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Racconti di Cinema – Rusty il selvaggio di Francis Ford Coppola con Matt Dillon e Mickey Rourke

Ebbene, Francis Ford Coppola ha appena compiuto ottanta primavere e quindi ci pare doveroso dedicargli un Racconto di Cinema.

Soffermandoci su uno dei suoi più splendenti capolavori, ovvero Rusty il selvaggio (Rumble Fish) con un giovanissimo, gagliardo Matt Dillon, affiancato da un superbo Mickey Rourke, da un lancinante e prodigioso Dennis Hopper, a loro volta attorniati da un considerevole parterre, cioè da Laurence Fishburne, dal compianto Chris Penn, da suo nipote Nicolas Cage, in tal caso molto impacciato e inesperto, dalla bella Diane Lane, da Vincent Spano e dal mitico Tom Waits nella parte dello scalcagnato barista di una sgarrupata tavola calda di Tulsa, Oklahoma, cittadina ove è ambientata la commovente, rocambolesca vicenda.

Rusty il selvaggio fu assai sottovalutato all’epoca della sua uscita per via del semplice fatto che, dopo la grandeur, la rinomanza magniloquente e i fasti suadenti di Apocalypse Now, la Critica miope e assai precipitosa, rimase fortemente spiazzata da questo film intimista a basso budget (solo 10 milioni di dollari), snobbandolo non poco.

Pellicola del 1983 della durata alquanto breve ma compattissima e fluida di un’ora e 34 minuti, filmata in uno splendido, incantevole b/n da Stephen H. Burum, sceneggiata dallo stesso Coppola assieme a Susan Eloise Hinton, più comunemente nota con l’acronimo S. E. Hinton, autrice dell’omonimo, famoso romanzo per ragazzi.

Autrice da cui Coppola aveva già ampiamente attinto per il precedente I ragazzi della 56ª strada sempre con Matt Dillon.

Quanto mai ci pare pertinente riportarvi alla lettera, estrapolandola dal suo Dizionario dei film, la sintetica ma esaustiva, esemplare analisi davvero efficace e mirabile, pressoché perfetta, di uno dei maggiori decani della nostra Critica, il rimpianto, insostituibile Morando Morandini.

Che ribadisce in maniera ancora più nettamente precisa quanto già ampiamente accennato:

 Nella Tulsa (Oklahoma) degli anni ‘60 il sedicenne Rusty (Dillon) vive col padre, avvocato fallito e alcolizzato (un Hopper da Oscar), e sogna di diventare come il fratello maggiore (Rourke), leader del quartiere, eroe solitario a cavallo della sua moto. Seguito ideale di I ragazzi della 56ª strada e anch’esso tratto dal romanzo di Susan Eloise Hinton, vale il doppio. Il cuore dell’azione è nel rapporto tra i due fratelli e, a far da contrappunto, nel loro rapporto col padre e nell’assenza della madre, fuggita dieci anni prima. Coppola ha citato Ejzenštejn e il cinema espressionista tedesco, ma il suo film rimanda soprattutto a Welles, per l’uso del grandangolo, del panfocus, delle carrellate avvolgenti, per quel barocchismo sfrenato e visionario che colloca Welles nella linea espressionistica della storia del cinema. Qui quel barocchismo espressionistico è forse di maniera, ma di alto livello. Splendida fotografia in bianco e nero di Stephen H. Burum. Il titolo originale si riferisce ai “pesci tuono”: quei pesci siamesi che attaccano i loro simili e che, come dice il fratello di Rusty, “non combatterebbero se fossero nel fiume, se avessero più spazio”. La metafora è chiara.

Una pellicola magnifica sorretta da un intrepido Matt Dillon in uno dei suoi ruoli più iconici di sempre. Perennemente adombrato nel film dalla figura imponentemente carismatica di Motorcycle Boy (“Quello della moto”), un Mickey Rourke fascinosamente tenebroso, empaticamente eccezionale col suo magnetismo impressionante, permeato ipnoticamente dall’aura d’una virilità elegantemente potente, illuminato dall’allure e dalla grazia elegantemente maliarda e maledetta d’una recitazione, qui, da moderno Marlon Brando sgualcito eppur bellissimo.

Un film dalla trama apparentemente banale ma molto emozionante, una toccante storia di formazione dalla purezza, non soltanto formale, nitidamente cristallina, un film ferocemente sbalorditivo.

Pieno di trovate visive tanto inconsuete, spericolate, frenetiche quanto prodigiose.

Non enfatizzo né lo magnifico più del dovuto, rimarcando che Rusty il selvaggio è uno dei film più belli degli anni ottanta e probabilmente dell’intera storia del Cinema.

Lucido, tetro, adamantina venustà della Settima Arte più innovativa, sperimentale, affabulatrice ed emozionalmente ammaliatrice, funambolica e visionaria.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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