Edhel: Il primo lungometraggio di Marco Renda, arriva finalmente nella sale italiane dal 25 gennaio 2018, dopo il trionfo ai Los Angeles Film Awards, in cui è stato premiato come: Miglior film, Miglior regia, Miglior film indipendente e Miglior cast.
Edhel (Gaia Forte) è una bambina nata con una malformazione del padiglione auricolare che fa apparire le sue orecchie “a punta”. Affronta il disagio chiudendosi in se stessa e cercando di evitare qualunque rapporto umano che non sia strettamente necessario. La scuola e i compagni, per lei, sono un incubo. L’unico posto in cui si sente felice è il maneggio in cui Caronte, il suo cavallo, la aspetta tutti i pomeriggi così come faceva con suo padre prima che morisse in un incidente di gara. Edhel vive con la madre Ginevra ma il rapporto tra le due è difficile e conflittuale. Ginevra preme perché la figlia si operi, correggendo quel difetto che la separa da una “normalità” convenzionale. Lo desidera per il bene della figlia, affinché possa essere felice come le sue coetanee. L’incontro con Silvano, il bizzarro bidello che inizia Edhel al mondo del fantasy, convince la ragazza della possibilità che quelle orecchie siano il chiaro segno della sua appartenenza alla nobile stirpe degli Elfi. Da quel momento in poi, Edhel inizierà a credere nella magia di poter essere finalmente se stessa.
Cosa funziona in Edhel
Sicuramente come atto di denuncia contro il bullismo, il messaggio di Edhel è forte e chiaro: la ragazzina, che si nasconde al mondo con il cappuccio della felpa, è isolata ma allo stesso tempo continuamente derisa e presa di mira dalle sue compagne di classe. Attraverso Edhel vediamo come anche l’autorità scolastica, che dovrebbe scoraggiare questi comportamenti, non sempre sa o può agire. Preso in questa sua accezione didattica Edhel è un film che arriva diretto al pubblico e non può non essere un punto di partenza per un’ampia riflessione anche tra i più giovani.
Perché non guardare Edhel
Edhel forse non era pronto per diventare un lungometraggio. Probabilmente quest’opera prima di Marco Renda ha risentito del low budget e della realizzazione in soli 18 giorni di riprese. Sembrerebbe mancare la cura al particolare, una certa componente estetica, che seppur meramente materiale, avrebbe sicuramente esaltato l’atmosfera. La dimensione magica ed immaginifica non è rappresentata a pieno. Sembrerebbe piuttosto un’opera in cui il fantasy è stato buttato dentro la storia tanto per, riprendendo elementi qua e là: qualche citazione ripresa da Tolkien, per introdurre la protagonista al mondo del fantasy; alcune reminescenze de La storia Infinita; una partita a un gioco di ruolo nel magazzino di una fumetteria, i cui partecipanti sembrano più adepti di una setta che dei semplici appassionati, che arrivano a pestarsi per aver perso un oggetto magico durante il gioco. Quello che dovrebbe essere il luogo incantato per eccellenza, il bosco, sembra solo una siepe di rovi. E’ come se quella magia che dovrebbe salvare la protagonista sia stata relegata al fantasy più commerciale. Il ritmo della recitazione risulta innaturale, quasi slegato, forzato. Inoltre anche l’abbondanza delle tematiche trattate, il lutto e la perdita di un genitore, il bullismo, malformazioni corporee, il rapporto conflittuale con la madre, il rapporto unico che si crea tra umano ed animale, il richiamo alla natura, la magia, il fantasy, il mondo dei nerd, la scuola, il rapporto col diverso, l’introversione, la solitudine e un vago accenno alla pedofilia, risultano essere troppe e troppo ambiziose per un progetto d’esordio.