In sala dal 25 gennaio, L’Uomo Sul Treno riunisce ancora una volta il regista spagnolo e l’attore irlandese, per un altro tassello della sua personale saga action.
“Non ho più l’età“, diceva lo scorso settembre. A giudicare da L’Uomo Sul Treno (The Commuter, USA, 2018), gli estremi per mettere in cantiere altri quindici action con Liam Neeson protagonista ci sono tutti. Alla sua quarta collaborazione con lo spagnolo Jaume Collet-Serra, promessa giovanile nell’horror lo scorso decennio reinventatosi artigiano dell’azione hollywoodiana proprio in coppia con il colosso irlandese, Neeson, oltre ad essere più in palla che mai sul piano fisico, si è completamente sovrapposto all’iconico ruolo che dal primo Taken (2008) gli si è cucito addosso. Il pubblico lo riconosce, l’industria pure: basta lui da solo a tenere insieme a livello economico un tipo di produzione medio-bassa (30 milioni) che in questo momento è l’unica via di mezzo sostenibile tra i blockbuster miliardari Disney ed il cinema indipendente festivaliero. Il “cinema di cassetta”emigra su Netflix. Liam Neeson resta in sala. E incassa pure.
L’Uomo Sul Treno (che in originale è un più prosaico “pendolare”) è Mike. Mike è il classico personaggio di Neeson: un everyman di mezza età malinconico e grigio, con un lavoro triste, un passato da agente di polizia/esercito/servizi, e occhi solo per la propria famiglia. E da che mondo è mondo, questa gli verrà prontamente rapita. In modalità assai fantasiose, verrà costretto da tal Joanna (Vera Farmiga) a compiere una missione in cambio del riscatto: sul treno che Mike, agente assicurativo, prende due volte al giorno per raggiungere Manhattan, c’è una persona misteriosa. Non si sa chi sia, se non che questa persona trasporta un MacGuffin di vitale importanza per Joanna. Mike ha tempo fino a fine corsa per individuare questa persona tra il colorito microcosmo proletario del treno (l’anziano borbottante, l’infermiera ispanica, lo yuppie, l’adolescente sbandata ecc) e consegnarla ai cattivi.
Cosa funziona in L’Uomo Sul Treno
Familiare che possa essere il pitch di L’Uomo Sul Treno (una via di mezzo tra Speed e l’Assassinio sull’Orient Express – che peraltro detta così pare quasi geniale), il lavoro di Serra è eccellente. Il film si permette persino di partire piano, presentare una pletora di personaggi, costruire lentamente una premessa che darà il via agli eventi solo dopo una mezzora abbondante. Ma quando il ritmo parte, diventa una corsa infernale in cui tutto può accadere (e accade), fino ad un finale vertiginoso da bocca aperta per quella che, ricordiamolo, è una produzione da poco. Collet-Serra sa di avere poco spazio di manovra tra i vagoni e i sedili, perciò dà sfogo a tutti i trucchi del mestiere registico per tenere a mille la dinamicità: primissimi piani, ralenti, dettagli, perfino un piano sequenza assurdo di lotta corpo a corpo (truccato in digitale, ma tant’è, non siamo in un film di Tony Jaa).
Il casting di L’Uomo Sul Treno mette insieme star di primo piano e caratteristi in maniera bulimica, e viene ancora da chiedersi come sia stato possibile tenere così basso il budget. Qualcuno ne esce inevitabilmente sprecato (Jonathan Banks, Sam Neill), ma il lavoro dei comprimari è eccellente. Liam Neeson, per parte sua, è incredibile. Come un attore di sessantacinque anni, approdato all’action dopo una carriera di film in costume, riesca a tenere insieme un film a questi ritmi, con scene di movimento e lotta estenuanti e credibilissime, è un mistero. L’avessimo scoperto vent’anni prima, oggi parteciperebbe agli Expedables da protagonista. E’ lui la star, quello che il pubblico è venuto a vedere. E si prende tutti e 105 i minuti sulle spalle.
Perché non vedere L’Uomo Sul Treno
Se si è tra i maniaci delle trovate di scrittura, L’Uomo Sul Treno può deludere. La struttura è parecchio classica, e l’elemento thriller non funziona alla perfezione: intuire chi sia in realtà chi, come anche anticipare il colpo di scena finale e l’identità del burattinaio è un po’ alla portata di tutti. Errore classico: con attori troppo importanti, si finisce per fare caso ad un personaggio rimasto misteriosamente sullo sfondo. Non si vanno a cercare svolte sconvolgenti, anzi, qualche passaggio spicca un po’ per ingenuità (a partire dalla improbabile premessa del tutto – che poi a ben vedere è solo una variazione di Non-Stop, seconda fatica della coppia Neeson-Collet-Serra targata 2014). E dei pesi massimi malamente sprecati in personaggi da due battute si è già detto.
Per il resto, si tratta di cercare il pelo nell’uovo: L’Uomo Sul Treno è un film di regia e azione, in cui il mistero è una componente relativa, e il vero cuore sta nel suo protagonista. Che ci mette una foga travolgente, e una prestazione tra le migliori in un carnet da action hero che già molti veterani del genere si sognano. E ora ne vogliamo altri quindici.