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Racconti di Cinema – 1997: Fuga da New York, uno dei grandi capolavori di John Carpenter

Ebbene, nel 1981 usciva 1997: Fuga da New York, che non è solo un film…

Da noi sbarcava il 15 Ottobre, per la durata di 1h e 39 min. Diventando nella manciata di un paio di settimane lorde e secche un must, poi diverrà un cult.

All’epoca non potei andare a vederlo al cinema, essendo io del ’79, anche se avrei potuto sgambettare per qualche sala d’essai forse ancora col ciuccio in bocca al posto della benda di Jena (Kurt Russell), e so che già a quell’età me lo sarei goduto da Baby Herman.

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Dopo circa trentacinque anni dalla sua uscita, la domanda che ogni appassionato di Cinema, vero, schietto, si pone è se John Carpenter abbia firmato davvero un caposaldo della Settima Arte o sia stato bravo, a quei tempi, a smerciarlo per tale. Insomma, molti sono tutt’ora perplessi riguardo al vecchio John, non sopportano l’appellativo di genio che i suoi adoratori gli appioppano ed essendo amanti di un Cinema artificiosamente galante, che loro definiscono elegante, quando invece scambiano le leziosità e le affettate, appunto, artefatte sofisticatezze inutili per stile raffinato, non rendendosi conto che amano tutt’al più un Cinema estetizzante e vuoto, adulterato e, questo sì, corrotto, sono dunque convinti che Fuga da New York rientri nella categoria dei sopravvalutati.

Ecco, questo mio periodo non è stato un anacoluto ma rende perfettamente la confusione di queste persone che stanno contraffacendo il Cinema, teorizzandolo oltre il dovuto, con far che mal tollero. E sono loro invece i primi, odiosi amanti boriosi delle assurde “costruzioni sintattiche” del loro ombelicale, ampolloso iper-giudicare e minimizzare qualsiasi cosa, distorcendo il Cinema in toto, elevando a geni persone fasulle e i facili imbonitori retorici e sminuendo gente come Carpenter che merita sempre un posto d’onore sul trono.

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Questo per dire che coloro i quali, a distanza di quasi quattro decenni, non reputano questa pellicola un capolavoro e pensano che Carpenter, con quest’abissale colpo, abbia vissuto sugli allori, meriterebbero di far la fine di Donald Pleasence. Grottescamente impalati alla loro pochezza e alla tronfia, morale lor esiguità umana, con una canzonetta derisoria a sbeffeggiarli mentre noi sfiliamo a testa alta verso un mondo oramai distrutto da tanta saccenteria miserrima e presuntuosa, anzi, untuosa. Fieri, puri idolatri del vero.

La storia la conoscete tutti. New York, o meglio l’isola di Manhattan, è stata trasformata in un enorme penitenziario ove, a mo’ di ghetto degradato e pericolante, sono confinati i peggiori criminali d’America, e dal quale è impossibile fuggire.

L’aereo del Presidente degli Stati Uniti, l’Air Force One, viene dirottato da un manipolo di terroristi esaltati. E il Presidente è eiettato in mezzo alle rovine della gloriosa città che fu attraverso una capsula, grazie alla quale riesce miracolosamente a sopravvivere. Però, viene catturato dal fecciume più lercio di una banda senza scrupoli che lo tiene in ostaggio, chiedendo come riscatto alle forze speciali la liberazione di tutti i detenuti in cambio della sua vita.

 

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Solo un uomo può penetrare in questa diroccata fortezza che è la Grande Mela, dominata dal crimine più sovrano, acciuffare il Presidente e riconsegnarlo alla libertà. Un uomo di nome Jena Plissken, un valoroso reduce di guerra però macchiatosi di tantissime colpe e reati. A lui verrà concessa la grazia se riuscirà a portare a termine tale missione impossibile. E, per far sì che non possa scappare e darsi alla macchia, le forze speciali si cautelano, impiantandogli delle micro-cariche in corpo che, allo scadere di ventiquattr’ore, lo ridurranno a brandelli, putrefacendolo in un nanosecondo.

Jena non ha alternative. Ce la deve fare, altrimenti creperà terribilmente. In caso di fallimento, inoltre, non gli verrà elargito nessuno sconto di pena.

 

1997: Fuga da New York è fantascienza fumettistica applicata al western metropolitano (da qui la presenza di Lee Van Cleef ed Ernest Borgnine), è Cinema del futuro eterno che usa modellini per ricreare lo skyline notturno, liquido e fascinoso di una città spettrale e senza luci, per immergerci in una dimensione spazio-tempo sospesa tra la suggestione ruvidamente romantica e la nitidezza magnifica della poesia d’immagini limpide nell’asciuttezza di una nottata che a sua volta precipita nell’alba opaca, nel tramonto di ogni illusione, nella rinascenza nichilista dopo tanto rovinoso oblio.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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