Ebbene, oggi recensiamo Constantine. Film del 2005 che segna brillantemente l’esordio alla regia di Francis Lawrence. Regista nato a Vienna, dunque austriaco, relativamente giovane, essendo infatti classe ‘71. Un director piuttosto anomalo nel panorama contemporaneo che, recentemente, ha ottenuto larga popolarità col franchise Hunger Games. Il cui excursus ci ricorda Mark Pellington, regista di Arlington Road – L’inganno e di The Mothman Prophecies – Voci dall’ombra. Quest’ultimo però stranamente smarritosi lungo la cineastica strada…
Infatti alla pari di Pellington, con Constantine, come detto, Lawrence esordì dietro la macchina da presa per un lungometraggio destinato al grande schermo dopo una collaudata ed apprezzata carriera da celebrato direttore di videoclip a loro modo importanti e, per i tempi in cui per l’appunto li diresse, epocali e piuttosto notevoli per gli standard convenzionali della pubblica fruizione superficiale destinata, perlopiù, ad infoiati teenager ibridamente persi nei solipsistici deliri della loro scombussolata, delirante età acerba alquanto immatura ai limiti dell’ebefrenia più ridicola. Basti pensare al variopinto e fantasioso I’m Like a Bird per Nelly Furtado, al dinamico I Don’t Want Miss a Thing per gli Aerosmith, al volgare ma comunque efficace Waiting for Tonight per Jennifer Lopez, collaborando inoltre, a fasi alterne, con Enrique Iglesias e Ricky Martin, coi Backstreet Boys, con i Green Day & Alanis Morissette e con altri nomi più o meno noti del panorama pop–rock di quel periodo convulso, confusionario, creativamente eccentrico, peranco stupido e scioccamente consumista che va dal finire dei nineties al sopraggiungere di questi anni duemila e passa forse ancora più modaioli ed industrializzati, corrottisi al più becero ed indiscriminato, persino contaminato e frastornante, utilizzo smodato delle arti visive e/o figurative più superflue ed imbarazzanti. Intervallando, nel frattempo, le sue popolari regie cinematografiche a nuove esperienze, in ambito prettamente inerente i video musicali, con celeberrimi artisti della scena musicale, fra cui Britney Spears e la grande Lady Gaga (Bad Romance).
Dirigendo, per il Cinema, Will Smith in Io sono leggenda e Robert Pattinson in Come l’acqua per gli elefanti.
Arriviamo però, senza dilungarci in ridondanti, dizionaristiche e “wikipediane” disamine prolisse riguardanti il suo curriculum vitae da regista, a Constantine. Film targato Warner Bros della durata netta di centoventuno minuti e dal consistente, anzi, davvero ragguardevole budget di 100 milioni di dollari. Cifra esosa per un cosiddetto esordiente… Un cospicuo budget concessogli in virtù, per l’appunto, della sua già appurata esperienza commerciale assai corposa…
Ecco, senza perderci in chiacchiere ed inutili digressioni, sintetizzeremo qui la trama di Constantine, condensandola in poche righe al fine di non rivelarvi snodi narrativi che inevitabilmente, se ve li riepilogassimo, ve ne sciuperebbero la visione.
Tratto dalla bellissima serie di fumetti Hellblazer della Vertigo, tale versione cinematografica di Constantine si avvale di un attore somaticamente differente dall’immaginario personaggio entratoci nell’immaginario, permetteteci il gioco di parole, che presso i fan fumettistici riscosse grande successo. La sua caratterizzazione (in tal caso, invece, riportiamo l’estratto di Wikipedia) è lapidariamente sommaria e assai bene lo inquadra: «Io sono quello che esce dall’ombra, strafigo e arrogante con soprabito e sigaretta, pronto ad affrontare la follia. Ah, penso io a tutto. Posso salvarvi. Dovesse anche costarvi fino all’ultima goccia del vostro sangue, scaccerò i vostri demoni. Li prenderò a calci nei coglioni. Sputerò loro addosso mentre sono a terra e poi sparirò di nuovo nell’ombra, lasciandomi dietro solo un cenno, una strizzata d’occhio e una battuta sagace. Cammino da solo… Chi mai vorrebbe camminare con me?»
Un personaggio che nella serie a fumetti era biondo e bisessuale e qui viene interpretato dal moro, scarno, nient’affatto amorfo, sempre immensamente carismatico e affascinante Keanu Reeves. Bisex conclamato del quale però, nel film, non viene ben specificato il suo orientamento sessuale.
Sebbene, possa ricordare ampiamente il Dylan Dog partorito dalla penna di Tiziano Sclavi, sì, il celeberrimo indagatore dell’incubo ricalcato sui tratti fisionomici del “gay” Rupert Everett. Fumatore incallito con un cancro ai polmoni, in una Los Angeles spettrale, lugubre, immersa, anzi sommersa frequentemente nella voragine tetra di torrenziali piogge di natura biblica, forsanche ancestrale, appaiabile per cromatismi fotografici (il cinematographer è Philippe Rousselot) alle suggestive, chiaroscurali atmosfere mortifere immortalate da Darius Khondji per Seven di David Fincher, Constantine (Reeves) è una sorta di esorcista sui generis, un cacciatore di demoni, un uomo misterico e appartato forse auto-segregato nel suo segreto passato onirico, avvolto dall’aura magnetica dell’inquietante mistero esistenziale che lo tormenta. Cioè, demonizzare a sua volta la maledizione che lo affligge fin dalla sua primissima infanzia in cui s’accorse di possedere doti paranormali. Scusateci se abbiamo leggermente poetizzato ma l’esoterico, roboante, emanatoci clima dantesco che si respira lungo tutto l’arco della visione di Constantine, c’ha indotto liricamente e ritmicamente a potenti, tonanti e stentoree parole forse sanamente pregne di barocche, ricche figure retoriche…
Per una serie di fortuite circostanze, Constantine indagherà sulla perturbante morte, avvenuta in circostanze misteriose e forse frettolosamente liquidata come normale suicidio, di una giovane ed avvenente ragazza malata di mente, Isabel Dodson (Rachel Weisz), internata in un ospedale psichiatrico, gemella omozigote di Angela. Anzi, per essere più precisi, è quest’ultima a contattare Constantine, esperto dell’occulto di tale Angel City, affinché possa verificare se, per l’appunto, Isabel si sia veramente uccisa in quanto gravemente depressa oppure qualcuno o qualcosa l’abbia istigata a un sacrilego gesto che la estrometterà eternamente dall’aldilà omeostaticamente idilliaco, costringendola al patibolo allucinante e terribilmente luciferino della più dolorosa e mostruosa dannazione estrema senz’alcuna possibilità di salvazione e reversibile remissione del suo peccato mortale, il suicidio, inesorabilmente perciò venendo sepolta e martoriata per sempre, remotamente lontana dalla condizione che possa un giorno venirle offerta la grazia divina del perdono e della conseguente ascensione in Paradiso. C’entra il diavolo, per meglio dire Lucifero stesso (Peter Stormare), in questa storia criptica di angeli e demoni, di creature malefiche e di repellenti, brutali bestie figlie forse di Mefisto o rinnegate da Cristo ove compare anche l’asessuato Arcangelo Gabriele (Tilda Swinton) con le ali angelicamente sataniche in senso (a)lato?
Nel cast, in uno dei suoi primissimi ruoli, Shia LaBeouf, Djimon Hounsou e Pruitt Taylor Vince.
Constantine viene divinizzato e idolatrato, a mo’ di reliquia intoccabile, dai fanatici degli horror–thriller a forti tinte action increspate a loro volta in venature e sfumature memori del seminale L’esorcista di William Friedkin e di tutti i suoi derivativi epigoni esorcistici, appunto, basati su credenze e superstizioni pagane di matrice fintamente cristiana. Indirizzati a un pubblico beone, credulone e di poche pretese. Mentre è disprezzato fortissimamente da chi, a torto, lo reputa solamente e superficialmente un’indigesta accozzaglia pasticciata di becere, pedisseque pacchianerie a buon mercato affastellate molto alla buona. Constantine, sì, abbonda mal dosatamente di computer graphics pacchiana e fin troppo popolarescamente, diciamo, confezionata in modo grossolano per il popolo di spettatori ignoranti in merito alla finezza grafica più sottilmente elegante, sbanda più d’una volta, incespica nella sceneggiatura traballante, affogando in luoghi comuni piuttosto prevedibili perfino sulla psichiatria, incedendo soventemente nel compiacimento estetizzante di manieristiche riprese esageratamente naïf, ricordandoci spesso il peggior Tarsem Singh. Ma non è un film assolutamente malvagio, anzi, pur essendo la prima opera di Francis Lawrence, a tutt’oggi rimane il suo lavoro migliore. Decisamente superiore alla sua trilogia di Hunger Hames e a Red Sparrow con la bella ma non a lui apparentata, a differenza di ciò che si potrebbe supporre per via dell’identico cognome, Jennifer Lawrence.
Intanto, proprio in questi giorni, riferendoci ovviamente a Constantine, si sta parlando di un più che probabile sequel attualmente, a quanto pare, già segretamente in lavorazione…
Naturalmente, specifichiamo meglio, il primo Hunger Games è di Gary Ross.