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Black Mirror 5 – La Recensione dell’episodio 2 – Smithereens

Dopo la recensione del primo, entusiasmante episodio di Black Mirror stagione 5, qui recensiamo il secondo di questa suddetta nuova stagione, ovvero Smithereens.

Diretto da James Hawes, diciamolo subito per non incorrere in fraintendimenti: Smithereens è decisamente poco efficace, per non dire banale. Anche se, a essere onesti, dovremmo liquidarlo semplicemente col termine esatto che si meriterebbe, ovvero brutto.

La trama è questa:

un tassista di nome Chris Gillhaney (un comunque bravissimo Andrew Scott), nonostante numerose sedute psicanalitiche, non riesce ancora a darsi pace poiché si ritiene l’involontario responsabile della morte della sua donna, deceduta in seguito a un grave incidente stradale da cui lui è rimasto miracolosamente illeso ma che ha ucciso, oltre a lei, perfino il guidatore dell’autoveicolo che s’è schiantato loro contro.

Un giorno ha una violenta crisi psicotica e, nel suo tassì, prende in ostaggio un uomo di nome Jaden, (Damson Idris), credendo di trovarsi di fronte a uno dei pezzi grossi di Smithereens, ovvero l’azienda creatrice di un’app simile a Facebook e Twitter che Chris identifica come capro espiatorio della tragedia occorsagli. Infatti, lui è convinto che non sarebbe successo nulla se, in quella notte in cui morì la sua donna, non si fosse distratto alla guida, utilizzando Smithereens per controllare una notifica. Lui e la sua donna sarebbero rincasati sani e salvi e avrebbero vissuto felici e contenti per tutto il resta della vita.

Chris scopre però immediatamente che l’uomo da lui rapito altri non è che un povero stagista.

Al che, la polizia comincia a inseguirlo, a pedinarlo lungo le campagne e Chris, a quel punto, accerchiato dalle forze dell’ordine, affonda nella disperazione più assoluta.

Il negoziatore David Gilkes (Daniel Ings) prova ad arrivare a una soluzione pacifica, tentando di mediare con Chris. Il quale però, temendo di venir ingannato, per la liberazione del suo ostaggio, pone come condizione la possibilità di mettersi in contatto con l’artefice di Smithereens, vale a dire Billy Bauer (Topher Grace). Il capo di questa potentissima corporazione, un guru che vive nella sua casa lussuosa, isolata nel deserto.

Ebbene, abbiamo sempre lodato Black Mirror e soprattutto il suo geniale inventore Charlie Brooker per essere stato il padre di una serie che c’ha continuamente stupito, essendosi saputo reinventare perennemente, ingegnandosi brillantemente nel partorire storie dagl’intrecci fantasiosamente mirabili.

Stavolta però, ci piange il cuore, dobbiamo ammetterlo: Brooker c’ha stupefatto in peggio. Perché Smithereens è innanzitutto un episodio troppo prolisso che si dilunga in retorici piagnistei retorici e, in alcuni punti, risulta davvero soporifero e prevedibile.

Perché da Charlie Brooker c’aspettiamo lecitamente di più. Brooker, invece, come detto, s’è limitato stavolta a un j’accuse loffio contro il potere malsanamente valoriale e distorsivo delle nostre abusate, internettiane reti sociali

Un moralistico pistolotto pieno zeppo di luoghi comuni con un finale insopportabilmente pietistico che sembra fare il verso a Un mondo perfetto di Eastwood nel suo scontato e programmatico cinismo di maniera. Sì, il cinismo è il marchio di fabbrica di Black Mirror ma qui il colpo di scena è stato telefonato. Quindi, non è stato affatto un colpo di scena vero e proprio, sorprendente ed emozionante, bensì un calcolato giochino talmente ovvio d’averci lasciato increduli.

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No, grazie. Tutto già visto. L’unico motivo di reale interesse di quest’episodio è Andrew Scott che ha saputo riprodurre, soprattutto negli ultimi venti minuti, tutta la folle, crepitante ansia di un uomo crollato a pezzi.

Che Andrew Scott fosse bravo, lo sapevamo.

Quello che invece abbiamo saputo è che anche Charlie Brooker può rivelarsi, come in questo caso, fallimentare.

Speriamo che si sia trattato del classico, perdonabile errore di percorso.

D’altronde, dopo 5 stagioni, appunto, prima o poi doveva sbagliare anche lui.

 

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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5 commenti

  1. Ma vaffanculo è stato un episodio bellissimo

    • Noi non la pensiamo come lei ma sinceramente non ci pare il modo più educato di commentare.
      Secondo lei è un episodio bellissimo. A nostro avviso, invece è uno dei più deboli dell’intera serie.
      Se volesse comunque gentilmente argomentare in merito, ci dica pure.
      Ma la preghiamo cortesemente di non usare questo tipo di linguaggio.

      • D’accordo sul fatto che la trama sia un po’ scontata e prevedibile, d’altra parte però è stato fatto un lavoro impeccabile di regia e recitazione (specie dal protagonista): il malessere del protagonista è palpabile.
        Non d’accordo sul ”j’accuse loffio…”. E’ vero si che sarebbe stato possibile trattare il tema in maniera più profonda, ma d’altra parte penso che l’intenzione dell’autore fosse quella di far percepire emotivamente, piuttosto che intellettualmente, quali sono i rischi ”delle nostre abusate, internettiane reti sociali”.
        Inoltre penso che in questo modo il ”j’accuse” sia fruibile ad una fetta più ampia di spettatori; per alcuni risulterà banale, ma per altri, per quelli che non riescono a ”sopravvivere ai 10 secondi di noia”, può essere un ottimo spunto di riflessione. Ed in un epoca dove i secondi superano di molto i primi, forse è il modo migliore di trattare certi temi.

        • Grazie per il tuo intervento. Sono l’autore della recensione, quindi ti rispondo io. La trama, sì, è scontata. E a mio avviso, come ho scritto, quest’episodio si salva quasi unicamente per la prova di Andrew Scott.
          Sul valore della sua performance mi pare che siamo d’accordo.
          La regia invece l’ho trovata soporifera e piatta. Con un finale appunto telefonato. Sull’argomento, come ho accennato nella rece, ci sono film decisamente migliori. Pensiamo a Quel pomeriggio di un giorno da cani o allo stesso, da me citato, Un mondo perfetto. Quindi, credo che stavolta Charlie Brooker abbia peccato di scarsa originalità. Inoltre, il suo cinismo programmatico, in tal caso, è troppo studiato.

  2. Ciao ragazzi, è un’opera d’arte FATTIVA sugli incidenti stradali à la Young Europe. Un episodio maturo, profondo, che rimane nell’anima e nello stomaco. Un caro saluto Matteo Vicino

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