Portato in Italia dopo un anno da Valmyn e Wanted, La Douleur è la trasposizione dei diari di guerra di Marguerite Duras. Con il volto di Mélanie Thierry, diretto da Emmanuel Finkiel
Passato ingiustamente sotto silenzio in mezzo mondo, La Douleur si merita la tardiva uscita organizzatagli dalla Valmyn. E’ un film su cui è facile passare sopra, simile com’è a mille altri per tematica ed impostazione. Ci vuole la pazienza e la buona volontà di andargli incontro, a La Douleur, un lavoro più potente e originale di quanto non possa sembrare dalle prime immagini. Tratto parola per parola dal memoir di guerra nientemeno che di Marguerite Duras (che nel film ha il volto stravolto e intensissimo di Mélanie Thierry), è un film che sovverte i principi stessi del cinema sull’Olocausto, nega il dramma storico collettivo, e ripiega su se stesso trasformandosi in un tour de force patologico individuale. Un film psicosomatico, dedicato agli effetti della nevrosi più classica della letteratura: l’attesa del marito forse morto in guerra.
Raccontato esclusivamente dal punto di vista della sua protagonista, La Douleur è un bollettino di guerra psicanalitico. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, vediamo volgere al termine la Seconda Guerra Mondiale. Parigi è liberata, prigionieri politici e vittime dei lager tornano a casa. Marguerite (Thierry) aspetta il ritorno di Robert, arrestato dalla Gestapo a film iniziato. Stringe una tortuosa relazione con un collaborazionista (Benoit Magimel, pazzesco), si lega ai partigiani guidati da Dionys (Benjamin Biolay), vede i giorni passare senza notizie. Un passo alla volta, il dolore e la paura di ricevere la terribile comunicazione prendono il controllo della sua vita, portandola al limite e poi ben oltre le soglie della follia.
Cosa funziona in La Douleur
Prendendosi tutto il tempo che gli serve e anche un po’ di più, La Douleur drena ogni sentimentalismo dalla propria storia, portando il focus del film su una psicosi quasi polanskiana. In un primo atto bellissimo, vengono poste le basi per un noir di tradimenti passionali, vittime e carnefici: ma è una falsa pista. L’Occupazione finisce, i nazisti scompaiono, ed inizia il calvario vero. Il regista Emmanuel Finkiel chiude la Storia fuori dalla porta e trasforma il film nel resoconto, chirurgico al limite del pornografico, degli effetti dell’angoscia sulla mente e sul fisico della protagonista. Melanie Thierry stravolge progressivamente i propri lineamenti in una discesa inesorabile nell’impotenza e nella paura. Spaventata all’inizio, poi atterrita, poi depressa e infine dispersa in un’ossessione dagli effetti quasi lisergici, dove la realtà perde i contorni identificabili e la vita si trasforma in incubo paranoide.
La Douleur è il nazi-movie con meno nazi e il war movie con meno war: tutta la violenza è nascosta, spiata dalle finestre, raccontata per sentito dire da terze persone. Una narrazione del dolore devastante perché rappresentata nei suoi effetti concreti – il contrario del dolorismo estetizzante e intellettualizzato che piaga tanto cinema simile. Come in certi lavori di Ferrara, il malessere dell’anima si manifesta attraverso la perdita del controllo sul proprio corpo e sui propri sensi. Donna fragile e innamorata, il rapporto tra Marguerite e il suo dolore è quello tra tossicomane e sostanza: l’attesa del morto la uccide e la tiene in vita, evolvendosi, mentre i cadaveri attorno aumentano, a unico motore della sua stessa esistenza. Fino al punto di non potersene più separare.
Perché non guardare La Douleur
La Douleur, come è facile immaginare, non è un film che si consiglia a cuor leggero. Si accoda visivamente a una certe estetica di cinema europeo che è facile immaginare e disprezzare. Senza paura di rischiare il fastidio, abbraccia certi stilemi abusati fino allo sfinimento, senza vergognarsi. Lento, dilatato, infinito, soffre di una certa bulimia narrativa (l’intera prima parte, per quanto entusiasmante, è narrativamente inutile – così come gli spunti polizieschi della vicenda) e di una messa in scena facilmente interpretabile come pretenziosa. Stringendo ancora di più il fuoco sulla sua protagonista avrebbe potuto durare anche mezzora di meno, e a ben vedere la presenza stessa dell’Occupazione nazista e dell’Olocausto, per quanto legittimata dall’autobiografismo di fondo, è pretestuosa: non è di quello che parla il film, e se Robert fosse scomparso in un naufragio, o durante una battuta di caccia nel bosco, paradossalmente non sarebbe cambiato nulla.
La Douleur è un film estenuante, e pertanto difficilmente recepibile. Chiede impegno nel seguire una storia lenta fino allo sfinimento, e stranisce con i suoi cliché di messa in scena e rappresentazione. Se si accetta di andare oltre e dedicarvisi, resta un film fortissimo, visivamente e psicologicamente appagante. Ne vale la pena.