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Racconti di Cinema – Grosso guaio a Chinatown di John Carpenter

Ebbene, Grosso guaio a Chinatown (Big Trouble in Little China).

Dopo il tv movie Elvis, dopo Escape from New York e The Thing, torna la strepitosa accoppiata John Carpenter/Kurt Russell, anche se la 20th Century Fox, che fu produttrice della pellicola, aveva inizialmente pensato a Jack Nicholson e a Clint Eastwood per la mitica parte gaglioffa dell’immenso Jack Burton, il character principale di questo divertissement stralunato e geniale da perderci la testa. Mix straordinario, puro e spericolatissimo di kung fu movie e action, avventura per ragazzi di ogni età, senza tempo, pellicola uscita da noi il 5 Settembre del 1986. E considerata, in maniera sesquipedalmente erronea, dai fan di Carpenter, un passo falso, perché reputata un’imitazione dei film di Spielberg. Niente di più atrocemente falso e sbagliato. Questo è un immortale film sballato in senso più altamente positivo, come sempre è avvenuto con Carpenter, precursore del Cinema a venire, anticipatore di mode e tendenze semmai dagli altri poi imitatissime, sì, son sempre stati gli altri a emulare il suo Cinema e non il contrario, John al massimo ha attinto dal passato per ricreare con originalità, dando sorprendente linfa a ogni sua sperimentazione portentosa.

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Grosso guaio a Chinatown – Che film!

Commistione inauditamente spassosa di fantasia al potere miscelata in un ritmo vincente, intrattenimento intelligentissimo che non sbaglia un colpo, una pellicola piena zeppa di dialoghi ficcanti, di battute memorabili da cult istantaneo, una perla ancora una volta intoccabile. Un altro spiazzante colpo da Master del Cinema, potente, indimenticabile, un film che non ci si stanca mai di vedere anche dopo mille visioni. Che puoi vedere a otto anni e anche a ottanta senza annoiarti, nonostante tu lo conosca a memoria, riscoprendo perle nel suo stesso splendore perlaceo. E se uno gira un film che piace da morire quando si è bambini e piace anche quando sei in là con gli anni, be’, come si fa a dire che Carpenter non è un genio? Riparliamone, rivediamolo tutti assieme, per rigoderlo nuovamente dal primo all’ultimo secondo nei suoi 99 min. liscissimi e furiosamente sollazzevoli.

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Che roba di un altro pianeta, un oggetto misterioso dal fascino inarrivabile, un film “UFO”, e che classe nel girato, che schiettezza efficace nella messinscena, diretta, senza fronzoli, un trip visivo ai confini della realtà. Caleidoscopio filmico di colori pindarici, magicamente fluttuanti in sfumature a incendiare le nostre iridi come fossimo di fronte a un meraviglioso arcobaleno, colori saturi e nitidissimi, acquosi e verdi, rosso fuoco e poi cerei come l’acqua scrosciante della pioggia torrenziale di un incipit già d’antologia, colori schiumosi intrecciati a una vertiginosa suspense calibrata sulla solita trascinante, cavalcante, oserei dire, eccitantissima colonna sonora furente, sempre naturalmente a firma di John Carpenter.

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Benvenuti nella terra di John. E questa è la storia…

Nelle intenzioni originali, doveva essere un western con un cowboy solitario che liberava una donna bellissima dagli artigli e dalle maledette grinfie del villain di turno. Poi Carpenter ha deciso di virare su toni orientaleggianti, partorendo un film immerso nella fantasia più luccicante.

Ecco che abbiamo un tipo da bettole, un rozzone, un camionista un po’ mattoide, Jack Burton (Kurt Russell), che è stranamente amico, date le vistose differenze di carattere, di Wang Chi, un cinese che, dopo aver risparmiato per tutta la vita, vuole convolare a giuste nozze con la ragazza dei suoi sogni, che lo aspetta all’aeroporto di San Francisco.

Ma, all’aeroporto, questa ragazza dai lucenti occhi verdi viene rapita dai Signori della Morte, che la vendono come schiava del sesso a un bordello di Chinatown.

 

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Al che parte la sarabanda di colpi di scena. Jack e Wang si mettono immediatamente sulle tracce della ragazza rapita, inseguono i Signori della Morte, svoltano in un vicolo e assistono a un combattimento fra gang delle triadi cinesi. Nel bel mezzo dello scontro, ecco che sopraggiungono sul luogo, come sputati giù dal cielo, dei combattenti dai poteri paranormali, le Tre Bufere. Che fanno piazza pulita di tutti, invulnerabili nella loro sovrannaturale potenza guerriera. Jack e Wang, che intanto sono asserragliati nel camion e, impassibili, vedono l’incredibile materializzarsi sotto i loro occhi stupefatti, cercano di scappare e Jack, col suo camion, investe uno strano figuro dalla risata sbeffeggiante e sardonica. È David Lo Pan, stregone-fantasma che appartiene alla leggenda di un antico mito cinese. Lo Pan rimane illeso.

Su Lo Pan grava una maledizione, lui è un mostro che si spaccia per uomo, dotato di devastanti poteri magici, e vive oramai da millenni nei sottosuoli più tenebrosi di Chinatown.

Ecco perché quella ragazza è stata rapita. È l’unica donna cinese, una miracolosa rarità genetica, che possiede gli occhi verdi. La maledizione di Lo Pan, tormentato e costretto a vagare nel mondo da ectoplasma, verrà sconfitta se lui sposerà, appunto, una donna cinese dagli occhi verdi.

Jack e Wang, assieme ai loro amici, a un’avvocatessa, Gracie Law (Kim Cattrall) e a un illusionista di nome Egg Shen (Victor Wong), naturalmente lotteranno affinché ciò non possa avvenire.

 

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E tutti assieme appassionatamente s’infiltreranno nel covo di Lo Pan.

È allora che deflagra, visivamente stupendo, tutto l’incandescente furore immaginifico di Carpenter, che avrà il suo culmine nel magistrale combattimento finale, orchestrato alla perfezione.

Dicevamo… questo film all’epoca fu respinto perfino dagli ammiratori di Carpenter, che non compresero affatto lo spirito ludico che lo sottendeva. E incassò pochissimo. Soltanto dopo numerosi passaggi televisivi, il film è stato unanimemente considerato un “untouchable” della sua filmografia.

Sia chiaro, rivisto oggi, mostra numerose pecche e perfino qualche grossolanità: possibile che Wang svolazzi e combatta come un ninja e non avesse mai prima di allora rivelato le sue doti atletiche da campione stupefacente di arti marziali? Ma, nella sua ingenuità dichiarata, sfacciatissima, il film funziona magicamente. Proprio perché non si prende mai sul serio, e Carpenter, sappiamo bene, è sempre stato un indiscusso fuoriclasse di autoironia.

Ma basterebbe la scena iniziale del vicolo, di un’atmosfera ipnotica ed esotericamente mozzafiato, per farci capire che siamo di fronte al maestro per antonomasia, John Carpenter. Cioè al cospetto di uno che, anche quando scherza e pare burlarsi di noi, gira con una classe, un senso del ritmo, degli spazi e con un sopraffino gusto delle immagini, da lasciarci sbalorditi e ammaliati.

 

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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