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Racconti di Cinema – Hereafter di Clint Eastwood con Matt Damon

Era ovvio che, prima o poi, noi estremi ammiratori di Eastwood (e uso il plurale maiestatico perché so che fan di Clint lo siete) dovessimo parlarvi di Hereafter. Il suo film, in assoluto, più spiazzante e controverso probabilmente di tutta la sua filmografia.

Film che, come sapete, ai tempi della sua uscita la Critica, soprattutto statunitense, accolse molto freddamente.

La nostra intellighenzia ne fu, con le eccezioni dovute, assai più benevola. In primis Paolo Mereghetti che, sul Corriere della Sera, intessé di lodi entusiastiche Hereafter, usando precisamente queste parole…

Sono pazzi questi americani!

Pazzi per non aver apprezzato la serena saggezza e la delicatezza con cui racconta la storia di tre vite destinate a intrecciarsi: Marie è una giornalista francese (Cécile de France) sopravvissuta allo tsunami, Marcus un ragazzino londinese che ha perso il gemello, George (Matt Damon) un operaio di San Francisco che non vuole usare i propri poteri per contattare i defunti. Tre esistenze «costrette» a fare i conti con quello che ci può essere dopo la morte: perché si è convinti di averne avuto una dimostrazione (la giornalista), perché si riesce a comunicare con chi non c’è più (l’operaio), perché si vorrebbe entrare in contato con chi ci ha lasciato (il ragazzo). Un tema scivoloso e insolito…

Non sono qualità molto americane e sicuramente non vanno molto di moda, ma sono gli elementi distintivi di un cinema di cui personalmente sento sempre più il bisogno: che rispetta lo spettatore, che ama i propri personaggi, che non ha paura di confrontarsi con strade ardue e sa dire qualche cosa del mondo che ci circonda.

Insomma, leggendo le testuali frasi di Mereghetti, oltre che comprendere appieno il suo punto di vista esaltatorio nei riguardi film, avete anche letto la trama.

Sì, Hereafter è la storia di tre persone destinate a incontrarsi, la storia di una donna matura scampata miracolosamente a un tremendo uragano, di un sensitivo fanatico di Charles Dickens e di un bambino rimasto solo e affidato ai servizi sociali, allontanato dalla madre dopo la morte tragica di suo fratello gemello. Marie e George, dopo forti esperienze premortem, cambiano radicalmente nell’animo. Due persone che, seppur in maniera dissimile, si son lentamente allontanate da una vita normale perché, avendo acquisito una sensibilità unica, derivata dall’aver esperito (anche sensitivamente per George) e toccato con mano, potremmo giustamente dire, appunto qualcosa di tanto straordinariamente poco comune, vengono entrambe da allora guardate con sospetto e schivate da chi, superficialmente, le osserva adesso soltanto pregiudizialmente come fossero dei ciarlatani o dei ridicoli malati di mente. George inizialmente, da parte degli psichiatri che non riuscivano razionalmente a spiegarsi la veridicità della sua versione, poiché la scienza ufficiale ovviamente tende a confutare e disconoscere ogni fenomeno psichico ultra-sensoriale, è stato addirittura considerato schizofrenico passivo.

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Marie e George hanno visto oltre l’abisso della vita stessa nostra profonda. Un dono che per entrambi, soprattutto per George, diventa una condanna, un’afflizione perpetua. Perché George, per colpa dei suoi poteri paranormali, non riesce più a stabilire nessun vero e sincero rapporto umano col prossimo. Neppure nei confronti di chi vorrebbe amare. E da cui è inevitabilmente, tristemente respinto. In tal caso specifico da Melanie, interpretata da Bryce Dallas Howard.

Obbligato, non per scelta ma a causa, appunto, del suo gift tanto prodigioso quanto reputato folle e pericoloso, ad auto-esiliarsi forzatamente. E a barricarsi nella più morigerata e ombrosa solitudine.

Un uomo timido, dolce, ammalatosi di melanconia sognante e romanticamente purissima, che s’intenerisce nel riascoltare i capolavori letterari di Charles Dickens, letti da Derek Jacobi. Attraverso la bellezza poeticamente maestosa di uno dei maggiori scrittori di tutti i tempi, George forse sublima il suo eterno, incurabile mal di vivere, perdendosi nella lirica infinitezza dei suoi magici e incantatori racconti fantasiosi. Nella sconfinatezza immaginifica del cantore Dickens, George si strugge lugubremente lieve in notti solitarie all’ombra del sé oscurato dalla gente bigotta e superstiziosa, ignorante. Oscurantista.

Alla fine, Marie, George e il bambino Marcus vedranno i loro destini, come detto, fatalmente incrociarsi durante l’importante Fiera del Libro di Londra.

E per tutti e tre, probabilmente, le loro vite spezzate acquisteranno se non un senso almeno una più viva speranza.

Prodotto da Steven Spielberg, scritto da Peter Morgan, Hereafter rischia però di essere ricordato solamente per la spettacolare scena iniziale dello Tsunami. Devastante quanto visivamente ammaliante. E infatti il film è stato candidato all’Oscar per gli effetti speciali.

E non è affatto un bene che di Hereafter gli spettatori pigri abbiano conservato e conserveranno nella memoria soltanto la suddetta scena.

Perché forse Hereafter, sì, non è un grande film, a differenza di quello che sostiene il succitato Mereghetti, è un film lentissimo, di una lentezza soporifera talvolta disturbante e non sempre impeccabilmente calibrata, che si dilunga a mio avviso eccessivamente nei vari, interminabili preludi, soffermandovisi in modo prolisso e affrettando poi sbrigativamente in un finale troppo risolutivamente sospeso e incompleto, persino poco emozionante e tanto pacato quanto tetramente languido, fatato e inattendibilmente ipotetico.

Ma dobbiamo rendere atto ancora una volta a Clint Eastwood per aver avuto un’immane coraggio nel cimentarsi con una storia angelicamente delicata e soavemente incredibile che, senza il suo elegante tocco, poteva rovinosamente franare e perdersi facilmente in scemenze e pacchianerie new age indifendibili o ancor peggio degenerare in favolistici estetismi kitsch volgari privi di qualsivoglia cinematografica garbatezza.

Hereafter non possiede la forza e la compattezza delle sue opere migliori ma è una pellicola inconsuetamente bella e particolare nonostante le sue vistose imperfezioni.

Un film ammantato di morbida levità. Illuminato da una graziosa, armonica sua affascinante, maliarda, adorabile attrattiva.

Forse George altri non è che l’acquietato, utopistico Johnny Smith/Christopher Walken dell’immortale, cronenberghiano The Dead Zone?

E io rimango dell’idea che Hereafter non sia stato solo un film commissionato al signor Eastwood da Steven Spielberg. Eastwood non è il tipo che si lascia persuadere a dirigere film che non sente suoi.

Dopo tantissimi western, thriller e vicende agli antipodi rispetto a quelle narrate qui, se Clint ha deciso di girare Hereafter, è perché il nostro Eastwood possiede davvero un cuore speciale.

Io la penso così. E non mi sbaglio.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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