THE MANCHURIAN CANDIDATE, Liev Schreiber, Meryl Streep, 2004, (c) Paramount

Non è, come si suol dire, tutto oro quel che luccica. In verità, dietro la facciata apparentemente, altamente rispettabile della Shaw, chi si nasconde? Una bieca ed opportunista donna dal pugno di ferro oppure una donna che soggioga il figlio e lo rende succube d’un perverso complesso di Edipo difficilmente risolvibile? Anzi, tristemente irrisolto?

E Bennett invece possiede degli scheletri nell’armadio? È davvero un uomo moralmente integerrimo, è pazzo o è più lucido di quel che lui stesso possa credere e sospettare…?

Non particolarmente amato in Italia, soprattutto dal trombonesco Paolo Mereghetti, The Manchurian Candidate è invece un film magnifico. E la media recensoria che tuttora riscontra prestigiosamente su metacritic.com, vale a dire il notevole 76% di pareri molto positivi, ci pare sacrosanta, rendendo appieno giustizia a un film, come detto, ai tempi della sua release parecchio snobbato e preso non poco sottogamba.

Che attinge da Frankenheimer ma, pur asciugando molti sotto-testi morbosamente affascinanti del film originale del regista de Il treno e Trappola criminale (regista specializzato, peraltro, in storie ad alto tasso complottistico e in spythriller di sofisticatissima, cineastica cifra stilistica di scuola superba), elidendone parti estremamente interessanti e psicanaliticamente più profonde, riesce comunque ad intrattenere e ad intrigare, tenendo incollati allo schermo lungo le sue due ore e mezza circa di durata, avvalendosi infatti d’interpretazioni spaventosamente meravigliose su cui svetta, in primis, una Streep da urlo.

THE MANCHURIAN CANDIDATE, Meryl Streep, 2004, (c) Paramount

Un film orchestrato di tensione al cardiopalma dall’egregio Demme che, ancora una volta, seppur parzialmente incompreso all’epoca, dimostrò invece di essere uno dei registi più fini e intelligenti, sebbene poco prolifico, dagli anni settanta fino alla sua morte.

Un regista assai versatile capace di attraversare molteplici generi, spaziando dalle acide commedie grottesche di satira sociale a memorabili drammoni strappalacrime (vedi Philadelphia) giammai però pietistici o furbescamente ricattatori, bensì sanamente retorici e sobri, un regista immenso.

Qualcosa di travolgente… docet.

Nel cast pazzesco, Jon Voight, Vera Farmiga, Dean Stockwell, Jeffrey Wright, Bruno Ganz, Miguel Ferrer e Ted Levine. Eh sì, Buffalo Bill…

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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