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Il ritorno di Harrison Ford con Il richiamo della foresta – Storia di un attore leggendario quasi quanto Jack London

Ebbene, giovedì uscirà nei nostri cinema Il richiamo della foresta (The Call of the Wild) di Chris Sanders, tratto ovviamente dal celeberrimo romanzo di Jack London.

Il protagonista assoluto di questa nuova trasposizione per il grande schermo è Harrison Ford.

Un attore che, certamente, non necessita di presentazioni. Poiché, che piaccia o no, è indiscutibilmente una leggenda vivente.

Il compianto ex critico Fernaldo Di Giammatteo, nel suo libro Dizionario del cinema – Cento grandi attori, inserì e menzionò, lodandolo non poco, nientepopodimeno che Harrison Ford.

Scrivendo testualmente: è tanto insignificante, quasi “invisibile”, che non gli si potrebbe attribuire il ruolo di attore. Ma è proprio questa normalità piatta che lo distingue dai colleghi e gli riserva un posto nel cinema americano. Tipico caso di recitazione dominata da un forte understatement, quello di Harrison Ford è un fenomeno interessante che ha sempre colpito il pubblico internazionale, trasformando un bell’uomo in un divo. La sua faccia anonima è accreditata per la faccia di un buon attore. Probabilmente lo è.

Ecco, Di Giammatteo fu dubbioso in merito al fatto che Ford fosse un buon attore. Io invece sono sicuro che sia incontrovertibilmente un grande attore. Soprattutto, molto ipnoticamente potente.

Poiché nessun altro attore è riuscito a diventare conosciuto da chiunque a livello planetario, dai grandi ai più piccini, come si suol dire, soltanto con tre personaggi epocali.

Ovvero Han Solo della prima trilogia di Guerre stellari di George Lucas, il mitico avventuriero archeologo Indiana Jones di Steven Spielberg e Rick Deckard di Blade Runner.

Assurgendo nel giro di una manciata di anni velocissimi a icona intoccabile e immensamente carismatica. Pur possedendo, in effetti, una scarsa gamma espressiva ed esibendo uno stile recitativo perfino legnoso, moderato o moderatamente ben temperato, molto compassato, eccessivamente rilassato e sempre assai poco appariscente con nessuna posa da esaltato.

Insomma, un attore forse poco dotato a livello prettamente tecnico ma magnificamente provvisto di un innato, affascinante savoirfaire irresistibile e magnetico. Sfoderando, con la sua sobrietà e la sua carezzevole sordina molto attrattiva, per tutto l’arco della sua carriera, un mood recitativo che gli statunitensi definiscono subtle.

Cioè, come ottimamente precisato e descritto, brevissimamente ma in maniera esaustivamente efficace e ficcante, dall’acuto e lungimirante Di Giammatteo, un attore non immediatamente riconoscibile e totalmente privo di peculiarità subito ravvisabili, all’apparenza perfino insopportabile, superfluo e poco rimarchevole.

Il quale però, grazie alla sua misteriosa, inspiegabile forza divina, per meglio dire, in virtù della sua inconsapevole, perfino per sé stesso, magica malia, possiamo senza dubbio annoverare fra i più importanti e imprescindibili divi della celluloide mondiale di tutti i tempi. No, non scherziamo né esageriamo affatto.

Harrison Ford è un mito. Non si può obiettare in merito a tale apodittica frase indiscutibile.

Un attore che, malgrado possa vantare ottantatré crediti come interprete nella sua filmografia, poche volte incrociò, al di là dei succitati Spielberg e Lucas, cineasti autoriali d’una certa rilevanza.

Inoltre, assurdo dirlo ma terribilmente vero, le sue comunque memorabili e a loro modo mirabili collaborazioni con Peter Weir, Witness (sua unica nomination agli Oscar) e Mosquito Coast (sceneggiato da Paul Schrader) e con Roman Polanski per Frantic, risultano, secondo i sondaggi fra gli spettatori di ogni età, fra le meno note. Per l’appunto, le meno celebri presso il grande pubblico. Infatti, abituato a sempre a identificarlo solamente, come sopra accennato, come Han Solo, Indiana Jones e Rick Deckard.

Inoltre, a ben vedere, tralasciando i suoi microscopici cammei agli esordi con Michelangelo Antonioni per Zabriskie Point e con Francis Ford Coppola per La conversazione e Apocalypse Now, a eccezion fatta di Weir e di Polanski, soltanto sul finire degli anni novanta, Ford riuscì a incrociare pregevoli registi di alta qualità. Da Sidner Pollack per il remake di Sabrina e, permetteteci il gioco di parole, potremmo dire, speculare e a lui biograficamente parallelo, per Destini incrociati, fino a Robert Zemeckis per Le verità nascoste e a Kathryn Bigelow per K-19.

Incredibile.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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