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Ride, presentato il found footage italiano: “Abbiamo osato, è un film punk”

Presentazione di Ride, primo sperimentale film di Jacopo Rondinelli, prodotto dalla coppia Guaglione-Resinaro: “Siamo maestri di complicarci la vita”

Un film come Ride ha molto da dire. Rappresenta un unicum nella cinematografia italiana sia per soggetto, che per concezione, che per tecnica di produzione. Ne sono ben consapevoli i suoi autori, che giustamente gongolano in conferenza stampa alla sola idea di aver concluso una simile impresa. “E’ stata una sfida ardua anche solo finirlo,” ha raccontato il regista Jacopo Rondinelli dopo la  prima presentazione stampa dedicata al film. “Ride è un lavoro sperimentale, che vuole unire l’idea delle corse ad una narrativa complessa. E’ un film punk, abbiamo osato e schiacciato sull’acceleratore“.

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La follia del found footage in GoPro unito allo schema da film sportivo ha per forza di cose richiesto uno sforzo inusuale da parte degli attori. “I mille punti macchina ci hanno spinto a cercare un nuovo tipo di recitazione“, conferma Rondinelli, “con gli attori chiamati a sperimentare. L’automatismo è arrivato solo nell’ultima settimana.”
Io stesso mi ritengo un attore fisico“, ha fatto eco in tal senso il protagonista Lorenzo Richelmy, “e il film ha richiesto una vera prestazione fisica. Gli stunt erano pazzi, ma abbiamo dovuto far qualcosa anche noi attori… Il linguaggio delle GoPro per noi è entusiasmante, è qualcosa di nuovo che va oltre il classico concetto di buona-cattiva recitazione.” Qualcosa che all’interno dell’industria italiana appare di per sé impensabile, specie per un attore abituato a lavorare all’estero: “La pluralità di punti di vista ci ha permesso di sospendere il giudizio sull’inquadratura. In Italia agli attori viene chiesto di fare il minimo, mettersi davanti alla mdp e via. Qui invece avevamo la massima libertà di espressione: dieci goPro addosso, e il mondo intero come set. Correvo per chilometri e sapevo che ogni mio movimento sarebbe stato filmato. E’ una tecnica da studiare, da attore mi si è aperto un mondo. E’ un film che cerca di guardare avanti.”

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Altro discorso merita la scrittura e la pianificazione. Come si organizza un film del genere? “Ride era partito come Duel sulle bici,” racconta lo sceneggiatore Marco Sani, “poi abbiamo deciso di fregarcene di tutto, e il film è diventato mille altre cose oltre il primo piano di lettura. Nei due anni di lavorazione è successo di tutto. L’idea del found footage ci è venuta dopo, e ci ha dato la massima libertà.”
Raccontano il loro punto di vista anche le vere menti dietro il progetto Ride. Fabio Guaglione e Fabio Resinaro hanno ideato, prodotto e superivsionato un progetto che, pur lasciato al debuttante Rondinelli, porta tutti i marchi di fabbrica del duo già noto per Mine. “Speriamo che l’Italia vada incontro a questo modo di fare cinema,” hanno commentato i due, ormai punti di riferimento di un’industria quasi avanguardistica. “A noi piace complicarci la vita, partire da piccoli spunti e creare film grandi e complessi. A metà dell’opera ci siamo resi conto del perché nessuno ci avesse pensato… Un altro film che unisca la soggettiva ad un racconto complesso come il nostro non c’è.”

Se Ride è quello che è, il merito è soprattutto della sua modernissima pianificazione e messa in scena. Il lavoro a marchio G&R è contemporaneo, nei riferimenti come nella concezione: “Volevamo creare un mondo con un’estetica visiva e sonora complessa, che si evolvesse nei toni con lo svilupparsi del film. In post-produzione abbiamo cercato una certa coolness che rendesse il tutto distinguibile. Oltre al gioco citazionista legato ad un’estetica del gaming molto retrò, volevamo poi centrare il discorso sul rapporto della nostra generazione con il digitale. I protagnoisti sono persi dentro questi oggetti, come in una sorta di dipendenza.”
Il progetto Ride, ovviamente, non si esaurisce qui. Come inevitabile per un blockbuster contemporaneo, per di più con ambizioni internazionali, l’universo della Black Babylon è concepito per essere espandibile, potenzialmente infinito. “Ci sono molti aspetti che possono ancora essere raccontati“, hanno chiosato i due produttori, con un occhio neanche troppo scaramantico buttato al futuro. “E’ un film che lascia spazi, vuoti da riempire con teorie e la partecipazione del pubblico. Che magari potrà essere interessato a cercare conferme in un libro o un fumetto… Durante la lavorazione continuavamo a farci domande e cercare risposte. Film così li fai solo se ti diverti veramente.”

About Saverio Felici

(Roma, 1993) Lavora nei campi dell'editoria e della produzione audiovisiva. Scrive e collabora tra gli altri con Point Blank, Nocturno e Cineforum.

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