Ebbene, a quasi solo due anni dalla sua uscita sui nostri schermi, avvenuta precisamente il 24 Maggio del 2017, voglio parlarvi dell’ultimo capitolo del celeberrimo franchise Pirates of the Caribbean. Cioè Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar.
Saga inaugurata con strepitoso successo nel 2003 con La maledizione della prima luna (Pirates of the Caribbean: The Curse of the Black Pearl).
Sì, nel 2003, sotto l’egida del discutibile ma lungimirante produttore Jerry Bruckheimer e la funambolica, spassosa e colorata regia di Gore Verbinski, prendevano ufficialmente il via le rocambolesche avventure piratesche di Jack Sparrow, interpretato con goliardico spirito camp e genialmente cialtronesco da un Johnny Depp raramente così ispirato. Un personaggio flamboyant, guascone e irriverente ricalcato a sua volta, nelle movenze e nel trucco sopraccigliare, perfino nella sua natura decisamente sopra le righe e burlesca, sulla figura del famosamente controverso chitarrista storico dei Rolling Stones, Keith Richards.
Un’interpretazione, quella di Depp, amatissima dal pubblico e assai lodata dalla Critica. Tant’è vero che La maledizione della prima luna segnò, pensate, la prima nomination all’Oscar per Depp, nonostante già una carriera alle spalle decisamente egregia. Nell’anno di Lost in Translation e di un altro mirabile clown malinconicamente sui generis, ovvero Bill Murray del succitato film di Sofia Coppola, l’Oscar andò però a Sean Penn di Mystic River. Ma è un altro discorso.
La maledizione della prima, divertente mistura di fantasy, di peripezie picaresche mescolate al sovrannaturale, alla magia stregonesca e alle intrepide adventure stories dei grandi romanzieri di quest’irresistibile genere, a sua volta era stata una sorta di rielaborazione cinematografica molto fantasiosa di un omonimo parco giochi di Disneyland.
La maledizione della prima fu un tale successo planetario a livello d’incassi tale da indurre immediatamente produttori & company ad allestire i vari, più o meno riusciti, mosci, altrettanto efficaci o fiacchi sequel che tutti noi conosciamo. Vedendo l’avvicendarsi in regia, dopo le prime tre pellicole a opera appunto di Verbinski, perfino di Rob Marshall.
Per questo quinto capitolo, Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar, si decise di affidare la macchina da presa ai norvegesi, amici sin dall’infanzia, Joachim Rønning e Espen Sandberg.
E il galeone coraggioso di Jack Sparrow, che per tanti anni ha solcato in maniera liscia come l’olio gli oceani dei più redditizi box office, è colato a picco. Non in termini però remunerativi perché il film ha incassato lo stesso alla grandissima, bensì in termini qualitativi.
Ora, va detto che già prima di questo film, il barcone, anzi il baraccone… aveva mostrato segni di forte cedimento. E le paratie strutturali della messa in scena, del divertimento e della compiutezza appassionante, perlomeno dei primi tre capitoli, erano già state erose. E la nave-super scafo di Jack Sparrow, anziché sventolare bandiera orgogliosamente battente imbattibilità travolgente e inscalfibile, appunto, stava prematuramente sprofondando nel melmoso mare degli abissi gorgoglianti di storie che facevano acqua da tutte le parti, annegando in un risucchio vorticosamente sterile e asfissiante.
Noia purissima come l’H2O più imbevibile. Sì, l’alchemica formula chimicamente vincente dei primi episodi si era già corrotta di celluloide noiosamente avvelenata alla base da una tronfia ripetitività indigesta.
Detto ciò, no, Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar non è proprio brutto, come gli altri suoi predecessori si lascia anche guardare abbastanza volentieri, malgrado la lunghezza eccessiva e qualche consequenziale nostro sbadiglio di troppo.
Ma la trama è ingarbugliata, confusa, insomma, non si capisce niente a dispetto dell’apparente semplicità della storia stessa. Che, a conti fatti, è sostanzialmente questa:
il giovanissimo e impavido Henry Turner (Brenton Thwaites) s’imbarca sull’Olandese volante ove, in una notte cupa come la luna più infingarda e malefica, incontra il fantasma di suo padre redivivo, Will (Orlando Bloom). Il quale gli dice che, per liberarlo dalla maledizione che l’affligge e condanna alla dannazione, deve trovare il Tridente del Poseidone.
Per riuscire in questa difficilissima impresa, dovrà avvalersi dell’aiuto del nostro rintronato condottiero Jack Sparrow (Johnny Depp) e di una ragazza accusata di essere una strega, Carina (Kaya Scodelario). Che altri non è forse che la figlia di Barbossa (Geoffrey Rush).
A mettere un po’ a soqquadro il già ostico piano quasi impossibile, ci penserà perfino il temibile spettro dell’ex capitano spagnolo Armando Salazar (Javier Bardem).
Ma, come sempre, i nemici saranno sconfitti e padre Will resusciterà, riabbracciando l’amore magnifico di tutta la sua vita, Elizabeth Swann (Keira Knightley).
Avrete capito bene che nel film abbiamo anche i cammei di Orlando Bloom e di Keira Knightley, oltre a quello (inutile e decorativo) di Paul McCartney.
Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar è pacchiano oltre ogni dire, pomposo ed eccessivamente cretino e bambinesco, così come le battute imbarazzanti che Johnny Depp, per esigenze di copione e soprattutto per via dello stratosferico cachet, è costretto a recitare in maniera, stavolta, poco convincente e monotona.
Se il film del tutto non affonda è grazie forse solo alla presenza indubbiamente carismatica del grande Bardem, qui ancora più inquietante e “mostruoso” del solito, grazie allo splendido, tetro trucco digitale.
Grandi effetti di CGI anche per ringiovanire il volto di Johnny Depp nella lunga scena di flashback dello scontro giovanile, appunto, fra il suo Sparrow e Salazar/Bardem.
Il film è davvero, comunque, ridicolo e sciocco.
Ma se non lo stronco del tutto è perché sono fan, come credo che lo siate voi, de L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, di James Fenimore Cooper, di Jules Verne, di Emilio Salgari col suo spericolato Sandokan e delle sue tigri di Mompracem.
Chi non conosce Emilio di Roccabruna signore di Ventimiglia detto Il corsaro nero?
E chi della nostra generazione non ha mai giocato a The Curse of Monkey Island?
Ma, ovviamente, se amate i mostri marini, il Leviatano e le balene bianche, datevi al magistrale Herman Melville col suo Moby Dick.
Se invece disprezzate i film infantili ma amate i capolavori e basta, che ve lo dico a fare?
Riguardate Master & Commander – Sfida ai confini del mare e state zitti. Sì, come diceva Robin Williams ne L’attimo fuggente, ragazzi, amate Walt Whitman…
O Capitano! mio Capitano! il nostro viaggio tremendo è terminato…
Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili;
non sente il padre mio il mio braccio, non ha più energia né volontà;
la nave è all’ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito;
la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;
esultate, coste, e suonate, campane!
mentre io con funebre passo
percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
caduto, gelido, morto.