Eh sì, Viggo Mortensen che soltanto qualche giorno fa, esattamente lo scorso 20 Ottobre, ha spento sessanta candeline. E or che ha varcato questa soglia delicatissima, specie per un attore, può autodefinirsi un uomo maturo a tutti gli effetti, soprattutto professionalmente.
Sì, perché Viggo Mortensen oramai lo conosciamo benissimo e negli ultimi vent’anni ci ha dato innumerevoli volte prova del suo straordinario talento.
Ma quest’anno pare aver indovinato davvero il role of a limetime, come dicono gli americani e, incontestabilmente, è già assurto a essere uno dei maggiori pretendenti per aggiudicarsi l’ambitissima statuetta degli Oscar come Best Actor, grazie alla sua incontenibile, trascinante performance in Green Book.
Green Book di Peter Farrelly, presentato tra gli applausi al recentissimo Festival di Roma, uno di quei film sleeper… che ha ribaltato, in un battibaleno, tutte le previsioni degli esperti.
Infatti, prima della sua anteprima al Festival di Toronto, ove è stato incensato dal pubblico e amatissimo dalla Critica, nessun bookmaker delle cosiddette predictions sui film papabili dell’Academy Award, aveva creduto possibile che Green Book potesse diventare, come detto, già un instant classic.
Primeggiando qualitativamente tra i film della nuova stagione cinematografica e cavalcando, sin da ora, la fantasmagorica scalata verso il premio universalmente più bramato da chiunque.
Merito soprattutto del suo protagonista, un Viggo Mortensen in forma smagliante che per il suo Tony Lip è ingrassato svariati chili e ha sfoderato un’irresistibile verve brillante che ci ha sorpreso e ammaliato con classe e savoir–faire da gran signore-canaglia della scena.
Lui, il lupo solitario di Sean Penn, il bastardo Lalin di Carlito’s Way, il magnetico Aragorn della trilogia de Il signore degli anelli di Peter Jackson, uno dei più affezionati pupilli di David Cronenberg, stavolta è vicinissimo non solo a una nuova nomination (come già accaduto per La promessa dell’assassino e Captain Fantastic) ma, appunto, molto probabilmente al trionfo finale.
Scartato lo Steve Carell di Beautiful Boy, che pare non entrerà nella cinquina dei nominati, a differenza di ciò che si profetizzava sino a pochi giorni fa, poiché Beautiful Boy ha spaccato la Critica e la sua interpretazione, per quanto intensa, sofferta e solida non è sembrata in grado di poter essere tanto forte da poter competere con una concorrenza ben più impressionante, eliminato anche dai giochi quasi sicuramente il Ryan Gosling di First Man, bravo sì ma scarsamente emozionante, Viggo ha principalmente due agguerriti colleghi sulla sua strada che gli daranno filo da torcere sin all’ultimo.
Ovvero, Bradley Cooper di A Star is Born, film che sta facendo sfracelli al botteghino mondiale e ha esaltato la Critica statunitense (molto meno quella nostrana ed europea che, giustamente, lo considera solo una furba storia d’amore dolciastra e tardo-adolescenziale, un po’ patinata e di maniera), tanto da posizionare Cooper in pole position, e lui, il mastodontico, pauroso Christian Bale di Vice.
Ma, a parte essere stato proiettato in forma privata per qualche test screenings, Vice uscirà negli States soltanto a Natale. Sì, per entrare in gara per i Golden Globe e ovviamente per gli Oscar, i critici lo visioneranno prima. Ma al momento non vi è nulla di certificato e matematicamente attendibile.
Bale rimane, sulla carta, il favorito numero uno per la vittoria, ma chissà…
Io tifo per Viggo.