“La paranza dei bambini”, basato sull’omonimo romanzo di Roberto Saviano, è tra i migliori esempi di cinema italiano recenti. Complice anche una scarsissima concorrenza? Certo. Ma di film come questi vorremmo vederne più spesso.
Napoli 2018. Sei quindicenni sognano i soldi e la bella vita. Sono come fratelli, non temono nulla e sanno che l’unica possibilità è giocarsi tutto e subito. Nell’incoscienza della loro età, si scontreranno con altri gruppi criminali costituiti sia da adulti che da minori, iniziando così un’irreversibile percorso verso il crimine.
Ciò che rende “La paranza dei bambini” grande cinema è la definizione di una geografia etica e territoriale dettagliata e appassionante. Un cinema agganciato ai personaggi e ai volti, in grado di raccontare una metamorfosi morale racchiusa in corpi che non sono (ancora) pronti ad accoglierla, ad affrontarla e a sostenerla. Appiccicato a un luogo e alla sua realtà, come “Gomorra”, a tratti elegiaco e vibrante come un gangster movie alla Scorsese.
Se l’idea di un film interamente recitato in dialetto napoletano non vi aggrada, o se il crime-movie italiano non fa parte dei vostri generi prediletti, “La paranza dei bambini” potrebbe non fare per voi. “La paranza dei bambini” non racconta qualcosa di nuovo e il finale può inizialmente apparire risaputo. Ma dalla sua visione traspaiono un cuore, una sincerità e un mestiere che difficilmente lasciano indifferenti.
Necessario e inevitabile è rapportare il film in questione al panorama cinematografico nostrano, sempre più spoglio, desolante e accartocciato su sé stesso. In questo senso il film di Claudio Giovannesi (tra gli altri “Alì dagli occhi azzurri”, “Fiore”) è una boccata d’aria fresca o – se preferite – un grande sospiro di sollievo, che per i propri assunti e tematiche così trasversali e capaci di andare oltre il territorio raccontato si è giustamente guadagnato il plauso della critica internazionale.
Grande performance di tutti i giovani attori non professionisti.