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Racconti di Cinema: Scent of a Woman – Profumo di donna con Al Pacino

Oggi voglio parlarvi di Scent of a Woman che certamente avrete visto. E credo anche più di una volta. Perché è considerato oramai un classico imprescindibile. Sebbene io, e ne spiegherò le ragioni, non lo consideri affatto un grande film, tutt’altro.

È diretto da Martin Brest, regista che veniva da due successi incredibili come Beverly Hills Cop e Prima di mezzanotte e, prima che ci ammorbasse con l’indigesto Vi presento Joe Black e poi franasse nel dimenticatoio, a Hollywood avevano scambiato per un valentissimo autore. Ciò non toglie che, in effetti, all’epoca sapeva arruffianarsi molto bene il pubblico e il suo succitato Midnight Run rimane a tutt’oggi un rocambolesco, delizioso road movie davvero riuscitissimo.

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Qui fece il furbetto. Scent of a Woman è un remake hollywoodiano dichiarato dell’omonimo film di Dino Risi del 1974, che era tratto dal romanzo Il buio e il miele di Giovanni Arpino. Film, questo di Risi, che fu candidato all’Oscar come Miglior Film Straniero e per la Miglior Sceneggiatura non Originale, e si avvalse di un Vittorio Gassman mattatore.

Scent of a Woman di Brest invece di candidature all’Oscar ne ricevette ben quattro, tutte principali, una per la sceneggiatura di Bo Goldman, oltre a quelle prioritarie per Miglior Film, Miglior Regia e naturalmente quella per il Miglior Attore Protagonista.

E fu infatti il gigionesco e splendente Al Pacino a vincere la sola statuetta assegnata al film.  A sua volta la sua, peraltro, unica statuetta in tutta una carriera d’interpretazioni antologiche e fenomenali, dopo ben 7 nomination andate a vuoto, e da allora, incredibile ma vero, nonostante d’interpretazioni pregiatissime e di alta scuola attoriale ne abbia offerte mirabilmente molte altre e penso, solo per citare qualche esempio rilevante, a Carlito’s WayDonnie BrascoHeatInsider, perfino al suo satanello spiritato ed eccessivo de L’avvocato del diavolo, al suo demiurgico Viktor Taransky di S1m0ne, oppure al suo Will Dormer, sciupato detective ombroso e rugoso d’Insomnia, di candidature non ne ha avute più. Nemmeno una, e correva il “lontano” anno 1992.

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Un Oscar, il suo, quasi alla “career”. Non che non lo meritasse, sia chiaro, ma avrebbe dovuto vincerlo molto prima. Non voglio fare della dietrologia scontata ma i suoi titanici Michael Corleone del coppoliano Il padrino – Parte II, Sonny di Quel pomeriggio di un giorno da cani e soprattutto il suo epico Tony Montana del depalmiano Scarface (per cui invece ricevette scandalosamente solo la nomination ai Golden Globe) abbisognavano, a mio avviso, di questa massima onorificenza, del più aureo riconoscimento cinematografico. Anche se, a essere onesti, nel 1975 di Dog Day Afternoon, può darsi che l’iconoclastico e ancor più trasgressivo e clamoroso Nicholson di Qualcuno volò sul nido del cuculo fosse stato addirittura maggiormente potente al fine di poter vincere l’ambito Academy Award, come infatti è avvenuto.

Ma gli Oscar sono, in fondo, giochini.

Scent of a Woman è comunque un film che regge pressoché totalmente su di lui, Al Pacino, e chi se no, sulla sua magistrale bravura, sul suo “timing”, sul suo debordante carisma e sulla sua tagliente, sardonica voce roca, ottimamente resa nel doppiaggio italiano dal suo affezionato Giancarlo Giannini. Senza di lui, il film avrebbe perso tutta la sua forza. Ed è per questa basilare ragione che, sostanzialmente, non è un grande film.

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Perché la trama di Scent of a Woman, in fin dei conti, è assai banale e dolciastra, ricattatoria, molto stereotipata, infarcita di pedanti luoghi comuni sull’adolescenza e sui ciechi (con tanto di esagerata scena famosa di Pacino, appunto cieco, che guida come un pazzo per i vicoli cittadini), sulle donne, un film cioè assai retorico e convenzionale, standardizzato ma che, per la sua scaltrita formula ineccepibilmente confezionata, vispamente continua a far breccia nel cuore degli spettatori, paradossalmente soprattutto femminili, che citano a memoria il celeberrimo monologo finale, declamato superbamente dal nostro Pacino. Un monologo sull’ipocrisia del sistema che, facilmente, può tornare utile a ogni ragionamento vostro solipsistico. Per la serie… appena pensate di aver ricevuto un torto, tirate fuori dalla memoria le lapidarie parole accusatorie di Pacino…

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Ecco, non starò più di tanto a riferirvi la trama perché la vicenda è arcinota. Mi limito, per dovere recensorio ineludibile, semplicemente col dire che è una pellicola “coming of age”, un didascalico, lineare racconto di formazione particolare, innestato sulla tenera e compassionevole, reciproca amicizia fra lo studente Charlie Simms (Chris O’Donnell), che rischia di essere espulso dalla sua prestigiosa scuola perché non vuole testimoniare in merito a uno squallido scherzo messo in pratica malvagiamente da alcuni suoi compagni ai danni del preside, e il Tenente Colonnello Frank Slade (Al Pacino). Charlie farà da accompagnatore a Frank durante il weekend del giorno di Ringraziamento e, nonostante le forti diffidenze iniziali e le dure schermaglie, Frank alla fine aiuterà il ragazzo a non farsi cacciar fuori…

Tutto qui, un film diretto senza fronzoli, senza peculiari pregi, della bellezza di due ore e 36 min che però scorrono velocissimamente.

La vicenda infatti innegabilmente appassiona, qualche volta gira a vuoto ma Brest, ripeto, sa come strizzare astutamente l’occhio al pubblico, azzeccando comunque un paio di scene madri d’infallibile effetto.

Ma, senza Pacino e la sua forza recitativa, il film non avrebbe avuto molto senso di esistere.

La penso così.

Sbaglio, forse?

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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