In attesa del nuovo, attesissimo film di Clint Eastwood, Il corriere – The Mule, con tutta probabilità la sua ultima interpretazione attoriale sul grande schermo, ci pare doveroso parlarvi di quello che è certamente il suo capolavoro assoluto, ovvero l’immortale Gli Spietati (Unforgiven). Oramai indiscussa pietra miliare della storia del Cinema.
Clint Eastwood di capolavori e grandi film ne ha realizzati parecchi. E mi pare ancora una volta pleonastico starveli a elencare tutti a uno a uno. Potrei citarvi Bird o andare a parare su classicissimi oramai conclamati come Un mondo perfetto e Million Dollar Baby, oppure ribadirvi che Gran Torino è un film immane. Basta scorrere la sua filmografia, soprattutto degli ultimi trent’anni, per constatare ineludibilmente che Eastwood è inconfutabilmente un magnifico maestro imprescindibile della Settima Arte. Un cineasta delicatissimo, dotato di una sensibilità cinematografica immensa.
Acclarata questa banalità, perché è sempre comunque giusto rimarcare la monumentalità di Eastwood, passiamo a Gli Spietati.
Film della durata di due ore e dieci minuti, uscito da noi il 19 Febbraio del 1993. Dopo essere stato presentato negli Stati Uniti nell’agosto dell’anno precedente.
Un film da subito acclamatissimo dalla Critica, la quale finalmente comprese, dopo tante ottuse perplessità e con ritardo imperdonabile, che Eastwood non era più soltanto il monco di Leone o il coriaceo, spietato Callaghan, il pupillo di Don Siegel e un discreto director di alterne fortune. Ma capì una volta per tutte, con Gli Spietati, che ci trovavamo di fronte a un masterpiece inequivocabile e che Eastwood, appunto, aveva con quest’opera sigillato e definito perfettamente la sua intoccabile grandezza sempre, purtroppo, precedentemente messa in discussione per colpa della miope intellighenzia assai superficiale e frettolosa coi suoi sbrigativi, bacati giudizi lapidariamente stolti.
Il film divenne la pellicola dell’anno, ottenne nove, meritatissime nomination all’Oscar, e ne vinse quattro.
Fra cui quelle principali di Miglior Film e Miglior Regia, oltre al miglior montaggio (Joel Cox) e best supporting actor (Gene Hackman).
Trama… e non starò certo qui a menzionarvi, sottolinearvi tutti gli snodi narrativi o a spoilerare perché per questo c’è Wikipedia e se, madornalmente mai avete visto Gli Spietati, vi rovinerei la visione. È superfluo sottilizzare. Posso tutt’al più solamente asserire fermamente che la sceneggiatura di David Webb Peoples (Blade Runner, Ladyhawke, Eroe per caso, L’esercito delle 12 scimmie), dalla diegetica secchezza millimetrica, infarcita di dialoghi memorabili e personaggi indimenticabili, è assolutamente perfetta e avrebbe sicuramente meritato di vincere anch’essa la statuetta che invece le fu sottratta da Neil Jordan con La moglie del soldato.
Siamo nella fantasmatica, tetra e autunnale Big Whiskey, nel Wyoming, immersa nel rigido inverno del 1880.
Una giovanissima prostituta, Dalilah Fitzgerald nella versione doppiata in italiano, Delilah in quella originale, (Anna Levine) dopo aver ingenuamente deriso la sessualità di un suo rude cliente, viene sfregiata in volto da costui, il quale la malmena a morte ma viene poi fermato, prima che possa ucciderla, dal gruppo di altre puttane del bordello e dal suo amico. Giunto come lui sul posto per consumare una lurida notte di sesso selvaggio.
Lo sceriffo della città, il tronfio e brutale Little Bill Daggett (un grandioso Gene Hackman) punisce l’aggressore e il suo amico soltanto con un’ammenda, fra lo sconcerto della direttrice della casa di piacere Strawberry Alice (Carrie Fisher), allucinata per lo sconvolgente, miserevole comportamento di Daggett, che non ha infierito oltre sui due malviventi, colpevoli a suo avviso invece di aver irrimediabilmente leso l’angelica bellezza di Dalilah, la quale d’ora in poi, così deturpata in viso, non sarà più allettante per nessun uomo.
Al che, le donne indicono una taglia di mille dollari che sarà assegnata a colui o a coloro che riusciranno ad acciuffare i due bastardi e li ammazzeranno.
Daggett non è d’accordo e con estrema durezza proibisce alle donne di non ufficializzare questa lor avventata decisione, minacciosamente allertando la loro incolumità se s’azzarderanno a spargere la voce in giro riguardo tal possibile ricompensa.
Ma, nonostante l’avvertimento di Daggett, le donne aggirano tal suo sfrontato, vergognoso divieto e diffondono ugualmente, seppur in totale segretezza, la notizia della stuzzicante offerta.
Al che, il primo a presentarsi in paese per far piazza pulita dei due uomini e riscuotere il compenso è il misterioso, leggendario, infallibile, elegante pistolero Bob l’inglese (Richard Harris), accompagnato dal suo fido biografo Beauchamp (Saul Rubinek), pavido scribacchino delle mitologiche ma forse contraffatte imprese da cowboy del suo padrone.
Bob l’inglese viene sanguinosamente picchiato da Daggett in un pubblico pestaggio assai umiliante. Daggett sbatte in cella Bob l’inglese, gli fa trascorrere la notte in gattabuia, poi lo rispedisce a casa con la coda fra le gambe, rubandogli anche Beauchamp.
Ma sulle tracce degli assalitori vi sono anche altri tre uomini, l’arrogante e inesperto Kid (Jaimz Woolvett), il veterano Ned Logan (Morgan Freeman), un tipo capace di sparare dritto nell’occhio di un falco in pieno volo, e soprattutto il vecchio, arrugginito, immalinconito William Munny. Un bandito fuorilegge ritiratosi oramai da dieci anni nel suo ranch privato assieme ai suoi due piccoli figli avuti dalla sua amatissima donna defunta, Claudia.
Da allora, William, si è redento dal suo scellerato passato di violenze e turpi, agghiaccianti omicidi.
Ma Daggett, stavolta, commette un’atrocità e Munny, rispolverando la sua furia grintosa, da revenant rispuntato dalle torbide tenebre di un tempo comunque mai dimenticato, brama adesso biblicamente la sua spietata vendetta.
E, in una nerissima notte tempestosa di tuoni e fulmini, nel saloon del torvo, bestiale Daggett e dei suoi lerci scagnozzi, Munny apparirà ai loro stupefatti occhi come un ectoplasmatico diavolo maledetto, come un invincibile cane rognoso, a detonazione impetuosa della punitiva giustizia incarnatasi nel suo assassino spettro implacabile.
Magistrale fotografia crepuscolare di Jack N. Green.
Per un film sconfinatamente stupendo.
Il passato non è più memoria ma ossessione, il mondo non è scontro leale ma cinismo, lo sguardo non è western ma noir, il protagonista non è esempio ma disperazione (Gianni Canova).
Citazione quanto mai significativa a esemplificazione del titolo originale, Unforgiven, mai perdonato/i.
Gli Spietati non è soltanto un capolavoro ma uno dei più grandi film di tutti i tempi.