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Arma Infero 1: Il mastro di Forgia, recensione del libro di Fabio Carta

Oggi recensiamo quest’importante libro di Fabio Carta, Arma Infero 1: Il mastro di Forgia, primo capitolo di una lunga saga da lui inaugurata, edita dalla Inspired Digital Publishing in formato ePub e disponibile alla vendita anche per Amazon-Kindle.

Si tratta di un fantasy storico-medioevalistico dagli echi fantascientifici. Che m’ha ricordato, malgrado la narrazione e i disparati climax assai divergenti, le atmosfere pur meno cineree, funebri e molto meno pessimistiche, la science fiction distopica del film Hard to be a God del compianto Aleksey German. Che proprio noi recensimmo qualche mese fa.

Questa la sinossi del libro:

Su Muareb, un remoto pianeta anticamente colonizzato dall’uomo, langue una civiltà che piange sulle ceneri e le macerie di un devastante conflitto. Tra questi v’è Karan, vecchio e malato, che narra in prima persona della sua gioventù, della sua amicizia con colui che fu condottiero, martire e spietato boia in quella guerra apocalittica. Costui è Lakon. Emerso misteriosamente da un passato mitico e distorto, piomba dal cielo, alieno ed estraneo, sulle terre della Falange, il brutale popolo che lo accoglie e che lo forgia prima come schiavo, poi servo e tecnico di guerra, ossia “mastro di forgia”, e infine guerriero, cavaliere di zodion, gli arcani veicoli viventi delle milizie coloniali. Ed è subito guerra, giacché l’ascesa di Lakon è il prodromo proprio di quel grande conflitto i cui eventi lui è destinato a cavalcare, verso l’inevitabile distruzione che su tutto incombe.

Lo stesso autore, Fabio Carta, in maniera fortemente tonitruante si rivolge fin dalla primissima pagina del suo sofisticato, appassionante, inconsueto e innovativo romanzo ai suoi lettori, attraverso queste lapidarie, emblematiche parole:

E ora, fratelli, lasciate che vi narri di quei tempi, in cui le nuvole correvano rapide sopra gli aspri calanchi e di quando Lakon combatté per noi…

Sin dall’incipit, roboante e maestoso, comprendiamo dunque immediatamente che abbiamo a che fare con un romanzo peculiarmente raffinato, impeccabilmente curato nella prosa ricercata e arcaica, figlia di un autore che allestisce un complesso intreccio perfettamente fascinoso, mantenendo sempre alto il suo livello di scrittura.

Una prosa barocca, ribadiamo, forse in alcuni tratti un po’ ridondante e indubbiamente non per tutti i gusti, però perennemente imbastita su una fine, erudita e considerevole padronanza potente del linguaggio.

Cito a tal proposito uno dei primi, incalzanti passi e passaggi. A mo’ esemplificativo e introduttivo sia della storia raccontataci che dello stile adottato da Carta:

Muareb, vivo o morto, non è la Terra. Non lo è mai stato. Il suo giorno è ancora troppo veloce così come lo è la rotazione sul suo asse; e la bianca stella primaria del suo sistema, Mu–Arae, immensa eppure lontanissima, sorge e tramonta per ben due volte nel tempo in cui l’invitto Sol scandisce la giornata antropica sulla Terra. E Mu–Arae, remoto altare di luce, non brilla come Sol; pallido e disperso dalle nubi, il suo diafano albore giunge da troppo lontano per scaldare come si converrebbe al mammifero uomo quel piccolo, triste mondo senza stagioni.

A differenza del succitato Hard to be a God, sì, l’ecosistema planetario di Muareb è altrettanto popolato da esseri uguali agli uomini ma la sua biosfera è assai differente dalla Terra.

Non v’è cielo né mare, questo mondo è disadorno, arido, sterile. E non ci sono animali.

Ad alloggiarvi e stazionarci, o meglio a giungervi dal nulla è appunto un uomo, un colonizzatore, sceso nelle braci suadenti e al contempo feroci, illuminanti di Muareb.

Ove gli esseri umani sono divisi fra esclusi, storpi e sgraziati, e una sorta di casta privilegiata di uomini mutati nell’anima alla conquista del Trono.

Subito svetta, malconcia ma autorevolmente vegliarda, la figura imponentemente simbolica di un vecchio che avvicina il protagonista.

Ecco, premettiamo questo. Arma Infero è un libro, come detto, pieno di sostantivi e aggettivi piuttosto desueti. Come sincrasi, antropica, geodetica.

Perciò richiede notevole cultura della nostra Lingua. E ci chiede, all’istante, fin dapprincipio il gioco, potremmo dire così, d’invogliarci a saltarvi su, come si è soliti fare parimenti nel Cinema coi film apparentemente più ostici ed eclettici.

Catapultandoci subitaneamente in un mondo appartenente a un’altra dimensione. Una dimensione eterea e altera, collocata in uno indefinito spazio-tempo ai confini dell’immaginazione più frenetica, un mondo ricco di rarefatte e al contempo floride suggestioni, innestato su sfumature psico-diegetiche e descrittive minuziosamente sovrabbondanti.

Se vorrete accettare questa sfida, lasciandovi immergere in quest’epifania vivida di poliformie lessicali dotte e fantasiose, non potete perdervi Arma Infero.

Un libro che può perfino ricordare Dune di David Lynch, nonostante se ne discordi per trama, personaggi e sviluppo.

Vi sono naturalmente puntuali riferimenti anche a Il trono di spade, eccetera eccetera. Così come spesso va di moda e si è soliti fare oggi, traendo spunto da film, serie televisive e libri di successo.

Ma Fabio Carta non “copia” mai, semmai reinventa, ricicla e attinge dal già detto, citato, visto e scritto, solamente per modellare meglio un suo mondo, culturale e narrativo, già precisissimo, personalissimo, originale e molto definito.

Il mondo di Arma Infero, il mondo di Fabio Carta, il mondo di uno scrittore interessantissimo.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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