
La calda e appassionata presentazione di Nate Parker del suo “American Skin” mi convince alla visione delle 9:00 di mattina. E se all’inizio il film pare un exploit ricattatorio e scontato, dopo poco diventa thriller tesissimo, potente e via via più spiazzante. Furente.
Il successivo “The King” spezza invece, e fin da subito, il vibrante entusiasmo della precedente visione. Un dramma storico che solo sulla carta attinge da Shakespeare, ma negli intenti ricorda vagamente il Trono di Spade. Non un brutto film (si riprende negli ultimi quaranta minuti), ma eccessivamente lungo e con un Timothée Chalamet sbagliatissimo.
In conferenza stampa regista e attori rivendicano l’attualità degli assunti esposti attraverso il filtro storico, nel tentativo di giustificare quella che é nulla più di un’ordinaria produzione Netflix finalizzata a cavalcare un’onda.
Alle 20 di sera, ecco invece uno dei titoli più discussi e attesi del festival: The Painted Bird, film ceco di ben 169 minuti in b/n. Partorito dopo una lavorazione di 10 anni, narra la truce odissea di un bambino nella Cecoslovacchia rurale durante la seconda guerra mondiale. Tra Tarkovskij, Béla Tarr e “Marketa Lazarova” di Vláčil: grande cinema d’autore, crudo fino allo stremo (tante le fughe dalla sala) e visivamente (ma non solo) straordinario.
Per pochi. Possibile Leone d’Oro… si vocifera. Il sottoscritto fa il tifo.