Il giorno quinto si fa sentire: l’impellente necessità di un sonno decente e completo mi costringono a saltare la prima proiezione ed entro diretto per “The Laundromat”, nuovo film di Steven Soderbergh con Meryl Streep, Gary Oldman e Antonio Banderas. Al centro del film, una frode assicurativa che coinvolge la vedova Ellen Martin, che inizierà una personale e travagliata indagine volta a condurla a uno studio legale di Panama City, gestito dai soci in affari Jürgen Mossack (Oldman) e Ramón Fonseca (Banderas). Dietro ad esso, una fitta rete fraudolenta che coinvolge tutti gli Stati Uniti d’America.
Narrazione frammentata, pop, stile a tratti semi-documentaristico, che per certi versi ricorda “La grande scommessa” ma appartiene in tutto e per tutto alle corde di Soderbergh. Poste le basse generali aspettative di partenza, “The Laundromat” è una sorpresa che ha convinto moltissimi, (ivi incluso il sottoscritto), applauditissima in sala. Rimarrà confinata a Netflix, ed è un peccato, perché meriterebbe davvero una distribuzione in sala. Tra i migliori Soderbergh degli ultimi anni.
Mi sarebbe piaciuto seguirne la conferenza (che cast, ragazzi!), ma Spike Lee e Nate Parker mi aspettavano all’Ausona Hungaria per parlare di “American Skin“.
Lee ha iniziato elogiando a gran voce l’opera di Parker: “Nate mi ha chiamato e mi ha fatto vedere il film. Era da anni che non mi emozionavo così”.
“Gli ha dato qualche consiglio?”, chiede una giornalista.
“no”, risponde lui, “a parte il fatto che il film era già compiuto e finito. Ma questo è il film di Nate, scritto diretto e interpretato da lui. E tale deve rimanere. Senza influenze o variazioni”.
Un’altra giornalista si rivolge poi a Nate Parker: “È vero che lei é cristiano?”.
“Sì”, risponde Parker, “la religione é molto presente nel mio modo di affrontare la vita e l’arte. Il mio scopo è riflettere nei miei film i nostri tempi e dare una speranza”.
Inevitabile toccare la sfera politica quando Spike Lee è in campo:
“Com’è a suo avviso la situazione sociale e politica attuale in America?”, sorge una domanda dal pubblico.
“Tragica. Abbiamo un presidente che anziché unire la nazione la divide. Che strappa i bambini dalle braccia urlanti delle loro madri. Parlava di liberazione, ma ha messo invece delle gabbie”.
Da questa interessante e stimolante conferenza passo alla visione di “Wasp Network”. Tra gli altri, in sala erano presenti il regista Olivier Assayas e del cast Penélope Cruz, Edgar Ramírez e Gael García Bernal. Peccato che il film sia un piattume disarmante, narrativamente e registicamente nullo, una produzione di scarto degna del fondo del barile di Netflix.