Home / RECENSIONI / Drammatico / Bande à Part – recensione del capolavoro Nouvelle Vague di Godard che torna al cinema restaurato

Bande à Part – recensione del capolavoro Nouvelle Vague di Godard che torna al cinema restaurato

Movies Inspired porta al cinema Bande à Part, il capolavoro diretto da Jean-Luc Godard nel 1964 e simbolo indiscusso dello spirito innovativo, anarchico e ribelle della Nouvelle Vague francese. Il film esce nelle sale restaurato, portando gli spettatori nella Francia degli anni ’60 e fin nel cuore dell’atipico triangolo tra Odile, Arthur e Frantz.

Odile (Anna Karina) rivela ai suoi compagni di classe, Frantz (Sami Frey) e Arthur (Claude Brasseur), che il pensionante di sua zia Victoria (Louisa Colpeyn), tale Mr. Stolz, possiede una grossa somma di denaro nascosta in soffitta. I due progettano di compiere quindi una rapina e, per convincere Odile a lasciarli entrare dalla zia, la corteggiano a turno mandandole bigliettini d’amore e portandola a ballare. Ma tutte le rose hanno le spine, e il piano si rivela più complesso del previsto da portare a termine.

bande-a-part-recensione-film-testa

Cosa funziona in Bande à Part

Bande à Part è la quintessenza dell’agiografia laica – e cinefila – di Jean-Luc Godard: maestro della Nouvelle Vague, ma ancor più maestro indiscusso della settima arte, il prolifico regista realizzò questo film dopo l’exploit “commerciale” de Il Disprezzo. Dopo questa pellicola ad alto budget girata in Italia e tratta da un racconto di Alberto Moravia, Godard fece ritorno nei luoghi familiari della creatività Nouvelle Vague e dell’anarchica indipendenza creativa dei budget più contenuti. Il risultato è un film manifesto, (liberamente) tratto da un romanzo della collana economica Série noire di Gallimard regalatogli dall’amico François Truffaut, immaginato – e realizzato – come un film Hollywoodiano di serie B che tanto amava.

Un crime atipico, un noir dalla trama piatta e scontata che si trasforma in un manifesto di stile e poetica: ciò che colpisce e affascina è la libertà, l’anarchia, la fantasia delle scelte registiche con silenzi che, prepotentemente, rubano la scena al caos della vita stessa prima di lasciarsi sopraffare dall’incalzante colonna sonora “jazzy”; l’abbandono di ogni logica formale legata al comportamento – e alla coerenza – dei personaggi che si trasformano in rabbiosi “animali” giovani e arrabbiati, affamati di vita; la rottura della chiarezza, della linearità narrativa e della coerenza spazio-temporale aristotelica, elaborati jump-cuts e long takes, frammentazione visiva e narrativa che riflettono il caos, la libertà e l’anarchia propri di un movimento come, appunto, la Nouvelle Vague.

bande-a-part-recensione-film-centro

Perché non guardare Bande à Part

Bande à Part trova le proprie debolezze ben annidate e nascoste nel lato oscuro dei suoi stessi punti di forza: il più grande limite del film, infatti, è legato proprio alla sua essenza di manifesto (involontario) della Nouvelle Vague, incarnando in tal modo tutti i limiti stilistici, formali, estetici e contenutistici tipici del movimento che ne hanno poi lentamente sancito la cristallizzazione nel tempo.

In primo luogo, Bande à Part si ama e si odia in egual misura proprio perché è figlio del proprio tempo: girato nel 1964, nonostante lo splendido lavoro di restauro che lo riporta in sala oggi, si mostra comunque legato a doppio filo con gli anacronismi tipicamente “di genere”, con le incongruenze legate alla trama prevedibile – e quasi inesistente – e la volontà di ostentare tutto il Godard-pensiero nell’arco di 97’. Il regista ha volontariamente “allungato il (proprio) brodo” filmico inserendo sequenze splendide ma sterili – come la famosa corsa tra le sale del Louvre, citata a più riprese da altri registi – che hanno regalato alla storia del cinema, sicuramente, delle immagini indelebili sulle quali costruire le proprie fantasie, ma allo stesso tempo hanno permesso a tutti i detrattori della Nouvelle Vague di poter trovare sempre nuove argomentazioni per alimentare il fuoco ininterrotto della polemica.

About Ludovica Ottaviani

Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Classe 1991, da più di una decina d’anni si diverte a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Si infiltra nel mondo della stampa online nel 2011, cominciando a fare ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Tom Hiddleston, Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.

Guarda anche

la-cospirazione-del-cairo-recensione-film-copertina

La Cospirazione del Cairo – Una spirale di mistero nel film di Tarik Saleh – Recensione

La Cospirazione del Cairo: Dopo la vittoria come miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2022, …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.