Eros Puglielli torna finalmente dietro la macchina da presa con Copperman, bizzarro superhero movie con Luca Argentero e Antonia Truppa: in sala dal 7 febbraio con Notorious Pictures.
Facile immaginare cosa abbia spinto Eros Puglielli ad accettare la regia di Copperman come suo film del “grande ritorno”. Ex enfant prodige ormai vent’anni fa, il regista romano mancava alla grande distribuzione dal 2004. Nel frattempo, molta televisione e qualche progetto semi-sperimentale e poco visto (Nevermind). Copperman, con le sue star e un budget non indifferente, è apparentemente un film sensatissimo da un punto di vista teorico. C’è l’epica supereroistica, in obbligatoria versione revisionista, sposata ancora una volta al realismo magico di periferia (qui provincia vera e propria). Ma c’è anche una presa sull’argomento zuccherosa e semi-infantile, forse per andare incontro ad ogni tipo di pubblico. Scelte sensate sulla carta, molto meno al momento di trovare un film che, nel complesso, si rivela al limite dell’assurdo.
Copperman è l’alterego supereroistico del trentenne Anselmo (Luca Argentero). Il ragazzo è un giovane con problemi mentali della provincia di Perugia. Abita in un paesino pastello tra i boschi dell’Appennino (in cui tutti parlano con accenti diversi e la realtà è bandita): cresciuto solo dalla madre (Galatea Ranzi), appassionato di fumetti di supereroi, Anselmo decide di combattere il “crimine” della sua cittadina assumendo l’identità di Copperman, l’uomo-rame. Con un armatura dal sapore cyber-punk costruitagli dal fabbro Silvano (Tommaso Ragno), giocherà a prendere a bastonate i ladri d’auto nelle sognanti notti umbre. Ma come ogni supereroe, la sua identità segreta si scontrerà con la vita personale, e sarà chiamato a salvare la fidanzatina storica Titti (Antonia Truppo) dal padre violento e usuraio Ernesto (Gianluca Gobbi).
Cosa funziona in Copperman
Lo spunto di Copperman non sarà esattamente geniale (a fare la conta dei riferimenti, da Forrest Gump a Defendor, non si finirebbe più), ma grazie alla dedizione di Puglielli e Argentero il film riesce a farsi voler bene. Anselmo è ovviamente un personaggio artefatto (“ritardato” solo in apparenza, per non mettere a disagio il pubblico come Tropic Thunder insegna), più un adorabile pazzerello che un ragazzo con problemi, e questa forma di dolcezza è un po’ la chiave stilistica adottata per tutti i personaggi. Tutto e tutti in Copperman sono simpatici, dallo pseudo-cattivo alla banda di matti amici del protagonista. E’ un film che nega la sua premessa apparentemente cruda per andare incontro ad un’idea di cinema sognante, para-felliniana. Spunto che si sposa bene con la linea registica scelta da Puglielli. Con molto (forse troppo) Jeunet in testa, il regista abbonda di soluzioni visive ardite, colori brillanti, buffe macchiette sopra le righe, in un film in cui ogni cosa è tenera e amabile.
Perché non guardare Copperman
Il problema di Copperman è che un simile approccio non ha nessun senso di esistere, almeno in virtù di questa chiave interpretativa. E’ un film che prova (e a tratti riesce pure) a coniugare il mito del supereroe in tutte le sue sfaccettature, con il prototipo cinematografico dell’idiot savant, che nonostante ovvi problemi riesce grazie al buon cuore a superare le avversità della vita. Il tutto sciaguratamente a metà tra il realismo sporco di un Gabriele Mainetti, e una improbabile estetica da televisione della nonna. Il paesino colorato, le massaie con i vestiti a fiori, i dialoghi impossibili: tutto sembra gridare Don Matteo, a partire dalla location (Spoleto). Un’idea di scrittura e messa in scena in controtendenza con quello che il film forse vorrebbe fare: da un lato abbiamo lampi di violenza, morti, linguaggio forte e sgradevole (Anselmo viene più volte chiamato “mongoloide”); dall’altro, Copperman viaggia sul treno dei sentimenti, dei bei colori e del bel paesino fuori dal tempo e dal mondo. E la cosa più assurda è che la seconda componente, quella bambinesca, funziona meglio della prima.
Copperman si fa apprezzare nelle sue parti: gli attori sono bravi (soprattutto tra le seconde linee), molte scene fanno sorridere, e si avverte un grande sforzo tecnico nella cura del dettaglio (il character design di Copperman non è affatto male). Puglielli sembra crederci assai, e non si vergogna di calcare sul pathos. Ma allontanandosi per osservare l’insieme, si scopre un film senza pubblico: troppo bamboccio e “Rai” (che infatti produce) per una platea di ragazzi, troppo aspro per un pubblico maturo, che comunque non avrebbe ragione di approcciarsi ad un film di supereroi. La voglia c’è, ma manca drammaticamente la consapevolezza del prodotto.
Copperman al cinema dal 7 febbraio con Notorious Pictures