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Racconti di Cinema – Fuoco assassino di Ron Howard con Kurt Russell, William Baldwin, Robert De Niro e Donald Sutherland

Fuoco assassino, eh sì.

Finalmente recensisco un film di Ron Howard, il mitico Richard Cunningham di Happy Days, l’unico, a differenza dei suoi colleghi di questa epocale serie, a essersi davvero affermato a Hollywood, reinventandosi come regista. Henry Winkler, il carismatico Fonzie, era un altro che, proprio in virtù del successo clamoroso riscosso dal suo personaggio, poteva farcela alla grande ma l’hanno fatto ammalare della sindrome di Anthony Perkins. Sì, Perkins, a parte qualche exploit come Il processo di Welles, nell’immaginario collettivo è stato sempre tristemente identificato come il diabolico Norman “Psycho” Bates e non è mai riuscito a emanciparsi da quest’etichetta tanto leggendariamente grandiosa, a livello di notorietà popolare e di prestigio attoriale, quanto oscenamente limitante, paralizzante. La gente dell’epoca, appena lo vedeva anche in ruoli da straight man, ecco che si spaventava e, soggiogata dalle sue angustie mentali, lo apostrofava con abbruttenti epiteti… del tipo: – Ah, è lo psicopatico del film di Hitchcock!

Stessa sorte anche se in maniera inversa, poiché il suo personaggio, come spiegato, era un dio, capitata a Winkler che per chiunque è rimasto solo ed esclusivamente Arthur Fonzarelli, detto Fonzie. E che sino a oggi, alla veneranda età di settantadue anni (presto 73, il prossimo, vicinissimo 30 Ottobre), non ha mai più trovato ruoli altrettanto di successo, annaspando in filmettini di qua e di là.

Ron Howard, invece, con caparbietà, lungimiranza, impegno costante e un pizzico di fortuna divinatoria, si è riciclato genialmente come regista.

Ora, personalmente non reputo Ron Howard un vero autore a tutti gli effetti e, andando a scandagliare nella sua filmografia registica, mi accorgo chiaramente ancor di più di quanto i suoi film, seppur con qualche decorosa vetta piuttosto apprezzabile, scarseggino di poetica propria. Sì, Ron Howard è un regista abbastanza impersonale, buono e furbissimo per blockbuster abbastanza convenzionali e retorici (vedi Apollo 13 o il sopravvalutato, oscarizzato A Beautiful Mind) ma posso affermare, senz’alcuna vergogna, che non è un director capace d’imprimere alle sue pellicole un riconoscibile, forte marchio stilistico.

Ron Howard ha spaziato intrepidamente, da feroce capitalista di sé stesso, con voglioso e affamato gusto onnivoro e imprenditoriale da un genere all’altro, dalla commedia strampalatamente fantastica (Cocoon – L’energia dell’universo) al polpettone romantico (Cuori ribelli), dal thriller (Ransom – Il riscattoalla science fiction memore di George Lucas (Solo: A Star Wars Story). Ma nulla di davvero eclatante, tutto piuttosto in linea con l’estetica mediamente discreta e quasi mai eccezionale della caramellosa fabbrica dei sogni di Los Angeles.

Fuoco assassino è da molti considerato, tutto sommato, uno dei suoi lavori migliori e più centrati.

È davvero così?

Questo film della durata di due ore e 17 minuti incassò benissimo. E piacque davvero molto agli spettatori. Anche qui da noi in Italia. Sebbene, a ben vedere, tanti critici americani adesso si siano profondamente ricreduti sul suo oggettivo valore e, ad esempio, su Metacritic il film ha ottenuto infatti soltanto un deludentissimo, forse troppo cattivo 38%. Sinceramente, sì, rivisto col senno di poi, non è un granché, nonostante possa annoverare un cast da far sbudellare d’invidia molte altre produzioni USA: Kurt Russell, Robert De Niro, Donald Sutherland, Jennifer Jason Leigh, Scott Glenn, J.T. Walsh e ovviamente lui, enumerato apposta per ultimo, William Baldwin. Attore infame, probabilmente il peggiore della Baldwin “company”, un serpentello magrolino tanto carino, almeno a quei tempi, quanto dal punto di vista recitativo assai piccino. Con la sua boccuccia fastidiosa a c… di gallina. Pura duckface da prendere a schiaffi. Ma in fondo simpatico, suvvia. Insomma…

La trama è di una semplicità paurosa.

Due fratelli, eternamente rivali, sono entrambi vigili del fuoco Molto diversi caratterialmente e d’indoli opposte. Grintoso e turbolento quello maggiore, Stephen (Kurt Russell), detto appunto Bull per essere parecchio stronzo, brusco nei modi e scontroso col prossimo, impacciato, imbranato ed eternamente indeciso quello più piccolo, Brian (il Baldwin).

Adesso però costretti a unire le forze per scoprire il colpevole di una serie di omicidi a sfondo doloso.

Nel mezzo di questa storia semi-detection con incendi a iosa, l’intreccio sin troppo lineare e scontato è un po’ vivacizzato dalle saggezze del marlowiano, scafato Donald “Ombra” Rimgale (De Niro), dalle stravaganze del pazzo irredento alla Hannibal Lecter, Ronald (Sutherland), dalle battutine machiste del volpone John ‘Axe’ Adcox (Glenn) e dal seno ignudo della bella statuina Jennifer (Jason Leigh). Messa in questo film per dare un tocco di rosa, anzi di osé, alla sciocchezza enfatica e ampollosa. Ah, stavo dimenticando le gambe da favola della De Mornay nella scena torridamente malinconica dell’avvinghiante amplesso focoso…
Sì, visto che parliamo appunto di pompieri, quanto mai per definire questo film è calzante lo spregiativo aggettivo pompieristico.

Sì, sebbene Fuoco assassino appassioni e diverta, per quanto sia godibile e ottimamente recitato, è tronfia art pompier.  O meglio una deflagrazione della più pomposa retorica a stelle strisce, e in ciò Fuoco assassino viene perfettamente assecondato dalla colonna sonora spettacolosa e irritante di Hans Zimmer.

Fuoco assassino, mi spiace dirlo, rivisto oggi è poca cosa…

Tanta ostentata magniloquenza visiva, esaltata da acclamati effetti speciali, non supportata da un’adeguata sceneggiatura, di Gregory Widen (Highlander – L’ultimo immortale), che è puerile e terribilmente maschilista.

Un film che infiammò le platee mondiali e per il quale è pertinente invece, adesso più che mai, il titolo originale Backdraft.

Sì, una fiammata di ritorno, simil boomerang.

E poi non ho mai gradito lo stratagemma, adottato da molti registi, di utilizzare lo stesso attore, in tal caso Kurt Russell, per fargli interpretare la parte del padre.

Per quanto, nell’anima, nel cuore e nella passione, un padre possa essere simile al figlio, ha pur sempre una faccia diversa.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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