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Martin Scorsese, velocissimo ritratto del regista di The Irishman

Questa settimana uscirà, anche se per soli tre giorni, ovvero dal 4 al 6 Novembre, The Irishman di Martin Scorsese.

Una pellicola attesa da una vita che noi, d’anteprima esclusiva, visionammo e recensimmo direttamente dalla Festa del Cinema di Roma.

Un film, a nostro avviso, indiscutibilmente annettibile immediatamente alla pregiatissima categoria dei capolavori più intoccabili e altissimi.

Una strepitosa, elegiaca ode al tempo perduto, un’incantevole, dolceamara favola su sanguinari gangster irredimibili, moralmente insalvabili e al contempo umanamente così straordinariamente irresistibili d’averci lasciato nel cuore trafitti e d’estasi mistica tramortiti.

Un’opera imbattibile firmata dal grande Martin Scorsese.

Spesso, nei nostri racconti di cinema, ci siamo soffermati ad analizzare altrettanti indimenticabili capolavori del suo immane percorso filmografico, scivolando liricamente nelle notti dostoevskjiane del suo celeberrimo antieroe per eccellenza, ovvero Travis Bickle di Taxi Driver, permeandoci dei soavi bagliori infuocati della nostra anima scossaci perpetuamente d’abbagliante magia scaturita dalla visione di questa succitata perla intoccabile, incuneandoci nei bui torbidamente avvolgenti di Fuori orario, fremendo all’interno del variopinto, pirotecnico, tonante squittio della sua eterna, perturbante notte nera, emozionalmente sconvolgendoci nel crepitarvi inquietati e ferocemente commossi, addentrandocene vivamente appassionati, sfrecciando poi nel pulsante cuore magmatico delle meandriche strade languidamente enigmatiche di Al di là della vita.

Film che, pur narrativamente dissimili fra loro e ritmati su eterogenee traiettorie stilistiche apparentemente così lontane ma così di cupe atmosfere vicinissimi, rappresentano la trilogia notturna di Martin.

Mentre L’ultima tentazione di Cristo, Kundun e Silence incarnano a livello intimamente personale e liturgicamente spirituale l’anima scorsesiana più religiosamente combattuta se, amleticamente, essere fedele a un granitico, indistruttibile credo infinitamente involabile e giammai scalfibile, oppure se cedere alle capziose lusinghe della demoniaca vita nostra continuamente tentatrice, soffrendo di conseguenza l’immane tormento esistenziale e ideologico del dubbio più lancinante, della cristologica passione o dell’ascesi per raggiungere o soltanto lambire, ahinoi, l’inattingibile Nirvana.

Poderosamente straziati se aderire dogmaticamente a dei valori inoppugnabilmente assoluti o tremare impauriti dinanzi all’ignoto e al profondissimo mistero della vita così indistricabile per noi tutti, piangendo l’inesorabile dolore della nostra (im)morale condizione umana così ambiguamente (im)mortale.

Quindi i film e i mockumentary di zio Marty, dal sottovalutato ma bellissimo New York, New York a Shine a Light, da George Harrison: Living in the Material World a Rolling Thunder Revue: Martin Scorsese racconta Bob Dylan.

E i suoi forse imperfetti ma comunque importantissimi film con Leonardo DiCaprio, cinque al momento.

Vale a dire Gangs of New York, The Aviator, The Departed, Shutter Island e The Wolf of Wall Street.

Sino al prossimo d’immediata realizzazione, già entrato in pre-produzione, Killers of the Flower Moon. Ove, oltre a Leo, vi sarà ancora una volta Bob De Niro.

Be’, voi tutti, appassionati di Cinema, conoscete oramai a menadito ogni singola pellicola di Scorsese. Dunque, ci parrebbe pleonastico stare a elencarvi tutti i suoi film con tanto di rispettive trame e sottili dettagli.

Martin Scorsese è un autore immane e infermabile. E da più di cinquant’anni, sin dai primi esordi coi suoi affascinanti cortometraggi, rimane uno dei nomi più importanti del Cinema migliore di tutti i tempi.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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