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Racconti di Cinema – Peggy Sue si è sposata di Francis Ford Coppola con Kathleen Turner e Nicolas Cage

Oggi è Pasqua.

Quale giorno migliore dunque per recensire, a proposito di rinascite spirituali,  quello che è uno dei film più sottovalutati in assoluto di Francis Ford Coppola, vale a dire Peggy Sue si è sposata?

Film dell’86, uscito però da noi il 12 Febbraio dell’anno successivo, a cavallo dei premi Oscar.

Sì, pur essendo all’epoca sottostimato, Peggy sue si è sposata (Peggy Sue Got Married) fu candidato a tre Academy Awards, ovvero ebbe le nomination come migliore attrice protagonista, andata a Kathleen Turner (peraltro, unica candidatura di tutta la sua carriera), alla miglior fotografia, firmata da Jordan Cronenweth, lo splendido cinematographer di Blade Runner, e ai migliori costumi di Theadora Van Runkle (Gangster Story, Il padrino – Parte II).

Comunque pochissime, davvero esigue le candidature se raffrontate al numero di statuette ottenute e ricevute con la saga di The Godfather e Apocalypse Now.

Però a ben vedere già meglio rispetto a Rusty il selvaggio (1983), uno dei suoi massimi capolavori, ingiustamente snobbato totalmente, e al precedente Cotton Club (1984) nominato soltanto per le categorie tecniche.

Detto questo, in linea generale, Peggy Sue si è sposata, nonostante i discreti incassi, si rivelò fallimentare per quanto concernette la Critica di allora. Solo col tempo, ha cominciato a guadagnare punti. Assurgendo a pellicola imprescindibile nel filmografico carnet coppoliano.

Trama…

Peggy Sue (Kathleen Turner) è una donna di mezz’età che sta appena divorziando dall’amore di tutta la sua vita, lo stralunato Charlie (Nicolas Cage). Un uomo che, dopo mille clamorosi insuccessi in ambito musicale, ora s’è accontentato, pur di sbarcare il lunario, di svolgere un modesto lavoro da imbonitore televisivo.

Peggy e Charlie hanno due figli oramai adulti.

Durante una rimpatriata fra ex compagni di liceo, la canonica festa per i diplomati del mitico anno 1960, Peggy, considerata ancora la più bella e affascinante di tutte le ragazze della suddetta classe, viene eletta reginetta della serata.

Sul palco però sviene.

Risvegliandosi proprio nel 1960 come in una sorta di Ritorno al futuro zemeckesiano (epocale film soltanto dell’anno prima, quindi a Coppola non si possono imputare possibili plagi, visto il breve lasso di tempo intercorso tra il suo film e quello di Zemeckis), Peggy, precipitata indietro nel tempo, nei vivi, squillanti giorni fieri e romantici della sua giovinezza perduta, nei mattini radiosi e nelle notti fulgidamente speranzose quand’era una studentessa sognatrice, con la saggezza or acquisita ed esperita dalle circostanze dettate dalla sua vera, attuale età anagrafica, rivive appunto quegli straordinari attimi fuggenti e ruggenti dei suoi splendidi, frenetici, incantevoli e romantici glory days tanto frastornati e caotici quanto ingenuamente chimerici, momenti irripetibili oramai appassiti nella nostalgica malinconia del suo ineludibile, annoiato e problematico presente.

Grazie però alla virtù della sua sopravvenuta maturità, Peggy Sue si accorge, a differenza di allora, quand’era scapestrata, forse un po’ sciocca e superficiale, di svariati eventi e persone che a quei tempi aveva ingiustamente snobbato e trascurato. Che l’erano assurdamente sfuggiti.

Presa com’era dal suo folle, rocambolesco amore per Charlie e dalle sue dolci ambizioni da svampita, dalla levità acerba e melodiosa dei suoi rombanti anni giovanili floridi e arrembanti.

Dunque, come per magia, si desta dalla sua inspiegabile trance in un letto d’ospedale. Davanti ai suoi occhi le appare nuovamente Charlie.

Assalita da un fatale, puro slancio di romanticismo giammai smarrito, delicatamente chiede a Charlie di tornare a vivere con lei.

Una magnifica parabola incantevole e commovente, straziante e strappalacrime sul tempo, sulla maestosità triste e inesorabile dei sogni infranti.

Un’elegia mastodontica sul senso, apparentemente insignificante eppur prezioso e importante, dell’esistenza di noi tutti. Sulla fugacità imprendibile delle nostre suadenti, imperscrutabili emozioni dimenticate e poi miracolosamente ancora riagganciatesi e ancorate al nostro accorato riviverle splendenti come fossero successe oggi e invece son accadute in un’altra era, in un ieri che è tuttora pulsante e lucente.

Coppola ancora una volta, con mano egregia da maestro e campione di razza della Settima Arte, è stato bravissimo nel bilanciare i momenti di schietta, divertita buffoneria ad attimi profondamente melanconici e fantasiosamente poi visionari.

Grazie all’inventiva del suo genio, alla mirabolante sua cineastica fantasmagoria diegetica.

Immergendoci in una storia apparentemente banale, dunque per certi versi stucchevole, smuovendo in noi invero, con finissima eleganza e classe inaudita, quei sentimenti che noi stessi, e non solo Peggy Sue, pensavano che oramai fossero eternamente seppelliti nel grigiore della sterile quotidianità arenatasi alla noia, quei sentimenti ancor in noi scalpitanti che c’eravamo scordati di vivere e respirare. Ché avevamo annerito le nostre anime nel tetro buio della più scoraggiata, falsa e mesta età cosiddetta adulta con le sue scontate insulsaggini.

Kathleen Turner, come detto, fu candidata all’Oscar. Meritatamente. Anche se non poche polemiche sollevò il fatto che in molte scene apparisse logisticamente poco credibile nei panni di una pimpante e vispa giovincella.

Nicolas Cage, qui assurto a co-protagonista, dopo le sue due precedenti piccole parti in Rusty il selvaggio e Cotton Club, ricevette piena, massima fiducia da suo zio Coppola.

Nel 1986, Nicolas Cage aveva solamente ventidue anni. E dunque, nella sua balorda scapestrataggine, nella sua vistosa goffaggine da interprete elevato subito al rango di prim’attore, si dimostrò inaspettatamente, genialmente funzionale nella parte sia del suo imbranato e matterello personaggio del 1960, che efficace come patetico, simpaticissimo fallito con tanto di parrucca di colore giallo canarino-paglierino.

Nel cast anche Joan Allen e gli altrettanto giovanissimi Jim Carrey ed Helen Hunt.

Particina anche per Sofia Coppola.

Peggy Sue si è sposata è un grande film. Una piccola, strepitosa perla da riscoprire.

Perché è un film figlio di un autore e di un modo di fare di Cinema artisticamente poetico che, negli industrializzati, standardizzati tempi terribilmente cinici della nostra cupa contemporaneità, non esiste più.

O è al massimo un’assoluta rarità.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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