In concomitanza con l’uscita nelle sale mondiale di Rambo: Last Blood, vi parliamo di Cobra di George Pan Cosmatos.
Il nome del beniamino Sylvester Stallone è tornato a far breccia nel cuore d’una generazione di nostalgici legati indissolubilmente alla sua icona attoriale.
Stallone, infatti, per molti della mia generazione è stato indiscutibilmente uno degl’intoccabili idoli dell’infanzia.
Il duro dal cuore tenero, l’underdog proletario che, immarcescibile, risorgendo dalle ceneri dei suoi struggimenti e dei suoi laconici, malinconici patimenti, resuscitando propulsivo dalle sue stesse viltà, non abdicando dinanzi alle durissime, esistenziali asperità, non cedendo alle delusioni ma combattendo non solo per la verità, bensì per riagguantare con valorosa, pugnace forza di volontà l’escoriata e oltraggiata sua infangata dignità, in molti dei suoi film si ribella con furente e stoica temerarietà sfrontata.
Durante alcune recentissime interviste rilasciate da Stallone durante la campagna promozionale di Rambo: Last Blood, il nostro Sly ha dichiarato che starebbe lavorando col regista Robert Rodriguez per ridare vita a un suo celeberrimo personaggio, ovvero Marion Cobretti.
Invero, il fatto che Stallone avesse da tempo in mente di riportare alla luce Cobra lo sapevamo già.
Qualche mese fa, difatti, Deadline riportò la notizia secondo la quale lui e il suo amico Dolph Lundgren stanno al momento discutendo in merito a una serie televisiva incentrata sul rebooting di Cobra.
Ora, invece abbiamo appreso che Stallone vorrebbe coinvolgere nel progetto nientepopodimeno che Rodriguez.
Ciò che non sappiamo, però, è se Stallone tornerà personalmente a indossare nuovamente i panni di Marion Cobretti, se il revival di Cobra sarà un sequel, un remake, un lungometraggio o per l’appunto una serie.
Cobra è un film del 1986, tratto dal libro di Paula Gosling, edito in Italia col titolo Facile preda.
Sceneggiato dallo stesso Stallone.
Pellicola della durata di un’ora e 27 minuti prodotta dalla Warner Bros.
La trama è piuttosto semplice:
ci troviamo nella dedalica, sporca e cattiva Los Angeles degli eighties.
Marion Cobretti (Sylvester Stallone), detto il Cobra, è un detective della sezione omicidi denominata “Zombie Squad”, incaricata d’acchiappare e punire gli psicopatici in giro per la città.
Cobretti è malvisto dai suoi colleghi a causa dei suoi modi violenti e troppo bruschi. Il corpo di polizia, infatti, nei confronti dei criminali vorrebbe adottare una linea più morbida mentre Cobretti, non andando molto per il sottile, predilige i modi spiccioli.
Insomma, è una sorta d’ispettore Callaghan elevato alla massima potenza. Tosto, macho e sinceramente reazionario.
Dopo aver freddato brutalmente un folle individuo socialmente pericoloso in un market, Cobretti diventa la guardia del corpo della modella Ingrid (Brigitte Nielsen), una donna rimasta illesa e salvatasi per miracolo dal tentato omicidio che stava per esserle efferatamente perpetrato da Night Slasher (BrianThompson), uno dei leader della Banda della Notte, ovvero un manipolo di ribelli nichilisti e onestamente fuori di testa che inneggiano tutti assieme scriteriatamente affinché l’imperante corruzione della vita occidentale sia quanto prima sovvertita per creare una società priva d’iniquità e più egualitaria.
Ora, chiariamoci.
Cobra è un film osceno e cinematograficamente orrendo. Scandalosamente fautore del giustizialismo più bieco e tremendo, una creatura in celluloide sciattissima partorita dall’edonismo imbecille d’uno Stallone esaltato che, a quei tempi, esibiva sfacciatamente la sua lucida, levigata armatura muscolare con esibizionistico fanatismo di sé stesso, propugnando una filosofia maschilista alquanto arrogante e assai antipatica.
Marion Cobretti è un personaggio che, nelle intenzioni di Stallone, doveva avere lo stesso successo dei suoi mitici Rocky Balboa e John Rambo.
Invece, Cobra si rivelò inaspettatamente un mezzo fiasco commerciale e le critiche furono giustamente impietose. Talmente lapidarie e feroci da indurre Stallone & company a desistere immediatamente dal girarne, appunto, un seguito.
Dopo un incipit incalzante, teso, gagliardo e spettacolarmente appassionante, il film si perde infatti nel moralismo più pericoloso e Cobra, a mio avviso, potrebbe fare il paio con 8mm di Joel Schumacher in quanto a sesquipedale idiozia ideologica.
Sacrosanta, a tal proposito, la recensione che calza a pennello del dizionario dei film Morandini di cui v’estrapoliamo un breve estratto.
Narrativamente: un caso di cretinismo premeditato. Ideologicamente: al livello più basso della pornografia violenta. Stilisticamente: in linea con l’estetica convulsa del videoclip.
Allora ci chiediamo… perché mai Stallone, alla veneranda età di settantatré primavere suonate, vuole presto tornare con un proseguo di Cobra?
Poiché Cobra, malgrado ciò, ha purtroppo a tutt’oggi una numerosissima schiera di passatistici fan sfegatati molto patiti, in verità patetici, che adorano scioccamente questa pellicola e, di conseguenza, l’omonimo personaggio incarnato da Sly.
E non vedono l’ora che Sly, coi capelli tinti e un fisico che, in tutta onestà, non è più quello di una volta, ritorni sul luogo del delitto. Ah ah.
Robert Rodriguez è poi un regista d’enorme talento e potrebbe aggiustare mirabilmente il tiro, donando energica linfa al pessimo e impresentabile Cobra.
Infine Stallone, inforcando i suoi occhialetti Ray-Ban nerissimi su sdrucita canottiera vellutata da uomo lurido, stronzo eppur sempre dolcemente duro, ha comunque il suo perché. Emanando fascino, carisma e fantomatico mistero alla Franco Battiato.
Ma per piacere.