Apostolo: Il gallese Gareth Evans cambia completamente rotta e sceglie Neftlix per lanciarsi nell’horror, ma è un passo mezzo falso.
Nel 1905, Thomas Richardson (Dan Stevens) si reca in una lontana isola per salvare la sorella rapita da una misteriosa setta che chiede un riscatto per la sua liberazione. Per l’uomo sarà un viaggio all’inferno.
Cosa funziona in Apostolo
La confezione è fatta di atmosfere azzeccate, di gore esibito e abbondante e di truculenza audace in grado di affondare le unghie (un’insostenibile sequenza di tortura rimane negli annali). Tante belle idee sul campo, che richiama certe perle d’horror d’antan (vengono in mente “Il grande inquisitore” e “The Wicker Man”) e vanta ottime prove attoriali (spicca Michael Sheen in inedita veste truce).
Perché non guardare Apostolo
Perché, in verità, si ferma proprio alle intenzioni, semina senza raccogliere. Poteva essere un grande horror di serie B, divertente e godereccio, invece sceglie di mettere troppa carne al fuoco e la lascia bruciare. Il finale terribilmente inconcludente è la triste resa di uno script che dopo un’ora e mezza ha esaurito ogni spunto e si trova con l’acqua alla gola. A onor di ciò, grava in particolar modo l’eccessiva durata.
L’incapacità di un autore maiuscolo di uscire dai propri schemi o le soffocanti esigenze di Netflix che impongono standard azzerando una complessità e uno spessore più vitali ma d’altro canto scarsamente accessibili da parte del suo pubblico? Quale che siano le ragioni dietro il suo fallimento artistico, Apostolo rimane un’occasione sprecata, seppure meglio di tanta sbobba che passa nei multisala.