In sala il secondo film (primo cinematografico) per Nunzio e Paolo: Non è Vero Ma Ci Credo, commedia sul mondo della ristorazione vegan. Con Maurizio Mattioli
“Nunzio e Paolo” non sono propriamente due star, e va perciò dato atto alla distribuzione di Non è Vero Ma Ci Credo di aver fatto il possibile per costruire una sorta di attesa attorno al loro secondo film. Già perché il lavoro di Stefano Anselmi (debuttante) non è neanche l’opera prima dei due volti televisivi, dalla fama più che altro regionale, già in luce lo scorso anno con la produzione Sky Innamorati Di Me. Con Non è Vero Ma Ci Credo tentano però la sortita in sala, con dalla loro una micro-idea di partenza stuzzicante (commedia all’italiana + hipster food), il patrocinio di Maurizio Mattioli garanzia di riconoscibilità, e una valanga di buoni sentimenti. Difficile dire se il risultato valesse il tentativo, ma altrettanto difficile definire le reali ambizioni di un prodotto come questo.
La trama di Non è Vero Ma Ci Credo in due righe: Nunzio e Paolo (Nunzio Rotondo e Paolo Vita) sono amici da una vita, sposati a una coppia di arpie benestanti per le quali rappresentano non più che una palla al piede. Da sempre vegetariani, decidono su consiglio dell’ambiguo imprenditore Mattioli di seguire la contemporanea tendenza, e giocarsi le loro carte aprendo a loro volta un ristorante vegan (il film fa una gran confusione, più o meno involontaria, tra vegetarianesimo, veganismo e animalismo, e su quali siano i rispettivi principi). Radunando un improbabile gruppo di ristoratori improvvisati, l’impresa si rivelerà disperata: l’unica sarà tentare di conquistare con l’inganno il favore del critico-vip DeBest (Maurizio Lombardi).
Leggi l’intervista all’attrice Giulia Di QuilioCosa funziona in Non è Vero Ma Ci Credo
Non è Vero Ma Ci Credo è pochissima cosa, e si gioca le sue carte sull’unica nozione di “cinema” che sembra interessargli: per fare un film, ci vuole uno spunto di partenza. Che infatti non è male: nella intrinsecamente reazionaria commedia italiana di oggi, costantemente impegnata a farsi beffe di tutto ciò che viene percepito come stupido vezzo della modernità (il che include diritti civili, multiculturalismo, tecnologia, salutismo e ambientalismo), l’incontro con la nuova etica del mangiare BIO doveva per forza arrivare. Nunzio e Paolo ci pensano per primi, si appoggiano alla formula aurea monicelliana del gruppo di disperati lanciati in un’impresa improbabile (il ristorante vegetariano-vegano, appunto: idea in realtà presa dall’ultimo, bellissimo Kaurismaki di un anno fa) e procedono per accumulo di macchiette. Qualche scena fa sorridere, molte no. Ma se per fare un film ci vuole uno spunto di partenza (e ci vuole), questo non è male.
Perché non guardare Non è Vero Ma Ci Credo
Inutile dire che tutto il resto, in Non è Vero Ma Ci Credo, è esattamente come ce lo si aspetta. A onor del vero, nonostante i proclami, il film di Anselmi non punta a farsi vedere da nessuno, quanto ad un’uscita tecnica e una sopravvivenza più o meno lunga in passaggi tv. Il film è messo insieme con questo criterio, comune a molte altre produzioni: fare novanta minuti che non impegnino nessuno, e filino via più innocui possibile. E se si può passare sopra all’angosciante zuccherosità di fondo (i vegani sono tutti matti ma in fondo sono buoni e hanno anche ragione, i “carnivori” sono tutti matti ma in fondo sono buoni e hanno anche ragione, tarallucci e vino, volemose bene), la profonda insicurezza dei due protagonisti di fronte alla macchina da presa è un problema grave. Perché nel film di Nunzio e Paolo, sono proprio Nunzio e Paolo i punti deboli: impacciatissimi in tutto, dalla dizione all’enunciazione delle battute (artefatte e fastidiose come unghie sulla lavagna), senza tempi comici né alcuna idea di recitazione, rallentano e affossano un film già faticoso ogni volta che compaiono sullo schermo. Cioè, per l’intera durata.
Non è Vero Ma Ci Credo pretende poco, e fa pochissimo. Si appoggia ad una struttura consolidata, ma nonostante la discreta idea di partenza non sembra interessato a sviluppare alcun tipo di discorso narrativo. Piagato da una coppia di protagonisti completamente a disagio di fronte all’obbiettivo, cerca di compiacere tutti e passare il più inosservato possibile. Gli riesce sorprendentemente bene.